Grafici sulla ripresa alle porte
Ecco perché la recessione sta finendo
Consumi e credito ai minimi, ma sono molti gli indici a risalire, anticipando la ripresa del 2014
ARTICOLO DI
Fabrizio Patti Linkiesta
The last flower and the last ray of sunshine (da Flickr, Fl:ckrnauta)
La recessione è quasi finita. I dati ufficiali dicono che di certo il 2013 sarà ancora in profondo rosso, tanto che l’Ocse, nel suo Economic outlook del 19 novembre, ha abbassato di un decimale le stime per il Pil italiano, dal -1,8% al -1,9 per cento. L’Italia rimane l’unico paese del G7 ancora in recessione e le stime del +0,6% per il 2014 sono tutte da verificare.
Ma segnali chiari arrivano da settimane e sono diversi gli indicatori di una ripresa in vista. Gli ultimi dati sulla fiducia dei consumatori, diffusi martedì 26 novembre, parlano di un lieve miglioramento e lo stesso ha fatto il rapporto “Fili d’erba, fili di ripresa”, appena diffuso del Centro Einaudi.
A mettere in ordine i diversi segnali è anche il Centro studi di Confindustria, diretto da Luca Paolazzi. A partire dal Pmi (Purchasing managers index), cioè indice dei direttori agli acquisti, che registra diverse voci, dalla produzione agli ordini, dalle aspettative alle scorte. Per la prima volta dal 2011 è tornato sopra quota 50, che segnala il confine tra recessione e crescita, sia per i servizi che per il comparto manufatturiero.
Altre linee di tendenza segneranno un cambio di verso nel 2014, dopo anni di discesa. È il caso delle attese sulla condizione economica delle famiglie. Fino a oggi hanno seguito il crollo dei consumi, mentre per l’anno prossimo si tornerà ai livelli della fine del 2011. Si fermerà la caduta degli investimenti, sebbene senza grandi rimbalzi attesi, mentre è molto più consistente la risalita degli ordini. Quelli dall’estero, in particolare, torneranno sui livelli-picco del 2011, mentre per quelli interni i valori sono ancora quasi ai minimi storici. Per quanto ancora in calo, secondo il Centro studi degli industriali la produzione sarà trainata da questo aumento di ordini e scorte.
Nel manifatturiero la fiducia risale, ma in modo diverso: nel Nord-Ovest si raggiunge il valore 100, pari a quello del 2005. Nel resto d’Italia, Nord-Est compreso, si segue la stessa dinamica, anche se su valori inferiori. Una ripresa non certo aiutata dal credito, dato che i prestiti sono in caduta da due anni. Segnali di miglioramento ci sono invece sul fronte della liquidità. E neanche dall’euro, ancora troppo forte, su valori che certo aiutano la Germania ma non certo le esportazioni italiane.
Guarda tutte le slide del Centro studi di Condindustria:
FRANCIA MALATO D’EUROPA/4
Berlino rompe il tabù: la Francia vero rischio europeo
Berlino spaventata: economia francese poco produttiva e Hollande non fa le riforme. Rischio contagio
ARTICOLO DI
Giovanni Del Re LINKIESTA
Il vero pericolo per l’Eurozona? La Francia. La Germania è sempre più preoccupata per la situazione in cui versa lo storico partner dell’integrazione europea, nonostante qualche timido progetto di riforme ventilato dal sempre più debole presidente François Hollande. La preoccupazione non stupisce: la Francia è il primo partner europeo della Germania, nel 2011 le imprese tedesche hanno esportato oltre Reno merci per 101 miliardi di euro, il 10% del totale dell’export tedesco. Soprattutto, nonostante la perdita della tripla A, la Francia, che comunque non è stata ancora declassata a livello B, è considerata da Berlino un bastione importantissimo per l’eurozona e il fondo salva-stati Esm. E se anche la Francia cominciasse seriamente a cedere, sarebbe la catastrofe anche Berlino. Ancora più del caso di un collasso – al momento, per fortuna, meno probabile – dell’Italia.Certo è che dalla fine del 2012 le voci di allarme da parte germanica nei confronti di Parigi vanno moltiplicandosi. Non c’è solo l’economista, divenuto leader del partito euroscettico Alternative für Deutschland, Bernd Lücke. «La Francia ha un deficit elevato, importa da anni più di quanto esporta – tuonava qualche settimana fa – e oltretutto appare incapace di fare riforme. Temo dunque che alla fine seguirà la strada degli altri paesi sudeuropei. E allora la Germania dovrà iniettare somme ingenti anche in questo paese». Molti la pensano così. Ad esempio il capoanalista della Dz Bank, un importante istituto di credito tedesco, Stefan Bielmeier. La Francia, al pari dell’Italia, argomenta che non potrebbe esser salvata in caso di rischio default dall’Esm «E dunque – ha dichiarato – si può dire che la Francia costituisce il maggior pericolo per l’eurozona, insieme, eventualmente, all’Italia». Solo che mentre «in Italia il rischio è soprattutto nell’incertezza politica, per la Francia esso risiede nelle debolezze strutturali».
I timori si avvertono, del resto, anche in dichiarazioni più caute di personaggi di massimo prestigio. Come il membro tedesco del direttivo della Bce, Jörg Asmussen. «La rapidità e l’ampiezza delle riforme – ha detto a settembre scorso – deve essere aumentata, perché una Francia forte da un punto di vista economico è importante per l’intero progetto europeo». A parlare chiaramente di una minaccia francese per l’eurozona ci ha pensato nientemeno che il consiglio dei cosiddetti “cinque saggi”, i superconsulenti economici del governo tedesco. Nel rapporto di fine 2012, il gruppo ha espresso «crescenti preoccupazioni» per la situazione francese. «La Francia – ha affermato uno dei cinque saggi, Lars Feld, che ha presentato il rapporto – è al momento il maggior problema per l’eurozona, non più la Grecia, la Spagna o l’Italia. Questo perché la Francia non ha fatto alcunché per ripristinare la propria competitività, e anzi va in direzione opposta».
Da allora qualche timido accenno di riforma, a dire il vero, il governo Hollande ha cercato di farlo, mentre la ripresa è ormai a portata di mano. Tuttavia è chiaramente troppo poco, non a caso l’ultimo rapporto Ocse sulla Francia pubblicato solo pochi giorni fa parla chiaro. «L’insufficiente aumento della produttività si riflette nel deterioramento della competitività del settore produttivo francese – si legge – e nelle sue difficoltà ad adattarsi alla globalizzazione crescente degli scambi di investimenti». Su una linea analoga del governo tedesco, l’Osce lamenta che, mentre «da alcuni anni è in corso un notevole aggiustamento in numerosi paesi che hanno accelerato l’adozione e l’attuazione di riforme essenziali, questo aggiustamento non ha avuto ancora luogo in Francia».
I dati parlano chiaro: la quota francese di mercato mondiale è crollata dal 6,5% nel 1999 al 3,1% nel 2012. L’Ocse lamenta l’aumento dei salari dalla fine degli anni Novanta molto più rapido di quello della produttività, fenomeno favorito anche dall’introduzione della settimana di 35 ore. Parole non troppo dissimili da quelle contenute nelle raccomandazioni agli stati membri emesse a maggio dalla Commissione Europea, e ratificate a luglio scorso dagli Stati membri e che pronosticano per il paese una disoccupazione al 10,9% nel 2014 «La Francia – si legge – deve tuttora affrontare un serio problema di competitività, come attesta l’erosione delle quote di mercato di esportazione». Le raccomandazioni, oltretutto, contestano il parziale annullamento della riforma delle pensioni del 2010 (che aveva innalzato l’età massima) che «è contro la raccomandazione (2012, n.d.r.) del Consiglio», mentre il sistema pensionistico sarà ancora deficitario nel 2018.
Non stupisce se a fine 2012 la stampa tedesca aveva diffuso la notizia che il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble avesse affidato ai famosi Cinque Saggi l’incarico di redigere un rapporto sulla Francia, con misure concrete da “raccomandare” alla Francia. Una notizia che ha fatto infuriare Parigi e solo in parte smentita, visto che Schäuble spiegò che non aveva dato l’incarico, ma si era limitato a “suggerire” l’idea. Non fu fatto perché, ha detto Wolfgang Franz, il presidente del gruppo dei Cinque Saggi, “sarebbe stata una grave scortesia nei confronti dei nostri colleghi francesi”, gli esperti del governo di Parigi.
Certo, adesso Schäuble si sforza di mostrare la massima cortesia nei confronti di Parigi. A maggio, quando la Commissione europea ha deciso di concedere due anni in più alla Francia per riportare il deficit al di sotto del 3% del Pil (dal 2013 al 2015), il potente ministro delle Finanze tedesco ha difeso Parigi, mentre buona parte della politica tedesca faceva fuoco e fiamme. E tuttavia lo stesso Schäuble non è riuscito a evitare di lanciare comunque un monito: Parigi, ha detto, «non deve abbandonare la via delle riforme». Il tutto mentre anche il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann non si peritava di inveire: «proprio in quanto peso massimo nell’Unione monetaria – dichiarava – la Francia deve fare da modello per gli altri», e ora «servono misure aggiuntive». Se Parigi non correrà ai ripari facendo le riforme del caso, il pressing tedesco non farà che aumentare – con imprevedibili effetti sulla storica “coppia” franco-tedesca. E magari sull’intera eurozona.