Magazine Diario personale
Ma va bene lo stesso: c’è anche chi cerca di andare al di là del titolo e della lettura trasversale di un articolo, altra pessima abitudine degli umani moderni, tanto godersi l’ironia di chi sa ridere della propria incapacità di seguire un sentiero di montagna di bassa difficoltà, così easy che anche mia cognata sarebbe stata in grado di non perdersi. Ma alla fine leggiamo ciò che ci aspettiamo di leggere, è nella natura umana, le parole si trasformano una volta toccate dallo sguardo assumendo l’aspetto che noi vogliamo.
Non mi pare un dramma. La lettura di questo Blog non è obbligatoria, non faccio giornalismo, esprimo opinioni sulla base della mia esperienza e di cui chiunque può fare a meno. Non sono come certi intellettuali che pensano di avere la verità in tasca e la usano come merce di scambio. L’esperienza di una che non conta, in fatto di ascolti e share, ha pochissima importanza, va messa comunque in discussione, contrastata sulla base del nulla, o peggio di un dogma: io non ho visto per cui non credo.
Peccato! Credendo sul serio agli asini che volano si possono addirittura vederli. Così come pensando di poter toccare il cielo con un dito si può essere veramente felici: ma se lo dico io, non conta.
Come sì può credere a una che ha amato un clown rumeno senza nome e senza circo, che ha trascorso ore della propria infanzia e adolescenza sul muro di cinta di un vecchio manicomio a conversare amabilmente con i matti e che quando si sbucciava le ginocchia ci sputava sopra, e basta, e che si accontenta di avere una larga stanza per ballare per sentirsi al centro del mondo e dell’universo. Come si può credere a chi non ha un nome che conta veramente, che non sta in tivù, che non fa numero.
Siamo così abituati a guardarci attraverso un monitor da affidare la nostra opinione al numero di pixel che di ognuno possiamo vedere, alle pagine di Google che contiamo digitando un nome. La considerazione che abbiamo degli altri si misura solo con il metro comune della popolarità e del censo, abbiamo un redditometro al posto del cuore non più un muscolo pulsante che riesce a intuire attraverso il calore di una mano.
Eppure le parole più sagge le ho ascoltate da Signori e Signore nessuno, da attori di compagnie di giro scalcagnate costretti a dormire in auto dopo una fulgida carriera tra altri Signori nessuno: perché oggi se fai teatro vali meno di un cazzo. Perché anche i Maestri si valutano in base allo share.
Eppure le parole più incisive sono state quelle di Pablo, che negli anni ottanta soggiornava a piazza Farnese, e di Mary, una puttana bolognese che dopo essersi bruciata il cervello con gli acidi era arrivata a Roma e qui si era persa, persa come i nostri abbracci, che non capisco proprio dove siano finiti o dove si sono dispersi, ridotti a due freddi baci sulla guancia a distanza di sicurezza.
Dove sono finiti? Dove sono finiti i nostri abbracci? Forse tra un :D e un :* rapido e fin troppo usuale, stretti tra emoticon e punti sospensivi, tra un “LOL” e uno “Yeah” sensuale e un po’ pornografico. Ma ci mancano lo sguardo, lo stringente tu per tu, l’alito, l’espressione assente o quella sincera, le braccia, incrociate o aperte, le postura: formale e rigida, molle e confidenzale. Ci manca il sorriso “live” che dice sempre la verità.
Lo dico perché lo so e perché l’ho visto: questo dovrebbe bastare.
Per me è arrivata l’ora di guardare in faccia e a lungo le persone cui regalo il mio tempo. Credere a uno sguardo sincero e all’esperienza di un Signor Nessuno è come presumere di poter volare solo perché abbiamo stretto nel pugno il filo teso di un aquilone, è vero, avete perfettamente ragione. È sicuramente più conveniente e sicuro percorrere vie battute piuttosto che sentieri montani dalle indicazioni ambigue, certamente è più importante il nostro dogma che l’esperienza dell’altro, di un Signor Nessuno. Si mette in dubbio e si replica, non ci si domanda nemmeno per un attimo se, quel punto di vista, può essere accolto e anche compreso.
Io so volare. E poco importa se nessuno mi crede.
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