Autoritratto
Pare che, questo giro, a dispetto delle recenti voci di corridoio, l’Italia abbia fatto centro. Nella Cuba del Rum, dei sigari e della Rumba ha spopolato, il Made in Italy grazie a una non proprio famosa tela del Caravaggio.
Come dimenticare Caravaggio, il caro uomo baffuto che ci sorrideva sulle 100mila Lire che la nonna ci regalava al compleanno?! Già, proprio lui. Quell’uomo che nulla si fece mancare nella sua breve vita. Bunga Bunga Party con donne a pagamento, bisbocce e liti che non finivano a tarallucci e vino, molte querele, una manciata di scomuniche e una corta carriera a Malta tra i Confratelli dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme che ce lo rispedirono ben presto in Italia definendolo empio e fetido. Caravaggio era peggio che un ateo e non si mise mai nelle mani di nessuna religione, eccetto a quella del Maledettesimo e, devoto solo all’arte, pensava che senza l’energia non esisterebbe neanche il colore, la forma, e quindi la vita. Ciò nonostante, è merito della sua fama universale che abbiamo potuto lasciare L’Havana – con figlia del Che e fratello di Fidel Castro annessi – a bocca aperta.
La tela, per così dire, incriminata, è “Narciso” (1597-99, olio su tela, 112x97cm, Palazzo Barberini – Roma). Tornando indietro ai tempi del Liceo e scorrendo tra le reminiscenze ovidiane, mi pare di ricordare che Narciso fosse un giovane vanesio innamorato della sua immagine riflessa. Un giorno, specchiandosi nelle acque di un torrente, annegò e gli dei, mossi a pietà, lo trasformarono nell’omonimo fiore bianco e giallo. In genere, questo mito, a differenza che nella letteratura, non fu molto esperito dai pittori. Probabilmente, perché portava sfortuna. Per estensione, il Narciso potrebbe essere l’allegoria dell’artista che abbraccia l’arte, il Bello, maneggiando la superficie effimera e insidiosa dell’acqua. Molti artisti uscirono pazzi nella loro ricerca del Bello e, è comprensibile, a nessuno di loro piaceva ricordarselo. Caravaggio, però, non temeva gli spauracchi ed, eccezionalmente per quanto riguarda il suo operato, si dilettò a dipingere questo tema tratto dalla mitologia classica. Infatti, quasi tutte le sue opere si rifanno alla Bibbia e al Vangelo, in quanto i suoi più facoltosi committenti timbravano alla Curia di Roma.
- 1597-99, olio su tela, 112x97cm, Palazzo Barberini – Roma
Sulla scena ritroviamo un fanciullo, Narciso, mentre si specchia nell’acqua per ammirare la sua bellezza con una spiacevole sorpresa. La composizione è giocata sulla figura geometrica del cerchio, il cui centro è il ginocchio, nel quale c’è un’inversione (l’effetto riflesso) che diventa un chiasmo pittorico, un incrocio a x, una specie di memento mori che rimanda subito al parallelismo tra il viso fanciullo reale e quello adulto del riflesso. Come firma, Caravaggio appone la sua minuzia nella realizzazione dei particolari: l’acconciatura, i tessuti, le decorazioni, le pieghe, le cuciture…
Sono ancora vivi i dibattiti sulla paternità di questa tela, ma, a mio avviso, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che questo quadro non possa che essere stato dipinto da Caravaggio: l’utilizzo di colori vivi, intensi e fotografici che caratterizzano composizioni basate su dinamiche linee diagonali di personaggi emotivamente coinvolti in scene dove non c’è sfondo, dov’è il buio a regnare, e illuminati solo da una luce radente che mette a fuoco la loro tragedia; la scelta di rappresentare la drammaticità teatrale, barocca dei suoi soggetti e non la loro santità eterea: rappresenta il dolore della Madonna, la passione di Cristo, i sacrifici dei santi, Giuditta e David come eroi, sì, ma spietati, il sangue, lo stizzo, la povertà, il marcio; il richiamo a Michelangelo Bonarroti in primis nei suoi personaggi che escono dal buio come le statue del Maestro cercavano di liberarsi dal marmo, poi, la rappresentazione della bellezza maschile: omosessuali o non, entrambi lo fecero, sebbene in due maniere diverse (Caravaggio rappresenta una bellezza efebica, dolce; Michelangelo una bellezza virile e nervosa. De gustibus!)
Il messaggio è per la gente del suo tempo, è un’allegoria moderna. Ecco perché Narciso indossa degli abiti estemporanei. Il dipinto è prevalentemente immerso nell’oscurità e il riflesso di un uomo non più giovane è l’unica mesta realtà per chi non s’è curato altro che del suo aspetto. La composizione a cerchio ci ricorda il raccoglimento introspettivo di Amleto con il teschio in mano. La contemplazione in ginocchio a mo’ di preghiera ci fa pensare a un uomo che si chiede se sarà tardi per mettersi a pregare. Nel dipinto prevale, così, un clima malinconico di chi non si è vissuto il presente, troppo preso da sè stesso, e che, ora, vive nel rimorso. Caravaggio parla di una giovinezza che è un lampo come simbolo di un presente chè è troppo breve per non essere vissuto: non bisogna esitare o rimuginare per non avere un futuro di rimorsi. La vita è breve e tutti dobbiamo morire: die young, live fast and leave a good looking corpse (muori giovane, vivi veloce e lascia un bel cadavere), come diceva John Derek.
Lasciamoci con una citazione di Lorenzo il Magnifico:
Chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza.