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Neri Pozza e Lea Quaretti

Creato il 29 settembre 2012 da Emilia48
Neri Pozza e Lea Quaretti

Carlo Diano, Neri Pozza e Lea Quaretti nel 1968 (C) Francesca Diano

 

Nella vecchia foto scattata in quella che era allora la nostra nuova casa – mio padre l’aveva comprata di corsa in pochi giorni, perché quella in cui vivevamo stava crollando sotto il peso dei libri –  Neri e Lea stanno chiacchierando con mio padre. Diano sta ridendo, di quel riso aperto e a pieno cuore che gli era proprio e Lea Quaretti, che si vede di  profilo, sorride. Neri Pozza  osserva mio padre con quello sguardo severo che da bambina mi intimidiva e mi faceva ricordare l’orco delle favole, anche per quei suoi sopraccigli imperiosi. Sul tavolino la bottiglia di Jack Daniels che non mancava mai in casa, insieme al Curvoisier, perché il cardiologo aveva detto a mio padre che era un vasodilatatore.

Il ricordo più antico che ho di lui e di Lea  è a Bressanone, dove vennero a trovarci – credo fosse la fine degli anni ’50 – nella casa di Via dello Scivolo che s’affittava per le vacanze e i Corsi Estivi e Lea, che era una salutista, si mise ad insegnarmi degli esercizi a corpo libero. Ma l’immagine  più vivida è  di un giorno di gennaio  nella loro casa di Cortina. Avevo 16 anni ed eravamo a San Vito di Cadore per le vacanze di Natale. Neri volle vedere mio padre e andammo a trovarli. Il salotto si apriva su una grande vetrata con una vista mozzafiato. C’era un signore che a me parve vecchio, ma in realtà era poco più che quarantenne. Sedeva sul bracciolo della poltrona di Lea e per tutto il tempo che rimanemmo non pronunciò quasi parola. Giocherellava con la collana di perle che Lea Quaretti aveva al collo. Mi parve un tipo molto singolare e affascinante, perché pur come fosse estraneo a tutto e a tutti, pareva trovarsi benissimo in qual suo isolamento e nessuno si meravigliava di questa sua quasi astratta presenza. Si chiamava Andrea Zanzotto.

Nei loro incontri, Neri e mio padre discutevano molto animatamente. Entrambi avevano un carattere focoso. Agli occhi di una ragazzina quelli avrebbero potuto apparire dei litigi, ma non mi impressionavano, perché così, piena di passione, e viva e  accesa era  allora l’anima di questi uomini. Vedo ora  la differenza con gli asti e le rivalità sterili e poco eleganti di oggi, la  passione intellettuale, il piacere profondo dello scambio, l’onestà intellettuale e l’amore per il sapere.

Lea mi piaceva molto. Mi piaceva il contrasto del suo carattere, aperto, limpido e diretto, con quello più ombroso di Neri. Mi piaceva il suo viso con gli occhi grandi e la bocca carnosa e quando poi lessi “L’estate di Anna”, uno dei suoi romanzi, quello che mi piacque di più, in quella donna, in quella storia d’amore e in quella Venezia ve la riconobbi. Mi parve molto autobiografico. Anzi, posso dire che la Venezia di Lea, una città sensuale e piena di vita intellettuale, con quel clima anni 50,  si è poi depositata nella mia memoria come archetipo, fondendosi con la Venezia/Bisanzio di Sergio Bettini, il mio Maestro. L’ultima volta la vidi, con Neri, credo un anno prima che morisse. Ad Abano, per una mostra d’arte. Aveva un’aria stanca, provata mi parve, ma la sua presenza era sempre imponente, avvolta in una pelliccia di visone grigio davvero elegante. Con me c’era un mio caro amico, Simone Viani, allora uno dei più geniali giovani storici dell’arte e figlio dello scultore Alberto Viani. Ci eravamo ritrovati dopo vari anni dall’università, dove avevamo avuto gli stessi maestri. Simone non aveva 40 anni quando ci ha lasciati, portando con sé la sua intelligenza straordinaria, la sua generosità e il suo ingegno.

Fu molto divertente una volta, a un pranzo in una villa veneta in occasione di non ricordo più che convegno, quando mi trovai seduta – io, ragazzina adolescente – accanto al Conte Nuvoletti. Sapevo vagamente che aveva sposato la sorella di Agnelli e che viveva d’arte ed eleganza, ma ascoltai questo suo discorso che pareva tratto dalla scena di un film. Questo raffinatissimo signore, molto blasé, corredato di erre blesa, si mise a dire che non capiva cosa volevano questi operai della Fiat e i loro sindacati, che non facevano che scioperare. Che in fondo avevano molto. Lui invece era – disse – una persona di gusti semplici. Gli bastava un bicchiere di buon vino e un buon sigaro per essere felice. “Sì, ma in una villa veneta e con i gemelli di diamanti!” dissi io che rimasi allibita a questa assurdità. Non posso scordare lo sguardo di disprezzo e di orrore insieme del povero Conte Nuvoletti, che si sentiva così apostrofato da una stupida ragazzina adolescente. A pochi posti di distanza sedeva Neri Pozza. Il suo sguardo era invece molto divertito.

A casa di Neri, a Vicenza, ci s’andava spesso e anche in casa editrice, dove mio padre veniva caricato di libri come pagamento per i diritti delle opere che Neri Pozza gli pubblicava. Credo che molti dei suoi autori siano stati pagati così. Però erano libri bellissimi, dei migliori cervelli che l’Italia abbia prodotto e davvero è un rimpianto che un editore come Neri Pozza sia scomparso dal nostro panorama culturale.

Un giorno mio padre ricevette da Vicenza una busta che all’interno conteneva qualche francobollo per alcune centinaia di lire. Ma non erano francobolli da collezione. Era il pagamento dei diritti d’autore per “Forma ed evento”. Mio padre disse che voleva metterli in cornice. Credo però che li abbia usati.

(C) 2012 Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA



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