(Vajont) Note
Le storie, come la poesia, non bastano. Bisogna che qualcuno le racconti. Alcune storie si tramandano perché divengano coscienza civile e siano qualcosa di più d'un racconto. Una narrazione è più ampia di un racconto: è il sangue di un paese, un guardarsi e riconoscersi in quelle storie, movimenti, gesti e parole; riconoscersi perché se ne riconosce la gente. Una narrazione ha delle radici. Non può essere inventata, deve avere il genio dei luoghi e del tempo. Deve abitare in noi prima che noi la ascoltiamo. In seguito, l'ascolto e l'attenzione, rafforzano le radici e la voce che narra le cose ci porta alla terra e ai corpi, unisce il passato e il presente, interroga il futuro. Un epos riguarda un popolo, non una semplice famiglia o un solo nucleo di persone, e affiora affidandosi alla materia del caso, alla sua precisione che incastra i tasselli uno ad uno, come nessuna invenzione può fare. Un epos chiede, alla voce narrante, di sapere più di quello che racconta, ma lasciarlo un po' segreto, come se la storia dovesse rinnovarsi ogni volta con innesti. Noi ascoltiamo, e il poeta ci commuove a ogni inizio, perché la sua voce è anche la certezza dell'indifendibilità dell'umano, di quell'essere esposti a un naufragio dove sembra scemare il confine tra noi e gli oggetti, tra noi e gli elementi, ma perché si diventi infine ciò che l'umano è potenzialmente.
Se la solitudine e la morte, anche in un canto corale, sono ciò che distingue ognuno e nello stesso tempo sono la vera uguaglianza che ci è data, le voci - tutte le voci - collegano e in questo è il loro significato. Nel collegare - in un tra - si incardina la poesia di Alba Donati.
In tre raccolte, " La repubblica contadina" 1997, "Non in mio nome" 2004 e "Ballata della Repubblica contadina. Dialogo sul contado" 2008 (1) , la poeta originaria di Lucca, ci dà il nucleo di alcune storie che si tramutano da memoria personale a una di nazione. Poesia civile, che mai rinuncia a una parola che sappia costruire oltre la denuncia, quella di Donati è anche poesia che entra nel campo minato del "noi", dove le voci dei morti, uccisi per incuria o per ideologia, si danno in prestito non per domandare esiguo riscatto, ma per renderci il senso della loro forza.
E' così con le poesie di "Portovenere" - autentico poemetto - che narrano di Valerio undici anni, annegato nel 1944 dopo che i tedeschi in ritirata fanno saltare una diga sul Serchio, e ci dicono di Giulia, annegata a cinque anni nell'alluvione che colpì l'Alta Versilia nel 1996. La ripresa di queste poesie, dal primo nucleo uscito nel 1996 in "La repubblica contadina" alla più ampia sezione in "Non in mio nome" 2004, testimonia di come Alba Donati sia stata interrogata da queste vicende e dalle due figure, di Valerio e Giulia, la cui morte si rispecchia in quella di altri bambini condannati dal programma eugenetico messo in atto da Hitler a partire dal 1941.
La morte è ingiusta, ma particolarmente quando non si è nemmeno vissuto.
E' in queste polarità - inizio e fine - troppo ravvicinate, che lo sguardo di Donati coglie dei particolari, minuzie che colpiscono e portano con sé, viene da dire "teneramente", quell'incrinarsi di un intero mondo nella paura dei più piccoli di fronte all' incomprensibile.
"Non in mio nome", include nelle due sezioni finali, poesie sul non facile rapporto di " figlia madre figlia madre figlia ..." e altre su personaggi e persone che l'autrice rievoca. Qui è più gridato il "no" del poeta all'esistente. Alba Donati prende forza dal mondo femminile del "Contado", questo si nota in tutta la sua opera, e lascia che questa forza tracimi per tutti coloro che sono stati esclusi dalla vita. Significativo che in alcuni versi dica: " Per tutti quelli qui non nominati/ è mia grandissima colpa". E sembra credere più alla politica che alla poesia.
Certo apprezzerebbe il libro di Tina Merlin sulla tragedia del Vajont: " Sulla pelle viva" (2), con la sua concretezza e l'asciutto esporre i fatti in una denuncia che raccoglie anche l'afflato autentico di una lunga resistenza. E' questa provincia italiana che diventa cifra dell'intero paese e che da luoghi non vicini, come le Apuane e il Vajont, per quel carattere di nazione - intesa come integrità e vicinanza delle sue culture, dialetti e lingua - che molti nell'epoca attuale disconoscono, sbagliando, ci dà una mappa dell'anima o se preferiamo un fotogramma d'insieme prima che i tempi svoltando di nuovo cancellino anche i resti di un mondo che è stato sacrificato alla logica dei mercati, dello spettacolo e di un fare solo cose facili: sempre le peggiori.
Non stupisce il decalogo di letture che Alba Donati ci dà alla fine di "Non in mio nome".
Noi possiamo ricomporlo o arricchirlo con altri nomi, farlo nostro come una biblioteca tascabile, da ricordare e conservare per tempi dove i libri sembrano essere di troppo, come le persone che dicono no, come le bambine che non nascono più perché bambine, come gli alberi che non smettono di crescere, come gli operai che sono fuori dai cancelli, come le voci di qualcuno che dobbiamo diventare.
1 - Alba Donati, La repubblica contadina, City Lights Italia 1997.
Non in mio nome, Marietti 2004.
Ballata della repubblica contadina. Dialogo sul contado, Lietocolle 2008
8 - Nella sua poesia è presente la fede o più ancora un senso del sacro. Un lungo discorso che potrebbe partire da Pascoli e passare per Etty Hillesum. Il sacro è non perdere mai la speranza. Non perderla mentre vedi un bambino massacrato insieme ai suoi compagni di scuola da terroristi e forze del neo- KGB congiuntamente. Il sacro, a volte, è la felicità stretta tra i denti, la felicità fragile, deperibile, eppure che ti muove il cuore. 9 - In " Non in mio nome", nella seconda parte del libro, ci sono poesie sulla tragedia nascosta dei bambini che la politica eugenetica di Hitler condannò a morte.
Lo sa che dal 1934 al 1975 un programma eugenetico fu messo in atto in Svezia?(1) e (2)
Pensava a fatti simili quando scriveva: " perché il benessere non è il bene/ ma la sua ferita/ [...]/" Certo. Due atti criminosi davvero incredibili. Il benessere è la parola del boom economico, fu la parola del futuro, del progresso. Ma, io credo, tradì se stessa nel momento in cui comparve. Il benessere era tutto materiale, lavatrici, tv, macchine, e il bene? Si è perso per strada. Sarebbe stato meglio realizzare il bene invece del benessere. Salvaguardare l'essenziale e patteggiare col superfluo. 10 - Quando scrive a sua figlia, lei sembra volerle lasciare un piccolo testamento d'amore.
Di solito, in poesia e in narrativa, siamo più avvezzi a figlie che scrivono alle madri; lettere cariche di troppo non detto, anche di rabbia: comunque parole postume.
C'è troppo dolore ancora tra madri e figlie. Io mi fermo al testamento d'amore. Mia figlia ha nove anni, per il dolore c'è tempo. Adesso viviamo un tempo di favola che è quella gioia fragile e deperibile di cui parlavo prima. 11 - Come critico letterario e poeta cosa le interessa della poesia italiana contemporanea? Un'altra domanda? A parte gli scherzi mi interessa la poesia, la voce di un poeta quando arriva forte e chiara, non mi interessa il diktat dei critici ancora oggi avanguardisti che decidono cosa deve avere una poesia e cosa non deve avere. Da quella tradizione è derivato un disagio a dire certe parole: ispirazione, consolazione, emozione. Mi interessa Claudio Damiani ad esempio, il suo progetto umanista. 12 - Lei ha scritto anche su quotidiani diffusi, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino... che risposte ha avuto dal pubblico in questo suo parlare di poesia? Ottime, davvero ottime, è stato un bel periodo con tanti riscontri in particolare sulle donne: Dickinson, Szymborska, Cavalli. 13 - Segue i lit-blog di poesia e letteratura in internet? E come vede la poesia in rete? No a dire il vero non la seguo, a volte seguo, involontariamente, discussioni tra poeti su facebook. Ma c'è tanta invidia in giro, tanta violenza. Bisogna davvero trovare i propri amici.
Valerio era un bambino di 11 anni che mentre attraversava un ponte per aiutare gli sfollati a tornare verso le loro case, morì trascinato via dalla corrente del fiume. Era saltata una diga ad opera dei tedeschi. Valerio era mio zio, e quel giorno con lui c'era mio padre che aveva 13 anni. Possiamo immaginarci cosa significasse tornare a casa e dire, io ci sono lui no? Mio padre mi aveva raccontato l'evento un migliaio di volte, ma solo la dinamica, a ripetizione. Ad un certo punto ho sentito che quel dolore dovevo portarlo a compimento: integrare la dinamica con i sentimenti. E Giulia è arrivata in un giugno terribile, portata via da un'alluvione che devastò l'Alta Versilia. Lei fu ritrovata intatta nel golfo di Portovenere dopo una settimana. Io li ho fatti incontrare, laggiù in fondo al Tirreno, nel loro mondo a rovescio. Nella loro vita che poteva essere per noi che viviamo dal dritto, un'indicazione preziosa per non perdersi.
Grazie innanzitutto per 'lontane dal conformismo e dall'anticonformismo'. Se così fosse per me sarebbe un ottimo lavoro.. Le mie donne, dalle nonne alle mamme alle vecchie zie, alla figlia disegnano una linea di matriarcalità nella quale sono vissuta e vivo. Sono, le donne, una linea Maginot di strenua sopravvivenza in un mondo in cui si era solo mogli o figlie. Queste donne della mia vita mi hanno insegnato valori assolutamente intramontabili, come la parsimonia, la cura dell'altro, l'ombra, la tenacia, il sacrificio, il lutto, e anche la gioia, lo spirito positivo, il calore. La loro era un'epoca tragica, segnata da guerre e sparizioni, io, figlia degli agii conquistati con fatica, mi sento un passaggio tra loro e il futuro, un futuro dove mia figlia possa trasportare quei valori, non dimenticarli. Pensi che oggi - lei ha nove anni - ha scritto una lettera alla sua ex maestra con la penna d'oca - è inorridita quando le ho detto che con una mail faceva prima. Io dunque vedo il passaggio: da là, dal passato remoto al futuro. Non so come avvenga ma avviene.
2 - Tina Merlin, Sulla pelle viva, Supplemento a L'Unità 1997
Qui di seguito la conversazione con Alba Donati.