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Netanyahu

Da Aquilanonvedente

netanyahuQualche giorno fa, durante una trasmissione televisiva, Paolo Mieli, parlando delle imminenti elezioni in Israele e della prevista vittoria del fronte di centro-sinistra, disse: “Di una cosa siamo sicuri: in Israele i sondaggi funzionano!

E infatti s’è visto come hanno funzionato.

Mi sono ricordato di quando nel 2001 Ehud Barak, che era primo ministro uscente del partito laburista, veniva dato per vincitore da tutti i sondaggi e invece venne sconfitto da Ariel Sharon. In quell’occasione qualcuno disse che si era trattato di una manovra voluta appositamente dai rabbini, che avrebbero consigliato i propri seguaci di mentire ai sondaggisti, allo scopo di dare l’illusione ai laburisti di vincere.

Ho sempre paragonato il leader israeliano Netanyahu al Berlusca.

Alle elezioni del 2006 il Berlusca è riuscito a rimontare e alla fine della campagna elettorale ha sparato la promessa di eliminare l’ICI.

Netanyahu ha recuperato facendo leva sul populismo, sulla paura e, alla fine della campagna elettorale, sul rifiuto di consentire la nascita di uno Stato palestinese (almeno è quello che ho capito dai giornali).

Se guardiamo i seggi, il suo partito è passato da 31 a 30. Gli ultraortodossi, che dovrebbero essere i suoi futuri alleati, da 18 a 12. I centristi da 27 a 21. Non ci sarebbe gran che da festeggiare, ma evidentemente anche in Israele s’è fatta strada l’abitudine italiana di partire non da quello che eri, ma da quello che avresti potuto essere. E’ come se si dicesse a una persona che ha un regolare lavoro fisso: da domani sei licenziato. Poi dopo un po’ gli si propone un lavoro sottopagato e glielo si fa passare come un successo, con il trucco che avrebbe potuto andargli molto peggio.

Ora, nell’incasinatissimo scenario mediorientale e in quello ancora più incasinato del mondo islamico, dal Marocco al Pakistan, viene da chiedersi quale ruolo giocherà in futuro Israele.

Vorrei fare un discorso molto semplice.

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Prendiamo un arabo qualsiasi, che al mattino si alza e non c’ha una mazza da fare; che vive in un posto semi distrutto dai bombardamenti; che c’ha mezza famiglia o morta ammazzata o in galera; che vive grazie agli aiuti internazionali; che gli hanno stroncato qualsiasi prospettiva di miglioramento di vita, per sé e per i suoi figli.

Una mattina a questo arabo gli si presenta uno dell’IS che gli dice: vieni a combattere con noi. Anzitutto ti diamo un obiettivo (che nella vita un obiettivo bisogna sempre averlo), poi ti diamo delle regole di vita (basta cazzeggiare tutto il santo giorno), dei soldi (e quando mai li hai visti duemila dollari al mese?) e ti diamo pure una speranza in caso di morte (te ne vai nel nostro paradiso, a trastullarti con qualche decina di pulzelle). Cosa vuoi di più? Quello parte e va, ovvio. Non ci vuole un genio a capire che dal Marocco al Pakistan vi sono infiniti serbatoi di potenziali terroristi.

Orbene, che c’entra tutto questo con Netanyahu?

C’entra nel senso che se noi occidentali vogliamo disinnescare il terrorismo islamico, dovremmo fare alcune cosette semplici semplici.

Primo: favorire e rafforzare quei governi arabi che sono rispettosi dei diritti umani. Il problema non è quello della democrazia, è quello del rispetto dei diritti umani.

Secondo: favorire l’elevazione del tenore di vita di quelle popolazioni, che altrimenti continueranno a emigrare.

Terzo: considerare chiusa la questione israeliana, nel senso che l’esistenza di Israele è un dato di fatto dal quale non si può prescindere. Giuste o sbagliate che siano state le modalità della sua nascita e del suo sviluppo, ora Israele c’è. Per chiudere questa partita non si può non dare una risposta alla questione palestinese, con la creazione di un loro Stato. Lo capisce anche un bambino. Il come, il dove, il quanto sono questioni da risolvere intorno a un tavolo, ma l’obiettivo deve essere quello. Prima si raggiunge, meglio è.

In questo senso Netanyahu rappresenta una risposta inadeguata al problema.

Staremo a vedere…

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