Nel Lazio un mausoleo a un macellaio fascista con soldi pubblici

Creato il 02 ottobre 2012 da Oblioilblog @oblioilblog

Ha destato molto meno scalpore di quanto meriti una vicenda inquietante andata in scena nel comune di Affile, dalle parti di Subiaco, in provincia di Roma. Qui, infatti, è stato eretto un monumento in memoria a Rodolfo Graziani, gerarca fascista ed efferatissimo viceré etiope, autore della più crude violenze colonialiste del Ventennio.

Il sito web del Comune ciociaro lo descrive così:

Figura tra le più amate e più criticate, a torto o a regione. Interprete di avvenimenti complessi s di scelte spesso dolorose. Compì grandiosi lavori pubblici che ancor oggi testimoniano la volontà civilizzante dell’Italia. Seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato.

Una marea di castronerie. Ricorda Henry Bernard Levy che rimuovere il ricordo di un crimine vuol dire commetterlo di nuovo e che il negazionismo è lo stadio supremo del genocidio. Ed è proprio questa l’operazione compiuta ad Affile.

Ne hanno parlato il New York Time e la BBC, in Italia si è mosso solo Gian Antonio Stella con un capitale articolo sul Corriere, poi spalleggiato da Mentana. L’Ansa è arrivata addirittura a pubblicare un virgolettato di Storace:

Non infangare Graziani. Nel processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla Rsi.

In realtà il dizionario biografico Treccani spiega che al maresciallo furono comminati 19 anni di carcere ma grazie a una serie di condoni stette dietro le sbarre molto meno. In realtà, comunque, il processo ruotava intorno al collaborazionismo militare con i tedeschi e non sulle nefandezze del Corno d’Africa che ancora non erano venute a galla. Crimini per cui l’Etiopia chiese l’estradizione, negata però da De Gasperi e Togliatti. 

Qualche dubbio sull’ “inflessibile rigore morale” sorge già viste le ruberie  raccontate dallo storico Angelo del Boca:

Rodolfo Graziani tornò dall’Etiopia con centinaia di casse rubate e rapinate in giro per le chiese etiopi. Grazie a lui il più grande serbatoio illegale di quadri e pitture e crocefissi della chiesa etiope è in Italia.

Uno zuccherino in confronto a certi altri misfatti. Fu Graziani, ad esempio, a coordinare la deportazione dalla Cirenaica nel 1930 di centomila uomini, costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai campi di concentramento nel Sirte. Il tragitto se ne portò via diecimila, altre decine di migliaia i lager.

Sempre Graziani, poi, ordinò una rappresaglia nel ’37 per vendicare l’attentato di un gruppo di patrioti etiopi. Il bilancio fu di trentamila morti. Così scrisse Ciro Poggiali, l’inviato del Corriere:

Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente.

Non furono risparmiati i bambini, tant’è che l’attore Dante Galeazzi, nel suo libro Il violino di Addis Abeba, raccontò:

Per tre giorni durò il caos. Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano.

Negli stessi giorni il clero etiope fu accusato di difendere i patrioti che si ribellavano al fascismo. Allora Graziani ordinò al generale Pietro Maletti di decimare tutti i preti e i diaconi di Debrà Libanòs, il cuore della Chiesa etiope. L’eccidio, per sciacquarsi un po’ la coscienza, fu affidato a musulmani in divisa italiana. Perirono 1.400 religiosi secondo gli studiosi Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik.

Graziani in Etiopia usò anche il gas, i cui effetti sono descritti direttamente dal negus Hailé Selassié:

[Il gas era in] strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume e gente dei villaggi vicini.

Il boia non si faceva molti problemi:

Spesso mi sono esaminato la coscienza in relaziona alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente.

I nipoti dell’imperatore etiope hanno scritto a Napolitano sottolineando che il mausoleo è un incredibile insulto alla memoria di oltre un milione di vittime africane del genocidio, ma che ancora più spaventosa è l’assenza di una reazione da parte dell’Italia. Il deputato congolese del PD Jean-Léonard Touadi ha presentato un’interrogazione parlamentare.

Il monumento è stato dedicato al maresciallo con una variazione sul progetto iniziale che prevedeva un sacrario in memoria di tutti i morti delle guerre. È costato 127 mila euro, tutti soldi pubblici.

Fonte: Il Corriere della Sera.


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