Proprio da Reggio Emilia – da Reggiolo, per l'esattezza – è partito il “Consorzio Primavera”. Direzione Garda, provincia di Verona. Il 10 febbraio 2009 il consorzio vince la gara d'appalto per la costruzione del centro ecologico del paese indetta dal Comune, per un valore di oltre mezzo milione di euro, incassato il 20 marzo dell'anno successivo, data in cui il fabbricato è stato consegnato.
Ma quello è un consorzio sul quale più volte si sono posati gli occhi degli inquirenti, in particolare del prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro, che ha bloccato vari subappalti affidati alla ditta di proprietà dei fratelli Francesco e Raffaele Todaro, quest'ultimo genero del boss della 'ndrangheta Antonio Dragone, ucciso nel 2004 nella faida con la 'ndrina dei Grande-Aracri.
Proprio a Dragone, capobastone dell'omonima 'ndrina, si deve la creazione della locale dell'area modenese-piacentina, creata durante il soggiorno obbligatorio a Quattro Castella, vicino Reggio Emilia.
Per tale parentela (acquisita), Raffaele Todaro – che del consorzio è il procuratore – ha affermato di essere discriminato, anche se gli inquirenti raccontano una storia un po' diversa. «Siamo fortemente preoccupati che una ditta rappresentata dalla famiglia Todaro, originaria di Cutro in provincia di Crotone e che nel 2010 ha ricevuto le interdittive antimafia dal prefetto di Reggio Emilia, dal Tar e la scorsa settimana anche dal Consiglio di Stato, abbia potuto aggiudicarsi un appalto a Garda», spiegano i consiglieri d'opposizione al Corriere del Veneto. «Ci sono costruzioni dove girano milioni di euro in un momento di forte crisi, che ci sembrano molto sospette», evidenzia la capogruppo Anna Codognola, «Ci chiediamo da dove arrivino tutti quei soldi per costruire case lasciate poi vuote o sfitte e attività commerciali che sul lago sono dirette da tanti personaggi del Sud Italia. Da nostre informazioni, un intero paese in provincia di Cosenza, Acri, sta per trasferirsi sul lago di Garda: per fare i turisti? Non crediamo proprio».
Dal Comune, intanto, spiegano che tutte le carte sono in regola. Quelle antimafia comprese. Al di là delle dichiarazioni – evidentemente poco al passo con le ultime inchieste giudiziarie e giornalistiche – dell'opposizione comunque, chiedersi come una ditta possa essere interdetta in Emilia e lavorare in Veneto, comunque, diventa una domanda a cui trovare risposta nel più breve tempo possibile.