La giungla di Tikal si sta svegliando alla luce delle nostre torce. Le scimmie urlatrici schiariscono la voce con grida preistoriche. Le scimmie ragno scaldano i muscoli dondolandosi tra i rami.
Tikal, nel nord del Guatemala, era sede di una delle più potenti colonie Maya della storia. Nel suo periodo di splendore, tra il 200 e il 900 d.C., ospitava 100.000 persone. Prendiamo posto insieme ad una ventina di turisti assonnati sulla scalinata del Tempio IV, il più alto della Mesoamerica con i suoi 65 metri.
Una coltre di nubi bianche copre l’orizzonte. La levataccia di oggi non verrà ripagata da un’alba spettacolare. Mauricio, la nostra guida locale, riempe l’attesa con una introduzione rapida alla civiltà Maya. Chiudo gli occhi per un’eternità e quando li riapro Mauricio sta parlando di calcio. Con mezz’ora di ritardo sulle sue previsioni intravediamo le punte di tre piramidi spuntare dalla foresta. Due turisti giapponesi hanno già scattato un centinaio di foto quando accendo la mia reflex, metà delle quali a formazioni nuvolose indefinite. L’altra metà a tre teenager inglesi nel loro anno sabbatico. Sfilano con make up sfumato e retrogusto a rum e cola. Non sono ancora andate a dormire da ieri ed amano sottolinearlo al pubblico pagante.
Abbandoniamo il punto di osservazione e ci dirigiamo al complesso del Mondo Perduto, il più grande centro cerimoniale di Tikal. Ruota attorno alla maestosa Piramide 54, in cui si avverte l’influenza dello stile di Teotihuacan, altra importante colonia precolombina a un’ora dal centro di Città del Messico. La struttura veniva utilizzata per osservazioni astronomiche: la posizione del sorgere del sole rispetto alle altre piramidi marcava i solstizi e gli equinozi.
Quando raggiungiamo la piazza principale il sole è già alto.L’agorà rappresenta un microcosmo dell’intera colonia ed è dominata da due piramidi costruite una di fronte all’altra: la più grande dedicata al re Jasaw e la più piccola alla sua regina. Oggi non è possibile scalare le due piramidi, ma le due sommità comunicavano senza fatica tra loro grazie alla evoluta ingegneria acustica Maya. Questo dimostra la crescente separazione tra le classi sociali. Una novità rispetto all’insediamento di Copan in Honduras. Il popolo restava a terra mentre le famiglie reali e i sacerdoti occupavano le cime delle piramidi.
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La piazza è chiusa per un lato dall’Acropoli Nord: il complesso più antico di Tikal. Mauricio decide di prendersi mezz’ora di riposo all’ombra di un albero. Noi ci arrampichiamo sul Tempio 22 che domina l’acropoli. Godiamo la vista dell’intera piazza. Osserviamo un’altra guida battente bandierina guatemalteca attraversare il prato verde. Si posiziona su una pietra circolare nel mezzo e batte le mani. La eco prodotta suona come il richiamo del quetzal, volatile coloratissimo e simbolo del Guatemala. Dietro di lui un gruppo di turisti di mezza età annuisce furiosamente. Il loro abbigliamento è costituito da scarpe da montagna, calzettoni rinforzati e cappellino a doppia tesa. Oggi manca solo il gringo con bastoni telescopici e quello con carabina anti-giaguaro.
Non è insolito avvistare i timidi felini nelle aree periferiche del sito. L’area di Tikal è protetta dall’UNESCO anche per la ricchezza della sua fauna.
Il nostro gruppo si raccoglie sulla cima del tempio lontano da Mauricio. Pur provenendo da luoghi lontani siamo molto simili nel vestire: costume da bagno, infradito, occhio spento e canottiera di una marca di birra. Preferibilmente di qualche paese del sud-est asiatico.
Lucy, una ragazza londinese, si è presentata stamattina senza nessuna conoscenza previa. Non per pigrizia, giura lei, ma per lasciarsi impressionare dalla novità e dalla maestosità dell’architettura. Mi stava convincendo della bontà del suo approccio, finché non l’ho sentita rivolgersi a una connazionale con quello che spero sia solo un lapsus linguae: “Questi Inca spaccano!”. Evinco che sono l’unico ad aver svolto i compiti a casa, e per questo capisco il difficile lavoro delle guide turistiche, specialmente di quelle che conducono i tour per gruppi di backpackers. Mauricio ha una missione impossibile: spiegare in poco tempo una civiltà complessa. Ad alunni con deficit attenzionale. È obbligato a utilizzare storie fantasiose e metafore colorite per mantenere la classe sveglia.
Non prenderò più parte a un tour organizzato. Studierò da solo sul mio Kindle e organizzerò personalmente le mie visite.
Abbandoniamo le rovine in carovana, sotto lo sguardo di un coccodrillo, simbolo dell’oltretomba Maya. L’animale sacro ci osserva dal suo stagno recintato con occhi gialli e affamati. Ci sediamo ai tavoli di plastica del bar del centro turistico. Un’ora di attesa per il bus che ci riporterà all’ostello Los Amigos, nostra casa temporanea di Flores, sul lago Peten.
Ben, un ragazzo di Brisbane con i ricci cerca il mio sguardo. “Birra?” chiede. “È mezzogiorno meno dieci. Tecnicamente è ancora presto per bere”, rispondo tra il serio e il faceto. “Ci siamo svegliati alle tre stamattina, mi sento come fossero le sei di sera.”
Obiezione accolta. Cerveza per tutti. I tour organizzati dagli ostelli non sono poi così male nella loro biodiversità.
Stefano Frigerio
Dopo aver vissuto “normalmente” fino alla laurea, la mia vita ha preso una serie di pieghe strane impreviste che mi hanno portato negli ultimi anni prima a vivere in Australia a Bondi Beach, successivamente a Vancouver, per terminare a Santiago, Cile. Ho lasciato il mio contratto a tempo indeterminato per seguire le mie passioni: la scrittura, il surf ed il viaggio on the road. In rigoroso ordine alfabetico.