Di scena a Orlando (Florida) l’All Star week-end più atteso al mondo, nel quale le stelle più luminose del parquet (americane e non) si esibiscono in svariate ed appaganti sfide, culminanti nell’match clou, il quale vede in campo i più importanti giocatori della Eastern Conference contro i più in forma della Western.
L’All Star week-end iniziava, come di consueto, di venerdì, sebbene con un importante innovazione imposta dagli organizzatori dell’evento, ovvero il match Rising Stars o più semplicemente una sfida derivante da un melting-pot di rookie e sophomore, scelti dai due simbolici allenatori i quali daranno i rispettivi nomi al proprio team, gente del calibro di Shaquille O’Neal e Charles Barkley.
Team Shaq nettamente favorito in partenza, sebbene bisognasse calcolare che la prima scelta effettuata da O’Neal fosse praticamente inutilizzabile, poiché Blake Griffin era maggiormente atteso nella sfida più importante un paio di giorni più tardi. Classica amichevole in campo, atta al divertimento della platea di Orlando, con difese bucate sino all’inverosimile, talmente deboli da suscitare le vive proteste dei puristi del basket, ormai quasi rassegnati della mancanza di agonismo in tali sfide nel fine settimana delle stelle. Il vero padrone del campo è la stellina di Cleveland Kyrie Irving, candidato al titolo di Rookie of the Year e neo MVP dello scontro iniziale dell’All Star Game. Irving, autore di 34 punti e 9 assist, viene affiancato dal peso sotto le plance di Cousins dei Kings e della mirabile partita di Paul George di Indiana, atteso il giorno seguente nella gara delle schiacciate. Per il Team Shaq, perdente per 133-146, spettacolo da parte del neo inserito Ricky Rubio e buone prestazioni da parte del futuro di Detroit, ovvero Monroe e Knight.
Il sabato era la giornata dedicata alle sfide particolari nell’ All Star Game Contest, istituite per eleggere il miglior giocatore in una determinata tipologia di gioco, spettacolare o meno che sia. La gara delle schiacciate è da tempo una delle particolarità più ambite, soprattutto nell’anno in corso, ancora memori del volo sublime di Blake Griffin oltre un auto. Quest’anno il titolo spetta a Jeremy Evans di Utah, sconosciuto ai più, ma in grado di battere la concorrenza di saltatori del calibro di Budlinger (il migliore dopo lui), Paul George e Derrick Williams, assistito dallo spagnolo Rubio. Si prosegue nello Skills Challenge, prova che testa le svariate abilità dei diversi playmaker della lega, gara spesso vinta con semplicità da Steve Nash. E’ un altro membro della vecchia guardia, ovvero Tony Parker a trionfare facilmente su avversari troppo grossi e impacciati quali John Wall, Deron Williams e Russel Westbrook. Decisamente più importante delle ultime due sfide, la gara del tiro da 3 punti, alla quale sono ovviamente invitati i cecchini più a loro agio oltre il perimetro. Grande sorpresa per gli appassionati di basket per la vittoria di Kevin Love di Minnesota, poiché si pensava s’immaginava fosse una partecipazione goliardica la sua, non insidiosa per tiratori scelti come Jones e Chalmers degli Heats e Kevin Durant dei Thunders. Più preciso degli altri il lungo dei Timberwolves (o meglio meno falloso), il quale porta a casa una vittoria tanto importante quanto inaspettata, segnale che la staticità dei ruoli statunitensi sta velocemente mutando, con la presenza sempre più viva di lunghi in grado di essere pericolosi in ogni zona del parquet, pericolosissimi per qualsiasi difesa (scuola-Nowitzki).
In programma per domenica una delle partite più seguite dell’anno cestistico per l’elevato tasso di gradimento estetico unito all’imbarazzante calo di vigore agonistico. I migliori giocatori della Eastern Conference sono chiamati a battere la mirabile compagine occidentale, probabilmente in svantaggio sulla line-up, ma con una rosa impressionante, comprendente validi ricambi per uno qualsiasi dei cinque ruoli esistenti. Difese più inesistenti che altalenanti, in un incontro impregnato delle migliori azioni cestistiche rintracciabili sul pianeta. Dispiace per le assenze degli infortunati italiani Gallinari e Bargnani, soprattutto per quest’ultimo che sarebbe certamente entrato almeno nella lista dei riservisti della squadra dell’Est, piuttosto sguarnita nel ruolo di pivot. Pubblico di Orlando ammaliato dai voli di LeBron James (fresco rinunciatario dello Slam Dunk di sabato) e Blake Griffin, malgrado l’attenzione si rivolga con identico piacere ai più eleganti Bryant e Wade (la dura marcatura di Flash ha fatto sanguinare il volto del Mamba). Grandi marcatori dell’incontro il giovane Durant con 36 punti e MVP della serata nella vittoria sua, ma soprattutto di un Kobe Bryant da 27 punti, con i quali ha superato un tale Michael Jordan nella classifica Top Scorer dell’All Star. Bene anche Griffin con i suoi soliti 22 punti e Paul, regista da 12 assistenze, per lo più alley-oop. Dall’altra parte lotta “The King James” con altrettanti 36 punti, ma troppo labile la panchina orientale, composta dai neo inseriti Luol Deng, Roy Hibbert e Andre Iguodala. Magistrale opera di Dwyane Wade, il quale chiude in tripla-doppia la sua serata, unendo ai suoi 24 punti (giudicati da lui stesso insufficienti nel post-gara), ben 10 rimbalzi e 10 assist. Sorpresa Westbrook ad ovest, autore di 21 punti, nonché di alcuni dei più sensazionali voli sopra il ferro, ancor più apprezzati sei derivanti dalle giocate aeree di un playmaker. Nulla da fare per la Eastern Conference, alla sua seconda sconfitta consecutiva, ma onore alla Western, obiettivamente più completa e solida.
Filippo Caiuli