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Nel cuore nero di Lou Ford

Creato il 18 gennaio 2012 da Dallenebbiemantovane

Nel cuore nero di Lou Ford

Essere ammalati ha i suoi vantaggi. Quali? Sei costretto a stare in casa, ergo guardi più televisione oppure (se la televisione ormai ti fa schifo o quasi) guardi più dvd.

Questa settimana ho noleggiato una commedia e un noir. La commedia la trovate il 20 gennaio, l'altro film si intitola The killer inside me (USA 2010, di Michael Winterbottom, noir)  e fa veramente venire i brividi. Avevo sentito parlare da dio del romanzo originario, di tale Jim Thompson (che lo stesso Stanley Kubrick avrebbe voluto trasporre sullo schermo e considerava "una delle più sconvolgenti e credibili narrazioni in prima persona di una mente criminale che siano mai state scritte"), e prima o poi lo leggerò, ma come faccio di solito, ho preferito anticipare con le immagini.

Negli ultimi anni, con Tarantino, Rodriguez e sodali, ci siamo abituati a una violenza spettacolarizzata, decontestualizzata, che fa ridere, che non angoscia, come quando nei cartoni animati Wilcoyote si spiaccica, viene investito, gli esplodono i candelotti di dinamite addosso, ma nella scena seguente lui risorge sempre.

Qui no. Qui le esplosioni di violenza del protagonista sono pressoché immotivate, inaspettate, brutali e soprattutto irreversibili. Una sceneggiatura ben scritta ha dosato una colonna sonora innocente, paesaggi incolori da grande sud, un protagonista (il sorprendente Casey Affleck) con una faccia da bambino e un cuore nero come la pece.

Ormai tanto cinema made in Usa ci ha abituati alla dura realtà dell'uomo che si crede al di sopra della legge per il semplice motivo che la legge è lui, ma qui siamo di fronte a un poliziotto di cui gli altri poliziotti non possono che diffidare, un lupo sotto le spoglie dell'agnello.

Nulla a che vedere con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Italia 1970, di Elio Petri, con Gian Maria Volonté e Florinda Bolkan - premio Oscar 1971 come miglior film straniero), dai molteplici risvolti e ambizioni, influenzato da Dostoevskij, Brecht, Reich e Kafka, riflessione su potere e anarchia, responsabilità dell'individuo e della società, pellicola storicamente e geograficamente inconfondibile: l'Italia degli anni '70 non è il Texas degli anni '50. 

Thompson, infatti, pubblica il romanzo - riedito in Italia nel 2012 da Fanucci sulla scia del film - nel 1952. Siamo dalle parti del pulp, il pulp vero, quello di Cornell Woolrich per intenderci.

Antirealistico, privo di connotazioni politiche, il personaggio di Lou non agisce per vendetta, rivalsa, non uccide per amore o altri motivi passionali, non uccide per denaro e non uccide mai per sbaglio o senza premeditazione. Uccide anche due donne, due donne che lo amavano e che anche lui, in un certo senso, amava. C'è un killer dentro di lui, e lui lo sa. Perché ci sia lo si intuisce da piccoli flashback e altri indizi, ma non riusciremo mai a solidarizzare con lui, orrificati come siamo dal dolore delle sue vittime. Persino le scene di sesso fanno paura, qui.

Un film davvero duro, con attori ben scelti, Affleck ma anche l'incantevole Jessica Alba (un po' meno Kate Hudson, attrice da commedia sofisticata, qui un po' a disagio), Ned Beatty, Elias Koteas, Bill Pullman in una comparsata finale.


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