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Napoli e Papa Francesco /Combattere la cultura dello "scarto"

Creato il 28 marzo 2015 da Marianna06

 

 

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Che certi segnali di speranza costruttiva ci siano tutti  a Napoli , e di questi tempi, e nonostante i molti problemi irrisolti, è “cosa” vera.

Ed è anche, a dirla tutta, “cosa” bella.

Diciamo pure, che è lievito in pasta.

Lievito contro il malcostume.

E non solo quello di stampo camorristico.

Lo è  pure contro una certa passività da debellare, che è  purtroppo ancora presente in alcuni strati sociali.

Ma, nel corso della visita di papa Francesco in città, non sono state poche le  testimonianze di persone  a dimostrazione che se si vuole, invece, molto può cambiare a Napoli.

Ed è possibile persino in quelle che sono le sue complesse periferie.

E’ chiaro, però, che ogni cosa diviene possibile,  solo se si mette quale priorità del quotidiano, quando si agisce, la scelta del rispetto della “giustizia”.

L’essere giusti e onesti oltre che laboriosi è fondamentale sotto qualunque cielo.

Si è ascoltato , infatti, chi non ha mollato mai e non ha  intenzione di farlo nemmeno adesso.

E mi riferisco al judoka Maddaloni e alla sua famiglia, impegnati con e per i ragazzi di Scampia, affinché un certo riscatto possa venire  finanche dal mondo dello sport.

Perché Maddaloni, campione olimpico, nonostante alcune intimidazioni iniziali,messe in atto da chi di certo non ama il “bene” del suo prossimo, continua a darci dentro in quello che è il suo obiettivo principe, anche a rischio e pericolo personale, solo perché un avvenire migliore sia reso  possibile  in un domani , neanche troppo lontano, alla città  e alla sua gente.

E sono questi ( non c’è solo Maddaloni) quelli che noi chiamiamo uomini e donne di buona volontà.

Quelli che si rimboccano le maniche e fanno.

Quelli che non si spaventano dinanzi a possibili ostacoli.

Che proseguono  sicuri per la propria strada senza lasciarsi distrarre.

Che sanno discernere.  Che non si scoraggiano mai.

Che non ostentano il proprio nome perché tutti sappiano. Che non amano il protagonismo.

Infatti la dimostrazione di un ascolto partecipato, fatto per carpire la “ricetta” giusta, si è vista da subito nel momento in cui,  seguendo l’itinerario papale, di ora in ora e di luogo in luogo, si è potuto osservare le tante espressioni attente, amorevoli,  ora entusiaste  ora commosse, sui volti delle persone, che hanno accolto il pontefice.

Espressioni differenti, in base all’età, al diverso ceto d’appartenenza, ma tutte connotate da un trasporto emotivo e da un’affettività sincera, che sconcertano, nei confronti dell’ “uomo” Bergoglio  e, sopratutto nient’affatto dettate dall’ufficialità della circostanza.

Perché papa Francesco è stato subito accolto e percepito, da grandi e piccini ,come  un “fratello”.

Il “fratello” maggiore. Colui che ti fa da guida e ti dice, senza mezzi termini, con molta semplicità, come stanno le cose. Insomma ciò che è bene fare e ciò che è male.

E che ti mette a scegliere… quale che sia la tua età o la tua condizione del momento.

E tu finisci che sei disposto ad ascoltare in quanto gli riconosci quell’autorevolezza, che è sì frutto d’intelligenza e di formazione ma, principalmente, di cuore.

Un cuore nutrito dagli insegnamenti di Gesù, l’unico “Salvatore”.

L’incontro, ad esempio, con le collaboratrici del Santuario della Vergine del Santo Rosario di Pompei, nelle primissime ore della giornata “speciale”, anche primo  giorno d’ingresso della primavera, appena atterrato dall’elicottero, proveniente da Roma e introdottosi in chiesa, dove ha poi recitato con i fedeli la “piccola” supplica di Bartolo Longo, per mettere il suo viaggio sotto la protezione della Madonna,  non è passato inosservato ai commentatori dell’evento mediatico.

Ha colpito immediatamente la cordialità e l’interesse mostrato da papa Francesco per quelle ragazze lavoratrici, levatesi all’alba per compiere il proprio dovere e assolvere con serietà al proprio compito, perché tutto andasse a buon fine.

E, poi,  felici e sorridenti, eccole dinanzi al papa come stessero arrivando lì, riposate, in quel  preciso istante.

Dopo Pompei è stata la volta di Scampia e qui papa Francesco  ha incontrato i giovani e meno giovani e alcuni  degli extracomunitari, che vi risiedono da troppo lungo tempo in cerca di lavoro, e con tutti ha affrontato, senza peli sulla lingua, il tema della corruzione, male endemico ormai a tutte le latitudini, definendola “qualcosa che spuzza”.

Una Scampia, periferia nord della città di Napoli, nota ai più solo per droga e malaffare di camorra,   che è stigmatizzata anche grazie a certa cinematografia e pubblicistica incapace  di andare, come semmai dovrebbe, sotto l’epidermide.

Per sapere altro e di più, chiedere invece, a don Franco Minervino, che è decano di Scampia e a tanti altri preti, religiosi e loro  collaboratori, che da anni si sono sporcati e continuano a sporcarsi le mani per cambiare in meglio la realtà.

Laboratori musicali,atelier di arti figurative, giornalini di quartiere, catechesi, sport. Di tutto un po’.

Un agglomerato di 70 mila abitanti residenti. Ecco cos’è Scampia. Città nella città.

Dove tutto, proprio tutto, occorre a tutti.  E dove non sempre c’è quel lavoro onesto auspicato, che può consentire alle famiglie  di condurre  la propria esistenza con dignità.

E dove papa Francesco ha fatto capire, a chiare lettere, che il lavoro disonesto però non paga.

Ti appaga- ha precisato il pontefice - sul momento  ma poi i nodi vengono al pettine.

E sono momenti amarissimi con pesanti conseguenze.

Piazza Plebiscito, intorno alle 11,00 del mattino, gremita di gente, che era accorsa da ogni parte, e la concelebrazione eucaristica, sobria e toccante,  sono state una festa splendida sotto un cielo limpido e  con un sole carezzevole.

Carezzevole proprio come le tenere carezze che papa Francesco non ha mancato generosamente di  dispensare qua e là  ai bambini e agli ammalati in ogni tappa dell’itinerario.

E subito dopo, a cerimonia eucaristica terminata e saluti alle autorità, c’è stato il pranzo con la condivisione della mensa assieme ai detenuti della casa circondariale del carcere di Poggioreale.

Un incontro assolutamente gioioso, come riferiscono alcune immagini che sono giunte al grosso pubblico, tramite internet, in un secondo momento.

E, in più, corredato, al termine, da una proposta gastronomica tutta napoletana (sfogliatelle e babà per chiudere in dolcezza), importante, molto importante, anche questa.

Realizzata dall’impegno voluto degli stessi detenuti in cucina, che hanno affiancato per l’occasione i cuochi di mestiere, perché il pontefice gustasse la “napoletanità” anche col palato.

Ma, in modo speciale, quello con i detenuti è stato un incontro che ha riguardato, com’era giusto che fosse, soltanto gli interessati.

E , perciò, cosa apprezzabile, stop almeno per qualche ora, all’invadenza delle telecamere nella diretta.

Momenti privati nel corso dei quali non è difficile intuire quale e quanta sia stata la commozione  di  persone  provate dal rimorso del male commesso in altro tempo e pentite, oggi, d’averlo compiuto allora.  

E, di rimando,  a sostegno, le parole di conforto del pontefice  quale invito a voltare pagina e ad attingere tutta l’energia necessaria per cambiare,  guardando agli insegnamenti  di Gesù, che troviamo nel Vangelo.

Parole di vita e non fumose dissertazioni da “azzeccagarbugli”, ecco cos’è il Vangelo.

E papa Francesco non cessa di ricordarlo ogni volta che l’occasione lo consente.

Esso, a saper leggere, racchiude tutto, ma proprio tutto quanto occorre alle necessità dell’uomo. Persino a quello, all’apparenza disincantato e scettico,  falsamente sicuro di sé, dei nostri tempi.

Intanto, lasciato Poggioreale, dopo alcuni minuti, ecco Papa Francesco in Duomo per l’incontro con il clero diocesano, cui ricorda l’enorme responsabilità cui è chiamato.

E si riferisce sopratutto all’esempio da dare. E non manca di mettere in evidenza quanto sia importante una testimonianza coerente, scevra d’appetiti mondani.

Come potrebbero essere il desiderio di potere e/o di denaro, ad esempio.

Mentre ciò che conta nella vita di un consacrato –  ricorda - come in quella di ogni buon cristiano sono essenzialmente le opere di misericordia, accanto alla priorità intramandabile da dare alla preghiera (adorazione) e alla missionarietà, che è dono di sé agli altri, a quei fratelli meno fortunati, tanto nel vicino che nel lontano.

Altra tappa importante, connotata dalla riservatezza, è stata quella, dopo il Duomo, del “Gesù nuovo” in piazza del Gesù. Qui l’appuntamento era con gli ammalati.

Con i novelli “Giobbe”cui il Papa avrà certamente ricordato quanto Gesù sia loro compagno nelle ore terribili della sofferenza, proprio perché Satana non abbia mai a prevalere.

E, infine, nel lungomare Caracciolo, con un panorama mozzafiato (cielo, mare, scogli, natanti in gara, e  Castel dell’Ovo baciato nella sua pietra grigia dagli ultimi raggi di sole), nell’ore di preludio al tramonto, c’è stato l’incontro terminale di papa Francesco con migliaia di giovani.

E, sulle note di “O sole mio”, suonata e cantata dai giovani delle molte  parrocchie del napoletano (i differenti oratori diocesani), il commiato  dalla città.

Ancora una volta, anche qui, nelle parole del pontefice, l’accento posto è stato su ciò che bisogna sempre tener presente per  poter dire d’essere dei buoni cristiani.

E cioè : attenzione  a giovani,  a  famiglie e ad  anziani.

Il compendio, insomma, di una pastorale che intende  combattere la cultura  dello “scarto” con tutte le forze vive in campo. E lo domanda esplicitamente affinché ciascuno, dopo l’ascolto, faccia poi la propria parte.

Perché , a rischio “scarto”, se ci pensiamo bene, lo siamo un po’ tutti.

E lo siamo, pur con differenti motivazioni, ad ogni età e condizione e in un mondo che non fa per nulla mistero di voler privilegiare solo redditività, efficienza e profitto. 

         

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                                                       Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 


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