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Nessuna cultura senza sfruttamento?

Creato il 06 dicembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Roberto Gerilli Nessuna cultura senza sfruttamento? Nel giro di pochi giorni sono nate due importanti discussioni riguardanti la cultura italiana, con particolare riguardo allo sfruttamento dei lavoratori del mondo del cinema e dell'editoria. Il polverone è stato alzato dal regista Ken Loach che tramite una lettera aperta ha comunicato di rifiutare il premio assegnatogli dal Torino Film Festival. Mostrando solidarietà con i lavoratori, Loach ha focalizzato l'attenzione pubblica su una scottante realtà del nostro paese. “È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film."
"I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema. Tuttavia c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile. A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (MNC). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro Paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari. In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili. Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, “Bread and Roses”. Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio”.

Una presa di posizione netta, che fa onore a Loach e sottolinea (per l'ennesima volta) le brutte figure internazionali che la nostra povera Italia non sembra più capace di evitare. Come se non bastasse questo, è arrivata la lettera aperta indirizzata dalla Rete dei Redattori Precari a Stefano Boeri, assessore alla cultura di Milano.

“Gentile assessore Boeri, Lei ha dichiarato che l’industria editoriale rappresenta uno degli orgogli di Milano. Lo sono anche i lavoratori precari che tengono in vita quel mondo? È chiaro che lei non ha idea di quali siano le condizioni economiche e lavorative che le case editrici milanesi, piccole e grandi, impongono ai tanti precari che assicurano gran parte della produzione editoriale. Caro assessore, le chiedo di documentarsi, e vedrà che sarà costretto a rivedere almeno in parte, e spero a ritrattare pubblicamente, la sua affermazione, perché l’editoria è uno dei settori che più sta deprimendo le aspettative e i talenti di centinaia di lavoratori della conoscenza, giovani e non”. 

Siamo dunque arrivati al punto che in Italia non può esistere cultura senza sfruttamento? E soprattutto… perché nessun telegiornale parla in maniera adeguata di questo problema? Agli italiani interessa veramente di più il demagogismo dei politici piuttosto che conoscere la realtà di questa situazione insostenibile?

Un piccolo barlume di speranza viene proprio dall'assessore Boeri, che tramite Affaritaliani.it ha risposto alla Rete dei Redattori Precari dicendosi aperto al dialogo.

"Il Comune di Milano, attraverso l'assessorato alla Cultura di cui sono responsabile, è disponibile a farsi promotore e a organizzare, già prima di Natale, un incontro tra i rappresentanti dei precari dell'editoria e gli editori stessi. Sono perfettamente consapevole del fatto che nelle case editrici il precariato esista, e che in generale ci siano dei problemi legati al lavoro nella filiera del libro, altrimenti non avrei ospitato l'appello dei lavoratori Fnac durante la conferenza stampa di presentazione di 'Bookcity'. Allo stesso tempo, però, sono convinto che un'iniziativa come 'Bookcity' sia stata positiva per il settore, che non vive un momento facile, e che ha bisogno di scosse positive […]Ci tengo anche a sottolineare l'impegno dell'assessorato alle Attività Produttive del Comune di Milano, che sta promuovendo una serie di momenti di riflessione sul precariato in tutti i settori."


A prescindere dall'esito di questo incontro, bisognerebbe ricordarsi che la cultura non ha bisogno di Umpa Lumpa che lavorano per un pezzo di cioccolato, ma di professionisti seri e qualificati. E la professionalità deve essere pagata adeguatamente.

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