A Sabratha c’è il sito archeologico patrimonio dell’Unesco. Un teatro antico rimasto nel tempo. Per miracolo non è stato toccato dalla violenza che in Libia vede confrontarsi i ribelli contro i fedelissimi a Gheddafi.
La palazzina distante 300 metri dal sito è stata distrutta da un colpo di mortaio. Le pareti portano i segni di mitragliate e proiettili di armi pesanti. La battaglia c’è stata anche in questa città , che dal 22 febbraio in poi è stata uno die punti cruciali per l’avanzata dei ribelli verso la capitale.
Sulla strada costiera che dal confine con la Tunisia porta a Tripoli è a Sabratha che si vedono i primi segni della guerra. Le case alte hanno i tetti sfondati , non ci sono vetri intatti nella parte alta , gli incendi hanno annerito le facciate. A meno di un chilometro dalle rovine romane , si trova un ammasso di macerie e ferri contorti: è quel che rimane di una caserma rasa al suolo da un Raid Nato.
Sembra impossibile, quindi, che bassorilievi marmorei o i preziosi mosaici del sito siano stati risparmiati. Il muro di contenimento della scena del teatro è stata bersagliata da raffiche e quindi inciso sulla storia su queste pietre vecchie 1800 anni. Ma è tutto. Sono intatti i mosaici , nel museo, restaurati da archeologi italiani. Troneggia al centro dei marmi la statua di Giove.
Ai fedelissimi di Gheddafi della cultura non interessa nulla , neanche sanno cosa è Sabratha. I carri armati hanno sparato nelle strade della città e i cittadini speravano che nessuno venisse in mente di rifugiarsi nel sito. Con i bombardamenti Nato si è temuto il peggio. Le raccomandazioni dei ribelli alla Nato era di bombardare soltanto obiettivi sicuri , su indicazioni loro.
Mehmet Amhara , responsabile amministrativo del sito “Abbiamo deciso di restare qui negli uffici , ci siamo armati di bastoni e qualche coltello e abbiamo dormito vicino al museo”. A guardia delle opera d’arte. Il 17 agosto i ribelli avevano deciso di entrare nella città e Sabratha era prona a dargli una mano.
Il 18 agosto a Sabratha sventolava la bandiera della Libia liberata. “Ho dovuto ancora difendere il sito – racconta un custode – tutti quei giovani euforici che si arrampicavano ovunque rischiavano di fare danni”