di Matteo Boldrini
La scorsa legislatura e quella che si è appena aperta hanno molti motivi per essere ricordate, come la nascita e la successiva crisi di due dei più grandi soggetti politici che la Repubblica abbia mai avuto, la formazione di parlamento “tripolare”, la nascita di un soggetto che alle prime elezioni a cui partecipa prende ben un quarto dei suffragi, ma ad essi c’è da aggiungere senza dubbio il ruolo da protagonista svolto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Un ruolo che secondo alcuni va ben oltre le prerogative che gli attribuisce la Costituzione, facendo parlare alcuni commentatori addirittura di colpo di stato e di attentato alla costituzione. Sotto accusa è il suo rifiuto di rassegnare le dimissioni anticipatamente rispetto alla naturale scadenza del settennato (che finirà il prossimo maggio) e la nomina di un “consiglio” di dieci “saggi”, ossia di dieci personalità di spicco che, divise in due gruppi di lavoro – economia (il prof. Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, il prof. Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; il dottor Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca d’Italia, l’on. Giancarlo Giorgietti e il sen. Filippo Bubbico, presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato, e il ministro Enzo Moavero Milanesi) ed istituzioni (il prof. Valerio Onida, il sen. Mario Mauro, il sen. Gaetano Quagliariello e il prof. Luciano Violante) -, dovrebbero costituire una piattaforma politica a cui il Parlamento potrebbe inspirarsi per le proprie riforme. A questo si aggiunge il ruolo di primo piano giocato da Napolitano durante la crisi del Governo Berlusconi nel 2011, per il suo rifiuto di sciogliere le camere e per la formazione del Governo Monti, che senza dubbio deve la sua esistenza proprio al Presidente della Repubblica. Se da una parte ci viene da apprezzare e stimare la tempra di un uomo nonostante l’età avanzata (compirà 88 anni il prossimo giugno), è legittimo anche chiedersi se non si stia prendendo troppe libertà una figura che, da Costituzione, dovrebbe essere solo di rappresentanza. Esaminiamo la questione con ordine e più approfonditamente.
I dieci saggi – gennarocarotenuto.it
Molto probabilmente i Padri Costituenti avevano in mente davvero una figura di rappresentanza quando scrivevano i poteri del Capo dello Stato, ma nella realtà dei fatti non è assolutamente così. Il Presidente della Repubblica italiano è titolare di poteri enormi e anche mal definiti. Non c’è, tra i suoi omologhi Capi di Stato nelle altre democrazie parlamentari e spesso anche in qualche repubblica semipresidenziale (penso all’Austria e al Portogallo), una figura che sia dotata di tanta capacità di influenza all’interno del sistema politico. Questa influenza di certo non è nata con Napolitano. Non è certo da sottovalutare l’influenza avuta da Pertini nella formazione del Governo Spadolini (1981) quando per superare lo stallo politico il Presidente affidò l’incarico di formare un governo al leader di un partito che non superava il 3%, e come dimenticarsi delle “picconate” di Cossiga o del ruolo politico giocato da Scalfaro nel biennio ’92-‘94? E l’elenco potrebbe continuare. Il Presidente della Repubblica ha sempre avuto la possibilità di giocare un ruolo di primo piano, solo che durante la Prima Repubblica ciò gli era impedito dalla forte strutturazione del sistema partitico e dalla volontà dei partiti di essere gli unici protagonisti della vita politica del Paese. Come mai si siano moltiplicati i casi di “protagonismo” da parte del Capo di Stato nel corso della Seconda Repubblica appare evidente allora. I partiti attuali sono troppo deboli, timorosi o irresponsabili per occupare un ruolo di primo piano ed in politica gli spazi vuoti si riempiono sempre. E sono stati riempiti dal soggetto più adatto a farlo. Il suo rifiuto di dare dimissioni anticipate (che avrebbero permesso l’elezione di un nuovo Presidente e la possibilità di sciogliere le Camere) oltre ad essere perfettamente legittime dal punto di vista costituzionale sono il segno della grossa responsabilità politica di un soggetto che si rifiuta di lasciare il Paese senza un referente istituzionale e che è determinato ad effettuare quel minimo di riforme che potrebbero rendere più efficiente il nostro sistema istituzionale. E su questa scia si colloca la creazione del “consiglio dei saggi” che, per quanto possa essere visto come una forzatura costituzionale (non è ovviamente un organo previsto dalla Costituzione), si tratta pur sempre di un organo consultivo e di indirizzo, formato da personalità politiche con l’obiettivo di superare lo stallo politico che si è creato in Parlamento. Non che sia risolutivo, ma perlomeno tiene l’attenzione alta su alcune riforme indispensabili, portando le forze parlamentari a ragionare su di esse, ed è sempre meglio che tornare a votare ad oltranza sperando che casualmente si produca una maggioranza in entrambe le Camere.
Per tirare le fila del ragionamento, appare pretenzioso attaccare il Capo dello Stato per la posizione assunta tacciandola di anti-democraticità, si può essere d’accordo o no sul merito della questione, ma non dobbiamo scordarci che la responsabilità di questa situazione è dovuta alla debolezza e all’immobilismo delle forze parlamentari (specie quelle che si sono rifiutate di collaborare alla formazione di un governo), e che il gesto del Presidente è motivato dalla ferma convinzione di rianimare il dibattito politico intorno alle riforme, cercando di superare la situazione di stallo di un Parlamento senza maggioranza. Se proprio vogliamo disquisire di Presidenti della Repubblica, è più utile parlare di come riformare questa figura all’interno di una revisione organica dell’architettura istituzionale, anche se così facendo molti giornalisti non saprebbero cosa scrivere.
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