Magazine Diario personale

nel mulino che vorrei

Da Scorretoblog
Dopo aver passato in macchina i 18 minuti che separano casa mia dal dentista urlando al nulla come un isterico e prendendo fiato ad intervalli regolari di tre secondi ho capito che qualcosa non va.
Alcuni la chiamano pazzia.
Io, al semaforo, la chiamo ‘fatti i cazzo di cazzi tuoi faccia di cazzo’.
Lo ammetto: a volte provo un impulso molto forte di prendere a pugni con cattiveria quelli che dormono inermi in treno o che, apparentemente, stanno soltanto risposando gli occhi.
In aula, invece, immagino spesso di infilzare ripetutamente la bic nel collo di quelli seduti davanti a me in un raptus d’odio splatter.
Alcuni direbbero che sono un represso rabbioso di merda.
Io, guardandoti, direi che vaffanculo.
Il Mulino che vorrei dovrebbe assolutamente essere affacciato su una spettacolare spiaggia caraibica semideserta*, fra le palme ed a non più di cinquanta metri dal mare ovviamente cristallino sempre balneabile, talvolta surfabile e per nulla squalato. Dall’altra parte del Mulino che vorrei, invece, dovrebbero esserci degli stracazzo di grattaceli sempre cupi e sempre alti e sempre costellati da luci alcaline, così tante linee di metropolitana da non poterle contare e fiumi di gente a predita d’occhio da poter odiare.
Insomma: il Mulino che vorrei è un cazzo di paradiso privato mixato con eleganza fra New York e Bora Bora.
Ad ogni modo volevo ribadire che.
Vaffanculo.
*ci dovrebbero essere al massimo solo bellissime modelle disponibili e felici ma non eccessivamente vivaci

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