di Oleksiy Bondarenko
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La crescente importanza dell’India e l’evoluzione della sua politica estera
Il ruolo che l’India possiede nell’Asia e nel Pacifico non può prescindere dalla sua posizione geografica e dalla dimensione continentale del suo territorio, fattori che combinati le permettono di giocare il ruolo sia di potenza marittima, sia quello di potenza terrestre. L’Oceano Indiano costituisce attualmente il principale snodo del commercio marittimo mondiale, dato che rappresenta la principale rotta per i traffici commerciali del Medio Oriente, dell’Africa, della Cina e del Giappone. Le sue acque sono giornalmente percorse dal 50% del traffico mondiale di merci e dal 70% di quello del petrolio. Non è difficile da intuire quanto la libertà e la sicurezza delle rotte commerciali (e dei due principali punti di transito, chokepoints, come lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Hormuz) influiscano sull’intera economia, non solo della regione asiatica, ma anche del Medio Oriente e dell’Africa. Proprio per consolidare il proprio ruolo in questo quadrante strategico, negli ultimi anni l’elite politica indiana ha promosso la creazione di numerosi forum di dialogo multilaterale a livello regionale, come ad esempio l’Indian Ocean Naval Symposium e l’India Africa Forum, e ha provveduto a stringere numerosi accordi su base bilaterale con i Paesi del litorale dell’Oceano Indiano [2].
L’India rappresenta, però, anche una grande potenza terrestre che confina con Cina e Pakistan, condividendo con loro sia interessi convergenti, sia numerose questioni contrastanti. In questo quadro, l’apparato militare e l’arsenale nucleare indiano assumono un peso molto importante nell’equilibrio strategico dell’Asia Meridionale, creando un forte deterrente sia nei confronti di Pechino e della crescente aggressività della sua politica regionale, sia nei confronti di Islamabad e delle sue aspirazioni in politica estera (l’India è uno degli stati che possiede armi nucleari, ma che non fa parte del Trattato di non Proliferazione).
New Delhi è anche un partner commerciale di primo ordine per gli attori regionali e sub-regionali e con la sua crescente popolazione rappresenta un importante mercato per beni di consumo, idrocarburi e offre ottime possibilità d’investimento in settori all’avanguardia come, ad esempio, quello del high-tech. Se gli Stati Uniti sono uno dei principali partner commerciali e degli investitori in India, la Russia vede il mercato indiano come pieno di opportunità, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione in settori che storicamente sono stati i principali canali di collaborazione tra Mosca e New Delhi. Si tratta della cooperazione nel settore nucleare e in quello militare, dove l’India, nonostante alcune recenti difficoltà, è tuttora uno dei principali partner dei grandi agglomerati militari russi, prevalentemente a controllo statale [3].
Alla crescente importanza dell’India sulla scacchiera politica regionale ed internazionale fanno seguito anche crescenti domande di riconoscimento del proprio ruolo. Il principale obiettivo nella politica estera di New Delhi è, infatti, quello di assicurarsi un seggio permanente all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in quanto quest’organo, secondo l’establishment politico indiano, può “difficilmente rappresentare la società internazionale in tutte le sue dimensioni” senza includere al suo interno un attore importante (a livello politico ed economico) come l’India [4].
La politica estera indiana, in effetti, ha subito un importante cambiamento dopo la disgregazione del blocco sovietico. Sin dall’epoca dell’indipendenza, dopo l’affrancamento dal dominio Britannico nel 1947, l’India ha dovuto affrontare numerose difficoltà a livello regionale. La rivalità e gli scontri con il vicino Pakistan e le dispute territoriali con la Cina hanno assorbito i primi anni della sua politica estera, mentre l’impegno nel Movimento dei Non–Allineati a partire dagli anni 60, non ha impedito a New Delhi di sviluppare un rapporto particolarmente cordiale con l’Unione Sovietica. Nel 1971, infatti, Mosca e Nuova Delhi firmarono il Trattato di Amicizia e Cooperazione, che ha profondamente segnato le relazioni tra India, Stati Uniti e Unione Sovietica durante il periodo della Guerra Fredda.
Gli avvenimenti della fine degli anni ’80 e dell’inizio degli anni ’90 hanno però reso necessario una rivalutazione della propria azione politica. La scomparsa dell’Unione Sovietica, la stagnazione economica interna e la crescita della Cina hanno imposto un cambiamento di rotta che si è concretizzato con politiche di apertura economica (che prese il suggestivo nome di Nuova Politica Economica) e con la rapida integrazione dell’India nel sistema politico occidentale. Gli Stati Uniti, come sappiamo, contribuirono a questo cambiamento, divenendo nel successivo decennio uno dei principali partner commerciali e politici dell’India.
L’11 settembre 2001, infine, ha avuto un doppio effetto sulle relazioni tra India, Russia e Stati Uniti, lasciando i tre attori con diversi dilemmi. La “guerra al terrorismo”, se da una parte ha avuto l’effetto di rafforzare l’importanza dell’India come attore regionale e ha permesso di beneficiare della cooperazione militare e dell’intelligence sharing con l’Occidente, dall’altro ha visto crescere anche il ruolo del Pakistan, riacutizzando la rivalità e la percezione della minaccia tra i due vicini.
Solo tenendo in considerazione tutti questi fattori si può comprendere il ruolo che l’India aspira ad avere in un quadrante geo-strategico in continuo fermento come quello dell’Asia centro-meridionale. New Delhi è un attore molto importante per la politica regionale sia di Mosca che di Washington, che negli ultimi anni hanno attribuito crescente importanza alla regione dell’Asia–Pacifico e che dovranno affrontare nell’immediato futuro, seppur da punti di vista differenti, il dilemma afghano[5].
Mosca e New Delhi, partnership economica con uno sguardo verso Kabul
La politica dell’Asia Pivot lanciata da Barack Obama in risposta al precedente impegno medio-orientale di George W. Bush, ha generato nuove dinamiche e nuovi allineamenti strategici in Asia, che né Mosca né le potenze regionali come India e Cina possono ignorare. Se il lento spostamento delle priorità politico-economiche di Mosca verso il vettore asiatico affonda le proprie radici nella natura stessa del corso politico imposto al Paese da Vladimir Putin, l’intensità e la rapidità del nuovo riallineamento strategico della Russia sono anche una conseguenza delle mosse di Washington.
La partnership con New Delhi è ovviamente utile a Mosca per promuovere la propria politica in Asia, tenendo nel contempo d’occhio Washington. L’India rappresenta un’importante alternativa regionale alla partnership con Pechino, nonché uno strumento per bilanciare la crescente aggressività di quest’ultima in Asia meridionale e centrale. In questo senso la cooperazione con Mosca rappresenta un ottimo strumento anche per l’India al fine di promuovere la propria posizione in Asia e per limitare la propria debolezza vis à vis con la Cina, che rappresenta tuttora, insieme al Pakistan, una delle principali minacce alla sicurezza nazionale.
Ma la questione che ha priorità nell’agenda politica congiunta tra New Delhi e Mosca è il dilemma afghano. La sicurezza e la stabilità dell’Afghanistan sono essenziali per la Russia per salvaguardare i propri interessi in Asia Meridionale e Centrale. La capacità delle cinque repubbliche ex-Sovietiche dell’Asia Centrale di trasformarsi in Paesi di transito e di collegamento tra Asia Meridionale e Russia, in una forma moderna dell’antica Via della Seta, dipendono inevitabilmente dalla stabilità di un hub regionale importante come l’Afghanistan. Oltre alla posizione geo-strategica di collegamento tra Asia Centrale e Asia Meridionale, Kabul è importante anche per gli interessi in materia di sicurezza della Federazione Russa. Recenti studi hanno dimostrato come l’intervento americano abbia coinciso con un notevole incremento di produzione ed esportazione di oppiacei. La Russia rappresenta il principale mercato di destinazione dell’eroina afghana con tutte le conseguenze sul piano sociale, economico e a livello di sicurezza dei confini che questo comporta. Quello del traffico di droga è un argomento che ha acquisito negli ultimi anni una crescente importanza nell’agenda politica del Cremlino [6].
Infine Mosca continua ad essere preoccupata delle conseguenze che un Afghanistan di nuovo in preda alla guerra civile potrebbe avere sullo sviluppo del terrorismo di matrice islamica all’interno della Federazione Russa, specialmente nella zona del Caucaso. Da questo punto di vista la futura strategia del Cremlino in Afghanistan dovrà essere collegata con la politica di “cecenizzazione” e della normalizzazione della regione più instabile della Federazione Russa.
Pur guardando con apprensione al ritiro delle truppe ISAF (a causa dell’incertezza e della possibile instabilità regionale che esso potrebbe provocare), appare evidente che anche in caso di grave instabilità o di una nuova ascesa al potere dei Talebani, Mosca difficilmente potrà rivendicare un ruolo attivo, dal punto di vista militare, in Afghanistan. Il retaggio dell’invasione sovietica è ancora vivido e i dividendi per un ipotetico intervento volto a garantire la stabilità politica a Kabul appaiono inferiori agli svantaggi che ne potrebbero derivare. Proprio per questo il Cremlino sta cercando altri strumenti per indirizzare la questione afghana, sfruttando la cooperazione con altre potenze regionali come Cina, India e Pakistan. Pechino e Mosca hanno ammesso l’Afghanistan come membro osservatore della Shanghai Cooperation Organization, organizzazione internazionale guidata principalmente da questi due attori (con la partecipazione, in qualità di membri a pieno titolo, di Kazakhstan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan). Anche India e Pakistan hanno un ruolo crescente all’interno del SCO (attualmente con lo status di osservatori), nel tentativo di tenere insieme New Delhi e Islamabad e migliorare il loro livello di cooperazione regionale.
Tra Washington e New Delhi, non solo il dilemma afghano
Nonostante lo sviluppo della cooperazione in alcuni settori, come ad esempio quello commerciale, dove il volume globale degli scambi è di circa 60 miliardi di dollari (solo il 20% rispetto agli scambi degli Stati Uniti con la Cina) o quello militare e del nucleare-civile, che da un’interazione pari quasi allo zero ha visto crescere costantemente la dimensione degli scambi a partire dal 2008, le relazioni tra Washington e Nuova Delhi appaiono ora ad un punto critico, se paragonate al grande riavvicinamento che ha caratterizzato la presidenza di George W. Bush. La visita di Joe Biden a Nuova Delhi e il più recente viaggio del Primo Ministro indiano, Manmohan Singh, negli Stati Uniti, hanno avuto l’effetto, tra le altre cose, di sottolineare l’attuale tensione tra India e Stati Uniti.
Le motivazioni delle difficoltà nelle relazioni bilaterali tra i due vanno ricercate sia nel settore economico, sia in quello strategico. La congiuntura politico–economica che ha caratterizzato il primo decennio del 2000 si è completamente capovolta negli ultimi anni. Gli Stati Uniti stavano iniziando ad accusare i primi sintomi della crisi economica, mentre nel contempo si impantanavano politicamente in Medio Oriente. Per l’India, invece, il primo decennio del nuovo millennio è stato caratterizzato da una grande crescita economica e finanziaria (con un incremento del PIL pari al 8% annuo) e dallo sviluppo di nuove direttrici in politica estera. Durante il secondo mandato di Barack Obama, però, la situazione si è praticamente capovolta e gli interessi tra i due Paesi sembrano ora sovrapporsi in misura differente. L’India sta conoscendo un rallentamento della propria crescita che ha anche l’effetto di evidenziare alcune strozzature del sistema economico che ha adottato a partire dagli anni ’90. Queste difficoltà hanno reso necessarie una serie di misure che hanno rallentato e reso più difficili gli investimenti e la cooperazione con gli Stati Uniti. Le trattative per il Bilateral Investment Treaty (BIT), ad esempio, hanno evidenziato la diffidenza di Nuova Delhi nei confronti di un sistema economico-commerciale completamente liberalizzato promosso da Washington, mentre durante la sua visita di luglio, Biden non ha mancato di sottolineare come le “politiche protezioniste e le alte barriere per l’accesso al mercato indiano siano le principali cause di alcune difficoltà commerciali tra New Delhi e Washington” [7].
Anche dal punto di vista politico le attenzioni dei due partner sono fondamentalmente dirette in direzioni diverse, se non opposte. Gli Stati Uniti sono stati particolarmente “impegnati nel loro disimpegno” in Medio Oriente e la questione siriana ha occupato gran parte dell’agenda politica americana (rallentando lo sviluppo della politica in Asia e nel Pacifico), mentre l’India è preoccupata soprattutto dalle proprie difficoltà economiche interne e dalla necessità di ricalcolare le relazioni con il nemico di sempre, il Pakistan, in seguito all’elezione del nuovo Primo Ministro, Nawaz Sharif,e in previsione dell’imminente ritiro delle truppe ISAF da Kabul.
Bisogna sottolineare, altresì, come la presenza di un vicino ingombrante come la Cina, abbia in un certo senso l’effetto di complicare le relazioni tra USA e India. Carl Baker, direttore del Programs for Pacific Forum al Center for Strategic and International Studies (CSIS), ad esempio, crede che sia impossibile per Washington coltivare le proprie relazioni con l’India senza allarmare Pechino. I due vicini asiatici hanno da sempre avuto un rapporto piuttosto teso, se non proprio competitivo, a partire dal conflitto sui confini nel lontano 1962. Negli ultimi decenni altre questioni strategiche hanno contribuito ad aumentare la tensione. Entrambe sono potenze emergenti con un potenziale nucleare ed entrambe aspirano a diventare una potenza marittima dominante nel quadrante sud dell’Oceano Pacifico.
Washington si trova così in una situazione piuttosto delicata, titubante nel trasformare la cooperazione con New Delhi in una vera e propria partnership strategica per non minare il delicato equilibrio che si è venuto a creare tra Stati Uniti e Cina. I dividendi di una cooperazione per bilanciare la Cina appaiono inferiori ai rischi che entrambi andrebbero a correre. Più che un segnale verso Pechino, quindi, il recente scambio di visite diplomatiche sembra piuttosto un segnale verso Islamabad. Il peggioramento delle relazioni con il Pakistan (soprattutto dopo le elezioni di una personalità come Nawaz Sharif alla carica di Primo Ministro) sembra aver spinto Washington a puntare con maggiore decisione sull’India, soprattutto in ottica dell’imminente ritiro delle forze ISAF dall’Afghanistan, senza però spingersi troppo oltre per non destare troppa preoccupazione a Pechino. Cina e India inoltre, nonostante la loro competizione, condividono alcuni principi fondamentali come il modello di sviluppo economico e il rispetto per la sovranità. I due hanno in comune lo status di Paesi in via di sviluppo e il modello economico cinese sembra più applicabile per New Delhi rispetto a quello americano. Non stupisce quindi che l’India abbia spesso e volentieri votato in maniera opposta agli Stati Uniti all’interno del Assemblea Generale delle Nazioni Unite, soprattutto su temi delicati come le sanzioni all’Iran e al Sudan [8]. Proprio per questo, nonostante il supporto ufficiale all’allargamento del Consiglio di Sicurezza, espresso dallo stesso Joe Biden durante la sua visita in India, la Casa Bianca appare piuttosto tiepida riguardo a un seggio permanente riservato a New Delhi, che su alcuni punti fondamentali andrebbe ad aggiungere il proprio voto a quelli di Russia e Cina.
Islamabad, l’ago della bilancia della politica estera indiana in Afghanistan
Importante, se non fondamentale, nel determinare la politica estera di New Delhi, così come più generalmente di tutti gli attori sul palcoscenico della politica internazionale, è la percezione della minaccia proveniente dall’esterno. I rapporti indo-pakistani sono, in effetti, alla base dell’approccio alla politica estera del governo indiano e del ruolo che New Delhi andrà ad assumere in Afghanistan. Il Pakistan rappresenta la zona più “calda” della regione e viene comunemente riconosciuto come l’attore maggiormente in grado di influenzare le future sorti politiche di Kabul. Lo stesso Hamid Karzai sembra consapevole del fatto che nessuna pace sia possibile in Afghanistan senza il coinvolgimento del Pakistan a causa della sua influenza sui Talebani [9]. La cooperazione di Islamabad sembra quindi essenziale per promuovere con successo un solido (o almeno relativamente più solido) e duraturo processo di pace in Afghanistan. Il Pakistan possiede inoltre un potenziale nucleare e un apparato militare troppo importante per essere completamente escluso dall’organizzazione degli affari regionali.
New Delhi guarda al futuro politico ed economico di Kabul con molta preoccupazione. L’instabilità regionale e lo sviluppo del terrorismo in Afghanistan sono punti delicati per la politica regionale indiana, considerando le possibili ripercussioni sulla questione del Kashmir [10]. La partnership strategica firmata nel 2011 tra New Delhi e Kabul promuove un ruolo più attivo dell’India nel rifornimento e nell’addestramento delle Forze di Sicurezza Afghane, fattore questo che assicura la partecipazione al processo di “sicurizzazione” dell’Afghanistan dopo il ritiro delle forze ISAF. Ma la rivalità con il Pakistan e la storica avversione nei confronti dei Talebani potrebbero complicare l’effettiva collaborazione con l’attuale governo afghano,costringendo l’India ad avvicinarsi ulteriormente ad attori regionali come Russia e Iran per limitare una possibile (o probabile) nuova ascesa al potere dei Talebani.
Dal punto di vista economico, oltre a numerosi investimenti indiani resi possibili dalla relativa stabilità del Paese durante la presenza ISAF (l’India ha garantito oltre a 2 miliardi di dollari in investimenti in infrastrutture come centrali elettriche e addirittura lo stesso Parlamento afghano), l’Afghanistan è anche una zona di transito fondamentale per collegare il sub-continente indiano alle risorse minerarie ed energetiche dell’Asia Centrale e della Russia. Sta facendo passi avanti, ad esempio, il progetto del gasdotto che dovrebbe trasportare il gas turkmeno verso l’India (TAPI), transitando sul territorio nazionale di Afghanistan e Pakistan. La realizzazione di questo gasdotto e i vantaggi economici che l’India (ma anche Afghanistan e Pakistan) ne potrebbe ricavare sono vincolati però al futuro politico di Kabul.
Gli Stati Uniti in questa situazione non sembrano aver ancora deciso una strada da percorrere, consapevoli di non poter trascurare le relazioni con l’India e il suo futuro ruolo in Afghanistan, ma convinti anche di non poter completamente abbandonare quello che è stato storicamente il miglior alleato regionale, il Pakistan, il cui obiettivo è quello di vedere una Kabul non ostile, se non proprio alleata (attraverso l’appoggio ai Talebani), e di limitare il ruolo indiano nel futuro Afghanistan. Queste difficoltà strategiche di Washington sono ulteriormente amplificate da alcuni recenti sviluppi, come l’uccisione, ad opera di un drone, di Hakimullah Mehsud, leader dei Talebani in Pakistan, fatto che potrebbe compromettere il dialogo tra i Talebani, il governo Karzai e quello pakistano, rendendo il futuro dell’Afghanistan ancora più incerto, soprattutto alla vigilia delle nuove elezioni fissate per il 2014.
Appare molto probabile che Islamabad possa adottare nell’immediato futuro tutte le tattiche a propria disposizione per limitare e ridurre il ruolo indiano in Afghanistan, tagliando i benefici che New Delhi potrebbe ricavare a livello regionale e internazionale. Nawaz Sharif sembra del tutto consapevole che tale strategia potrebbe avere come primo ed immediato effetto quello di irrigidire ulteriormente i rapporti con Washington.
Intanto, in questa complessa situazione, Russia e Cina sono alla finestra, pronte ad approfittare del raffreddamento delle relazioni tra Pakistan e Stati Uniti. Proprio negli ultimi mesi sono aumentati i contatti diplomatici tra Mosca e Islamabad ed è cresciuta la cooperazione in settori chiave come quello della difesa, favorita anche dall’adesione di Pakistan alla SCO. Proprio l’organizzazione guidata da Mosca e Pechino aspira a divenire la forza stabilizzante della regione, assumendo un ruolo sempre più importante in Afghanistan e promuovendo la cooperazione tra i due rivali storici, India e Pakistan. Il futuro ruolo di questi attori in Afghanistan dipende anche dalla capacità di Russia e Cina di gestire congiuntamente la SCO che, a partire dal 2014, si troverà di fronte alla prima vera e propria “sfida” dai tempi della sua creazione nei primi anni del nuovo millennio.
Un futuro ancora incerto
Nonostante l’attuale difficoltà di focalizzare l’attenzione sul dilemma afghano, data anche la questione siriana che negli ultimi mesi ha impegnato la diplomazia internazionale, la visita di Joe Biden in India e il viaggio del Primo Ministro indiano negli Stati Uniti hanno un significato molto importante per il futuro delle relazioni internazionali in Asia. Il futuro dell’Afghanistan e gli interessi che i numerosi attori regionali ed internazionali depongono nella regione così instabile, diverranno ben presto il primo punto dell’agenda politica di Washington, Mosca e New Delhi. L’importanza della questione afghana non risiede solo nella stabilità del Paese e negli interessi che la sua mancanza andrebbe a minare, ma comporta delle conseguenze inevitabili sull’intera strategia politica nei confronti dell’Asia e del Pacifico elaborata da Washington (Asia Pivot) e Mosca (Asian Vector). In questo contesto l’India, oltre che la Cina e in buona misura anche il Pakistan, non possono permettersi di assumere il ruolo di spettatori. L’agenda politica congiunta tra Stati Uniti e India non può non tenere conto di tutti questi fattori, che, come si è potuto notare dallo scambio d’incontri diplomatici degli ultimi mesi, costituiscono le basi delle future relazioni tra i due Paesi in un contesto regionale ancora imprevedibile. La Russia, dal canto suo, può contare su legami storici e su una certa affinità d’interessi con New Delhi che ha permesso di sviluppare negli ultimi anni un solido rapporto bilaterale. La preoccupazione del Cremlino di vedere un’India sempre più vicina agli Stati Uniti sembra attenuata nel breve periodo, sia a causa della mancata convergenza d’interessi su alcuni punti principali, sia a causa del ruolo importante che in questo frangente giocano attori globali come la Cina e regionali come il Pakistan.
* Oleksiy Bondarenko è Dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università degli Studi di Bologna (sede di Forlì)
[1] Gli ultimi mesi hanno visto numerosi contatti diretti tra New Delhi e Washington. A luglio il vice-presidente americano, Joe Biden, ha effettuato una visita ufficiale a New Delhi e Mumbai, la prima da parte di un Vice Presidente USA negli ultimi trent’anni. Mentre a fine settembre (dal 25 al 29) è stata la volta del Primo Ministro indiano Manmohan Singh che si è incontrato con il Presidente degli Stati Uniti a Washington.
[2] Maggiori informazioni sui membri e sull’attività dell’Indian Ocean Naval Symposium sono reperibili sul sito internet ufficiale del forum: http://www.ions.gov.in/
[3] È del 16 novembre, ad esempio, la conclusione della vendita da parte di Mosca di una portaerei militare dopo alcuni anni di rinvii.
[4] G. Perkovich, “Toward a Realistic US-India Relations”, Carnegie Endowment for International Peace Papers, 2010
[5] Le modalità del ritiro delle truppe dall’Afghanistan e l’afghanizzazione sono ancora incerte. Si parla del ritiro militare e della permanenza di un “limitato contingente di forze anti-terrorismo e consiglieri militari”che dovranno aiutare le forze dell’ordine afghane a tenere in pugno la situazione nel paese. Un’altra questione che rimane sul tavolo è quella legata alla giurisdizione alla quale dovrà rispondere il personale americano che sarà destinato a rimanere in Afghanistan.
[6] E. Stepanova, “Afghanistan after 2014: The way forward for Russia”, Russia/NIS Center, May 2013
[7] N. T. Bagri, “Biden Urges Closer Cooperation Before India’s Business Elite”, The New York Times, July 24 2013
[8] È evidente in questo caso come la situazione del Kashmir influisca sulla politica estera indiana, soprattutto quando si tratta del concetto di sovranità.
[9] Mahendra Ved, “Afghanistan Post-2014 – India’s options” , India Strategic, June 2013
[10] La regione del Kashmir è tutt’ora contesa tra India, Pakistan e Cina (che rivendica però solo una parte dell’intera regione). A partire dagli anni ’80 è stata terreno fertile per numerose attività terroristiche di matrice islamica. Uno dei principali gruppi organizzati attivi sul territorio è il Lashkar-e Taiba. A tal proposito si rimanda a M. Serra, India-Pakistan: la partita sul Kashmir nel gioco dell’Asia Centrale, BloGlobal-OPI, 7.02.2013.
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