“In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”. Così scrisse Andy Warhol, nel marzo 1968, a Stoccolma per il catalogo di una mostra al Moderna Museet. Frase reiterata nel 1979: “…my prediction from the sixties finally came true: In the future everyone will be famous for 15 minutes”. Bella la traccia del tema di attualità proposto agli esami di Maturità 2011: “Il candidato, prendendo spunto da questa previsione di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla ”fama” (effimera o meno) nella società odierna e rifletta sul concetto di ”fama” proposto dall’industria televisiva (Reality e Talent Show) o diffuso dai social media (Twitter, Youtube, Facebook)”.
L’espressione di Warhol è entrata a far parte del linguaggio comune: “ho avuto il mio quarto d’ora di notorietà”. Fossi stato tra i banchi, non avrei avuto dubbi, nella scelta del tema. L’effimero al tempo di internet, della proliferazione e della democratizzazione dei media. Il giornalismo tabloid, l’eccesso di voyerismo, grandifratelli e isoledipresuntifamosi hanno fatto il resto.
C’è anche un sito internet, ispirato alla frase di Andy Warhol, pieno zeppo di video postati da aspiranti ai 15 minuti di famosità: http://15tofame.com/
La traccia mi ha ricordato anche un gran bell’articolo di Alexander Stille (profetico anche lui), del 2009:
“Disposti a tutto per 15 minuti di celebrità
La famosa frase di Andy Warhol “nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti” si sta rivelando molto realistica. Basti pensare alla sempre maggiore diffusione di mezzi di comunicazione, dai canali tv ai social network, e al successo planetario dei reality televisivi. Per non parlare di un fatto avvenuto qualche settimana fa: due coniugi americani, Tareq e Michaele Salahi, sono riusciti a infiltrarsi, senza invito, a una cena alla Casa Bianca dove si sono fatti fotografare accanto al vicepresidente Joe Biden e ad altri personaggi famosi.
Addirittura, Michaele ha stretto la mano al presidente Obama. A quanto pare la coppia, lui figlio di viticoltori, lei proprietaria di 300 paia di scarpe (lo ha dichiarato in un’intervista), aspira a partecipare al reality Vere casalinghe di Washington, D.C. In un mondo mediatico che si sta mordendo la coda, ormai non si distingue più la realtà dalla finzione: i Salahi sono diventati famosi perché sono stati fotografati vicino a persone famose. Perché hanno offerto sui media uno spaccato della loro vita, anche se quasi fittizio. In realtà – se si può ancora parlare di realtà – i Salahi sono indebitati fino al collo. Della loro casa si sono impossessate le banche e i genitori di lui vogliono vendere le loro vigne per pagare i debiti del figlio e di sua moglie, quasi un milione di dollari. L’immagine di coppia ricca è solo apparenza. Quarant’anni fa, lo storico americano Daniel Boorstin scrisse un libro dedicato a una categoria allora emergente, le celebrità: A celebrity is a person known for his well-knownness (Le celebrità sono persone famose per il fatto di essere famose).
Un altro esempio del meccanismo, per certi versi perverso, alla base del successo è quello del campione di golf Tiger Woods. L’episodio in sé è banale: un atleta tra i più ricchi e dotati del mondo, tradisce la moglie. Fatto che, normalmente, non meriterebbe commenti. Dopo il “fattaccio”, però, sono saltate fuori diverse donne pronte a farsi intervistare per parlare dei loro rapporti extraconiugali con Tiger. Naturalmente, non c’è posto per il pudore in un mondo costruito attorno all’importanza di apparire. Quelle che in altri tempi sarebbero state definite “donne poco per bene”, invece di vergognarsi si sono vantate per avere i loro quindici minuti di celebrità.
La vanità umana è sempre esistita. Anche gli antichi desideravano gloria e fama. Si dice che Giulio Cesare abbia pianto rendendosi conto che, alla stessa età di Alessandro Magno, non aveva fatto quanto il condottiere macedone. Però Cesare ambiva al successo per i suoi meriti. «L’eroe diventa famoso», ha scritto Boorstin «per ciò che ha fatto, mentre la celebrità è nota per l’immagine che dà di sé».
Anche l’Italia non è immune dalla voglia di celebrità. Pensiamo al caso di Noemi Letizia. Non solo è diventata famosa lei, ma hanno avuto i loro quindici minuti di gloria anche i suoi fidanzati, quello vero e quello finto, “arruolato” per distrarre l’attenzione dalla festa dei 18 anni della ragazza alla quale è intervenuto il Presidente del Consiglio. I nuovi mezzi di comunicazione, per esempio le fotocamere dei cellulari, offrono sempre più opportunità di finire sotto i riflettori, volutamente o no. Pensiamo al caso dell’ex governatore del Lazio Piero Marazzo: un video realizzato con un telefonino ha reso pubblico ciò che fino al giorno prima era privato, portando alla luce il mondo oscuro delle trans di Roma e dei loro frequentatori. Nel frattempo, che cosa succede dei problemi del mondo “reale?” Sta crescendo l’economia italiana? Si farà la riforma sanitaria negli Stati Uniti? Sembrano domande antiquate, di un altro secolo”.
Fossi stato candidato, avrei osato. Oggi i quindici minuti di notorietà sono tutti per Luigi Bisignani. E’ proprio vero: il futuro non è più quello di una volta.