In archivio anche le NBA Summer League 2013 a Orlando e a Las Vegas, appuntamenti importanti dopo il Draft per verificare i giocatori scelti, dare un’occhiata ai miglioramenti dei ragazzi già a roster e provare qualche elemento tra quelli in uscita dal college e non chiamati e quelli che hanno giocato fuori dagli Stati Uniti. Per la prima volta inoltre la NBA ha deciso di assegnare un titolo alla squadra vincitrice del torneo: in Florida si sono imposti gli Oklahoma City Thunder mentre nel deserto del Nevada hanno vinto i Golden State Warriors.
A Orlando i Thunder avevano uno squadrone, con Reggie Jackson, visto nei playoff come vice Westbrook, a dominare. Il play nato in Friuli ha chiuso come top scorer del torneo a 19.5 punti di media ma soprattutto ha fatto capire di essere giocatore di altra dimensione. Stesso discorso per Jeremy Lamb: l’esterno da Connecticut arrivato nell’affare Harden, dopo un anno a guardare Durant e soci, ha mostrato lampi pazzeschi, killer instinct e una naturalezza nel fare le cose che in pochi hanno. Per lui quasi 19 punti e 3 assist di media: si candida ad essere il nuovo sesto uomo importante di OKC che ha avuto inoltre grossi miglioramenti dal centro Daniel Orton e qualche buona cosa dalla matricola Steven Adams, centro neozelandese chiamato col pick numero 12.
Sugli scudi il padrone di casa Victor Oladipo, seconda scelta assoluta, fin da subito impostante come playmaker, o almeno come creatore di gioco. 19 punti e 5 assist di media per l’ex Indiana che ha mostrato di poter imparare in fretta e assumersi la leadership della squadra. Totalmente dominante Andre Drummond, big man dei Detroit Pistons: un uomo tra i bambini come dicono le cifre, 15.5 punti col 52%, 15 rimbalzi e 2 stoppate di media. Bene anche il suo compagno, il rookie Kentavious Caldwell-Pope. Per i Boston Celtics hanno fatto vedere buone cose la matricola Kelly Olynyk, lungo bianco da Gonzaga, capace di segnare in ogni modo anche se poi da verificare al piano di sopra: 18 punti col 58% (tira anche da tre) e 8 rimbalzi di media. Scintillante il play Phil Pressey, rookie da Missouri, che ha viaggiato a quasi 7 assist di media e si è guadagnato il contratto. Inoltre grandi indicazioni da Terrence Jones, ala da Kentucky che farà da spalla a Dwight Howard ai Rockets (16 punti e 7 rimbalzi di media).
A Las Vegas l’MVP è andato a Jonas Valanciunas. Il centro dei Toronto Raptors ha viaggiato in doppia doppia a 19+10 di media, mostrando inoltre grossi miglioramenti nel suo gioco dopo un anno di adattamento. E’ piaciuto per come ha interpretato ogni partita, sia fisicamente sia mentalmente. Ottimo il suo compagno Dwight Buycks: la guardia ex Marquette ha brillato con 23 punti, 5 rimbalzi e 7 assist di media e si è guadagnato un triennale con i Raptors, che hanno vinto la concorrenza di Thunder. Ha fatto strabuzzare gli occhi John Henson: lo pterodattilo dei Milwaukee Bucks è stato impressionante a rimbalzo e per la protezione del proprio ferro e ha anche messo 18 punti di media. Con Valanciunas e Henson, nel primo quintetto sono andati anche Kent Bazemore, Jeff Taylor e Cody Zeller.
Bazemore ha guidato i Warriors al successo, ha mostrato miglioramenti al tiro e si candida ad un ruolo importante come backup di Curry e Thompson. Con lui, soprattutto per i 33 punti in finale, grande anche Ian Clark, combo guard da Dayton che è stato eletto Mvp della finale stessa (e ha appena firmato un biennale con gli Utah Jazz). Lo svedese dei Bobcats è andato oltre i 20 punti di media e pure lui ha fatto vedere grandi progressi. Zeller è stato nettamente il migliore tra i rookies a Las Vegas per come ha interpretato ogni gara e per la prontezza mostrata: oltre 16 punti e 9 rimbalzi di media per l’ex Hoosiers.
Lampi importanti anche per CJ McCollum dei Blazers: per leadership, capacità di segnare nei momenti chiave e prolificità ha ricordato il futuro compagno Damien Lillard. Bene anche Tony Snell dei Bulls, che a molti ha ricordato Kawhi Leonard, Archie Goodwin dei Suns, Reggie Bullock dei Clippers e Dennis Schroeder, tedesco degli Hawks. Più deludenti Ben McLemore, Otto Porter e Shabazz Muhammad: tante luci e poche ombre per il primo (0 assist e 18 perse), fuori cast il secondo, impreparato e sottotono il terzo.