nella provincia del sud con Redford e Brando...
Creato il 11 marzo 2011 da Omar
Bubber Reeves (un imberbe e ancora sconosciuto Robert Redford) evade dal carcere e, lungo la strada per il Messico, arriva dalle parti del suo paese d'origine. Qui sua moglie (Jane Fonda nel suo periodo mozzafiato) è divenuta l'amante di Jake, figlio dell'uomo più ricco del luogo. La sua presenza scatena gli istinti peggiori mettendo gli abitanti più bellicosi sulle sue tracce. Solo lo sceriffo Calder (un immenso Marlon Brando) cerca di sedare gli animi per evitare un linciaggio, ma il suo intervento risulterà nullo. Un parco-attori di prim'ordine per questo strepitoso La caccia (1966), lungometraggio tratto da un romanzo di Horton Footee firmato dal compianto Arthur Penn: uno dei più fertili e strutturati esponenti di quel movimento per cui la critica coniò la definizione di «New-Hollywood». La pellicola si prende il suo tempo - due ore abbondanti - per presentarci i personaggi e definire le coordinate della vicenda, sviluppata per mezzo di un meccanismo a orologeria che sfocerà in un finale toccante e incredibilmente saturo di crudeltà. Il regista rovescia l'assunto (in quegli anni praticamente dogmatico) per il quale la provincia statunitense è un ricettacolo di «gente tranquilla» e «laboriosa» mostrandocene invece l'aspetto più torbido e malato. Ciò che vien fuori è un ritratto spietato degli aspetti più gretti e meschini della società americana (qui c'è il Texas del petrolio sullo sfondo, e non è forse un caso visto
che siamo a pochi anni dall'assassinio di Kennedy a Dallas, con tutti i rigurgiti potilici della faccenda), dove gli istinti bestiali sono mascherati dietro una patina ipocrita di perbenismo. Dove anche la legge è costretta a tacere dinanzi alla prepotenza del potere. L'interpretazione di Brando è da brivido (con il pestaggio conclusivo che riporta a Fronte del Porto - nonché ad un certo larvale masochismo che l'attore stesso si riconoscerà più tardi nella propria autobiografia), ed è ingiusto considerarlo alla stregua dei tanti film deludenti che l'attore girerà in quegli anni per pure ragioni alimentari (cfr. I due seduttori, A sud ovest di sonora, I morituri etc.). Un opera magari a tratti un po' enfatica che - come usava in quegli anni - talvolta eccede nel melodramma, capace però di mettere in scena un dramma civile con guizzi di maestria che ribaltano gli schemi narrativi classici utilizzandoli in maniera innovativa e una tecnica registica che (nonostante le ingerenze della produzione, a quanto pare assai invasiva) è ancora oggi ammirevole. Imprescindibile!
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