Nel confine tra Malawi e Mozambico ci sono delle donne che cercano di far sentire gli uomini non lontano da casa. O almeno di non fargli mancare il calore. Sono prostitute e hanno come clienti i tanti camionisti che passano il confine.
I camionisti sono costretti a trascorrere la notte a Mwanza, nel confine tra i due paesi africani , per via delle lungaggini della dogana. Il Malawi non ha sbocchi al mare : Beira e Maputo , in Mozambico , sono i suoi porti. Tutto l’export del tabacco , di cui è il quinto produttore mondiale e che costituisce la sua unica fonte di valuta , se ne va su giganteschi tir. E i tir ritornano carichi di fertilizzante per le piantagioni. Un giro lungo che può durare per 2 settimane . Due settimane fuori di casa è lungo, l’uomo è uomo.
Judy, Mary, Brigid , Jesse, Esme , Joyce , età variabile dai 23 ai 40 anni , tutte madri , tutte con in mano il cellulare e un rotolo di soldi, molte di loro sieropositive, sono l’élite del piccolo esercito di donne lavoratrici di Mwanza ( arrivano a 200 unità) . Molte soltanto occasionali , senza alcuna consapevolezza delle precauzioni da prendere per evitare il contagio del virus HIV. Ma Molte di loro conoscono a memoria la lezione del preservativo “Niente condom, niente servizio” ripetono insieme. Qualche cliente se ne frega del condom “I peggiori sono i mozambicani , seguiti dagli zimbabwani”.
La Chiesa Romana, salvo ultime notizie, ammette al ricorso del preservativo come salva-vita. Dal Kenya al Camerun al Sudafrica è stato un susseguirsi di reazioni imbarazzate dei portavoce delle Conferenze episcopali. Del resto la Chiesa africana , è da tempo, che non parla con la stessa voce sulla questione. Nel 2005 il cardinale sudafricano Napier dichiarò che l’uso del condom “promuove i comportamenti immorali” senza impedire il diffondersi dell’Aids. Ma nello stesso anno il vescovo keniano Boniface Lele affermò l’opposto “l’uso del preservativo può significare la differenza tra la vita e la morte”.
Una coalizione di associazioni malawiane afferma che l’uso dei preservativi è in aumento , e senza i preservativi il Malawi morirebbe. Nel loro piccolo JUdy, Mary, Brigid, Jesse, Esme, Joyce ne sono consapevoli. E ugualmente consapevoli sono Fatima, Eznat, Violet, Mtisunge e Patricia , che esercitano invece alle porte di Lilongwe, la capitale. Anche loro madri sieropositive e tutte in cura con gli antiretrovirali.
Per adesso in Malawi è più facile individuarne il punto di partenza che quello d’arrivo. E’ un paese piccolo , 14 milioni di abitanti , e povero anche in termini africani , dove 9 su 10 vivono coltivando la terra e oltre la metà deve accontentarsi di un dollaro di reddito al giorno. Vi abbondano di cose tristi : la malaria, la siccità. E l’Aids : oltre 900 mila sieropositivi e un’altissima quantità di sieropositivi , poco sotto un milione. La stima della mortalità a causa da HIV è di 70 mila decessi all’anno.
Eppure il Malawi reagisce. Proprio in questo ambiente catastrofico è stato lanciato cinque anni fa un programma di lotta all’Aids che va ottenendo sorprendenti successi. Il programma è finanziato da italiani ( banche). Il programma si chiama Project Malawi mette al centro della sua azione la lotta contro la trasmissione del virus HIV dalla madre al bambino , durante la gravidanza prima e poi nell’età prenatale. Questo compito è affidato alla Comunità Sant’Egidio.
In Malawi il tasso di trasmissione del virus alla nascita e nel primo anno di vita è crollato.Garantire la salute dei neonati però non basta. Se la madre non è curata a sua volta ; se i giovani non vengono educati ; se gli orfani non vengono messi in grado di sostentarsi; se le vedove e le nonne che quasi sempre li hanno a carico non riescono a guadagnare due soldi.
Con Sant’Egidio , nl progetto sono coinvolti Save The Children , l’ong Cisp, i boy scout e le guide del Malawi, il Dipartimento della Nutrizione del governo, le Associazioni italiane di pediatria e neonatologia. Ogni anno , un assegno di 3 milioni di euro. Project Malawi è entrato nel suo sesto anno e insieme alle sottoscrizioni raccolte nelle banche. Il personale è quasi esclusivamente locale e intorno ad esso ruotano molti volontari , il che consente di arrivare alle capanne del più remoto villaggio. Dando un’elementare educazione sanitaria.