Magazine Poesie
Mattina che non bussa ai vetri, né ti chiama,
a nessuno importa di te, del tuo ritardo,
e la scrivania del lavoro è un deserto
di ambizioni, carte, penne blu e mani depravate.
Dove vanno i tuoi simili stamane?
Lentamente riprendi le forze nel bicchiere
che di latte si tinge nell’alba che piange
lacrime fresche di rugiada e nevoso smog.
Cammini tra banche, finestre, ragazze e pensieri,
sei solo una striscia di infelicità sul marciapiede,
un’isola di noia tra luci e risate al sapore di caffè,
un grumo di intelligenza che non ha voce.
Ti restano i sorrisi forzati di sparuti intelletti.
Pausa pranzo di niente e di tutto, sul piatto.
Che hai fatto tutte quelle ore scandite da parole
e da gesti che da carta nascevano e su carta morivano?
La tentazione della poesia è costante,
in ogni momento ti solletica le guance con dolcezza
finché tu cedi e, nascosto, scrivi versi
che poi butterai.
Non sai che il tempo per fare il bambino è passato,
ora un altro orologio ti afferra il polso ossuto,
e solo di carote, spinaci e cotoletta si parla seduti,
non di cibi, di ambrosia, né lirici greci.
La fame che culla presto finisce
e quel caffè già muore tra le tue mani.
Quando il pomeriggio fa squillare i telefoni
ti rendi conto che un giorno è passato, un altro,
vanamente proteso tra corone di alloro
e cartellini timbrati dalla parte sbagliata.
Chi sei? Che fai? Dove andrai? Da dove vieni?
Domande e domande a spegnere il giorno,
e un crepuscolo di sbadigli repressi s’incide negli occhi,
finché il sole non tinge di viola le nuvole
e la auto che rincasano avvolte da fasci di fari accecanti.
Non hai fatto la spesa, non hai letto il giornale,
un tovagliolo di versi disordinati galleggia nella tua tasca:
la fame serale è un impulso verso casa
che spegnerai fra poco salendo le scale.
Quando la sera s’appoggia sui viali
la pioggia smette di cadere d’incanto,
e l’esistenza diventa un’ingombrante angoscia
che cerchi di sconfiggere perché non sai amarla.
Rientri a casa, da solo, senza mani nei libri,
e sui letti ballano i vestiti di ieri, inerti,
mentre un’arancia aperta a metà eccita la tua fantasia.
Apri la finestra e senti solo un sorridere di tristezze
meno timide delle tue, più capaci di fregarsene.
Poi è quasi notte e la televisione non muore mai,
e nemmeno tu muori, solo, ubriaco e stanco,
porti con te l’ultima bottiglia e l’ultima chitarra del giorno,
finché dormirai senza voglia e senza sogni.
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