Never let me go
Never let me go (”Non lasciarmi” nella traduzione italiana) è uno dei film più attesi del XX Courmayeur Noir in Festival, che si svolgerà dal 7 al 13 dicembre. Il film è stato diretto da Mark Romanek ed interpretato da Keira Knightley, Carey Mulligan e Andrew Garfield. Per vederlo nei cinema italiani bisognerà attendere il prossimo febbraio. Ma prima di essere un film, Never let me go è un romanzo scritto dal giapponese (ma inglese di adozione) Kazuo Ishiguro ed edito in Italia da Einaudi. Alcune settimane fa Emilia Ippolito ha realizzato per il settimanale L’Espresso un’intervista con lo scrittore giapponese per parlare del romanzo e della sua trasposizione cinematografica. Ma anche dell’esperienza di questo scrittore, nato in Giappone ma cresciuto in Inghilterra. E’ la seconda volta che un suo romanzo viene trasformato in un film. La prima volta è stata con ” Quel che resta del giorno”, romanzo che gli ha fatto vincere anche il Booker Prize. Never let me go parla di 3 ragazzi che vivono in un college inglese. Sembrano ragazzi normali, in realtà sono dei cloni creati per diventare donatori di organi. Parlando della clonazione Ishiguro dice: “Ho un approccio pragmatico riguardo alla clonazione di organi. Se si possono salvare delle vite senza arrecare danno ad altre, ben venga. Altrimenti bisogna opporvisi“. Nello scrivere questo romanzo è partito da alcune domande: “Cosa farei se sapessi che devo morire tra una settimana? Cosa vale la pena di salvare? Per me la risposta è semplice: i sentimenti, l’amore e l’amicizia“. Lo scrittore è soddisfatto del film tratto dal suo libro e ritiene che gli attori abbiano “reso bene i personaggi”. Per finire ha raccontato la sua infanzia a Londra: “Frequentavo un liceo nel sud di Londra, nel sobborgo molto borghese di Guildford. Sono aperto ed estroverso, quindi ricordo che non ebbi difficoltà a fare amicizia. Mio padre lavorava come esperto scientifico per il governo britannico e per questo ci trasferimmo in Inghilterra. Il contratto era temporaneo e veniva prorogato ogni due anni. Dunque, fino all’età di 15 anni non sapevamo se saremmo rimasti qui. Questa incertezza ci portava a vivere al di fuori della società inglese. A quell’epoca la società inglese era molto religiosa. Anch’io, come i miei compagni di scuola, frequentavo la Sunday Church School. I sacerdoti ci raccontavano la storia della crocifissione. Ma è una storia cruenta e crudele, che non si racconterebbe mai ai bambini giapponesi. Lo so: questo aneddoto può far sorridere i lettori italiani, ma in Giappone sarebbe impensabile; tutto quel sangue e quella violenza”. (Fonte: L’Espresso)