C’era questo tizio, chiamiamolo Fabio C. - trent’anni fa si chiamavano quasi tutti Fabio, Claudio o Roberto. Solo nella mia classe, i Fabio erano quattro. - basso, testa grande che i capelli ricci rendevano ancora più ingombrante, sempre a posto, “un ragazzo perbenino”, avrebbe detto mia madre. Fin troppo, pensavamo noi della compagnia. E per compagnia non intendo banda, gang o roba del genere. Quelle patetiche accozzaglie che oggi raccolgono soltanto la feccia dei quartieri.
Per far parte della compagnia non erano necessari ridicoli e sciagurati riti d’iniziazione che scimmiottano realtà morali e culturali ben al di sotto della pur nostra disastrata realtà. Per entrare nella compagnia bastava essere amico di qualcuno che ci stava già e non importa se non eri figo, sgamato o non avevi la Cagiva. Volevi farti le canne? Bene. Non te ne fregava niente? Va bene uguale. Ci andavi solo ogni tanto? Non c’è problema, chi c’è c’è. Niente scorribande, nessuna prepotenza verso i coetanei, solo una tranquilla vita di periferia; motorino, musica, ragazze, chitarre e un sacco di freddo d’inverno.
La riprova di tutto questo era Fabio C. e altri come lui. Ragazzi “a postino” che si mescolavano con altri ragazzi completamente diversi per classe sociale, gusti o livello culturale.
Era però un fatto quasi automatico che i bravi ragazzi fossero bersaglio di scherzi a volte atroci. Fabio C., per esempio, aveva un fiammante Garelli Gulp monomarcia azzurro, che conservava pulito e lucido come probabilmente sua madre conservava puliti e lucidi i pavimenti di casa. Qualche volta, lei si presentava in compagnia, sgridandolo per ritardi ridicoli o per non aver ancora fatto i compiti. Sembrava una gnoma: rotonda come una mela, dall’andatura dondolante e una chioma di boccoli biondo cenere che io sospettavo fortemente essere una parrucca. Insomma, Fabio C. era un maniaco del suo motorino. Sempre munito di fazzolettini di carta, puliva ora una cromatura leggermente opaca, ora lo specchietto retrovisore, ora il poggiapiedi sporco di qualche granello di terra. Sarà per questo che un giorno, complice una sua distrazione, qualcuno ha infilato un preservativo usato sulla manopola del gas. È qualcosa di terribile lo so, ma è anche una specie di contrappasso, una lezione di vita, un riportare la scala dei valori coi piedi per terra. La reazione di Fabio C. fu quanto di più prevedibile ci si potesse aspettare da un tipo come lui: di schifo immenso, ribrezzo, nausea e, se non fosse stato davanti a svariate ragazze, probabilmente avrebbe anche pianto. Lo ricordo ancora con i fazzolettini di carta che puliva alla meglio la manopola chiedendo se qualcuno avesse per caso dell’alcool, annusandola ripetutamente tornarsene a casa accelerando con pollice e indice, stando bene attento a tenere le altre dita ben distanti, col mignolo alzato all’inverosimile come se dovesse bere una tazza di te alla festa di compleanno della nonna.
La morale di tutto questo? Nessuna.