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NEWS. Lettera ANESTI Novembre 2013

Creato il 03 dicembre 2013 da Golfpeople

NEWS. Lettera ANESTI Novembre 2013Analisi elaborata da Eutimio Tiliacos advisor Gabbrielli & Associati, past chairman Italian Linacre Society Oxford University, Socio Onorario Assoconsulenza Associazione Italiana Consulenti di Investimento www.assoconsulenza.eu

NEWS. Lettera ANESTI Novembre 2013

LETTERA ANESTI Novembre 2013

Diceva Napoleone che “i dilettanti si occupano di strategia mentre i professionisti si occupano di logistica”. Se questo detto non è l’invenzione di qualche storico burlone e senza naturalmente volerci paragonare a dei professionisti, dovremmo dire che avvicinandoci alla fine dell’anno è venuto il momento di organizzare il convoglio degli avvenimenti che con tutta probabilità percorreranno il tracciato del 2014. Se l’esercizio riuscirà, sarà un poco come visualizzare la contro-copertina di un calendario che mostra le foto che poi scandiranno i mesi a venire.

Anzitutto il mercato dei capitali. “The Great Rotation”, la grande rotazione che vi abbiamo anticipato nel numero di Marzo di quest’anno di Lettera ANESTI (www.anesti.it > Lettera ANESTI > Marzo 2013) e di cui abbiamo parlato anche nel corso del convegno CESMA, ha preso puntualmente forma e si è manifestata con un travaso di capitali dal mercato obbligazionario (che ha infatti subìto la flessione dei corsi) all’azionario (che ha invece registrato una impennata); ambedue i fenomeni hanno preso forma nell’attesa di una possibile ripresa della inflazione. Questa tuttavia è rimasta al momento stabile nei paesi sviluppati ed ha anzi fatto segnare una leggera discesa nell’area euro nonostante alberghi tuttora nel retro-pensiero di molti apprendisti stregoni (alcuni economisti o presunti tali e alcuni politici disinformati o in mala fede) la possibilità di usarla quale cura alla recessione, magari facendola correre….. con moderazione….. Rivitalizzare l’economia lasciando salire “un poco” l’inflazione è una illusione che può rivelarsi pericolosa. Scrive al riguardo Samuel Brittan sul Financial Times del 15 Novembre 2013 citando un ex capo della Banca Mondiale –Eugene Black- “A little bit of inflation is like a little bit of pregnancy –it grows” ossia parlare di un pò di inflazione è come definire una donna un pò incinta – la gravidanza è soggetta a crescere.

L’effetto della Great Rotation è stata una perdita di valore delle obbligazioni già circolanti sul mercato e il crearsi di una bolla speculativa sul mercato azionario i cui prezzi hanno continuato a salire nel corso dell’anno al di là di ogni più ardimentosa aspettativa creando per il 2014 il rischio di una bolla speculativa e di una improvvisa inversione di tendenza a causa della sovra valutazione di alcuni titoli . L’aumento complessivo dei corsi dell’azionario nei dodici mesi che vanno sino alla fine di Novembre 2013 è stato infatti negli USA del + 25 % e alcuni titoli guida hanno guadagnato ben più di tale ammontare (+ 47,5 % Fedex, + 45,6 % Google, + 59,2 % Morgan Stanley).

Il fenomeno si è manifestato in modo accelerato non solo negli USA ma anche in Asia. In Giappone il governo del paese, dopo aver praticamente imposto alla banca centrale di acquistare titoli del debito pubblico per sostenerne i corsi, sta ora addirittura incoraggiando i fondi pensione a sostituire parte del loro portafoglio obbligazionario con azioni, il che unito alla decisione di far lievitare l’inflazione di due punti percentuali in poco meno di 18 mesi sta creando una miscela esplosiva.

In campo macroeconomico non c’è da aspettarsi per il 2014 alcuna vigorosa ripresa in nessuna area geografica del pianeta. Questo è particolarmente vero per le zone periferiche dell’area euro (Spagna, Grecia, Portogallo) ma anche per stati maggiormente industrializzati quali l’Italia; quest’ultima pur essendo il secondo paese manifatturiero d’Europa, non ha infatti ancora una convincente politica industriale e della ricerca. Sempre a proposito di Italia si parla sempre di riforme strutturali senza mai specificarne il contenuto, confondendo spesso la politica del welfare con quella industriale. E’ un po’ come se il pilota di un aereo a cui sono andati in avaria tutti i motori chiedesse ai passeggeri di spostarsi in fondo al velivolo così da precipitare ma con il muso posizionato più in alto dei piani di coda. Peraltro più il tempo passa più è difficile darsi una moderna politica industriale poiché viviamo in un’epoca di “global saving glut” ossia di eccesso di risparmio non investito a seguito di esubero di capacità produttiva disponibile nel sistema, che rende complesso decidere dove investire proficuamente e con prospettive sicure anche nel medio/lungo periodo. E’ un po’ come salire su un bus per ultimi e cercare un posto a sedere; si rischia di rimanere in piedi per tutto il viaggio.

A gravare sul quadro macroeconomico ci sono poi altri fattori. Il primo riguarda i nuovi connotati che tende ad assumere la domanda di beni sul piano internazionale. Gli USA sono a ragione considerati dei trend-setter della domanda internazionale di beni importati da altri paesi. La sostanziale stagnazione delle vendite registratasi recentemente sui circuiti commerciali tradizionali statunitensi fondati su una rete di negozi e grandi magazzini e l’aumento vertiginoso per contro, anno su anno, delle vendite online, ossia per via elettronica, (+ 39 %) fanno pensare alla esigenza di una modifica radicale del modo di esportare beni sul mercato statunitense (e non solo). La nuova tecnica di esportazione e vendita comporta ora infatti anche accordi per accedere a servizi logistici per portare il prodotto sino a casa del consumatore, costi di magazzino a carico spesso del produttore e margini ridottissimi perché (tracciando un parallelo con il sistema di vendite AMAZON nel comparto librario) chi compra non per una semplice catena di negozi ma per distribuire sull’intero territorio nazionale (e a volte su scala continentale) prodotti quali biciclette, occhiali, cappelli, scarpe, olio o vino, pretende sconti fortissimi alla fonte e tempi di consegna rapidissimi. Molte piccole e medie imprese del Nord e Centro Italia che si sono sviluppate sull’onda delle esportazioni potrebbero non reggere questo nuovo stile di vendita e questo confronto. (A proposito di AMAZON: sta studiando un sistema di distribuzione dei prodotti fino a 2,3 Kg prima dell’ “ultimo miglio” sulle varie destinazioni interne al territorio Nord Americano utilizzando droni ossia aeromobili senza pilota a guida remota che potrebbe diventare operativo nel giro di 5 anni http://www.bbc.co.uk/news/technology-25180906 ).

Il secondo fattore, sempre con riferimento agli Stati Uniti, riguarda il potenziale di domanda delle classi di reddito medio-basse e basse americane, nel gruppo di età di coloro nati a seguito del boom demografico del dopoguerra e ora giunti alla soglia della pensione. Il sistema pensionistico contributivo americano è una bomba ad orologeria spesso per scarsa dotazione di mezzi. Il Boston College Centre for Retirement Research (CRR) stima che una larga parte della popolazione attiva oggi fra i 55 e i 64 anni, che correntemente guadagni meno di 38.000 $ all’anno e può teoricamente avere una aspettativa di vita sino a 80 anni, andrà in pensione con 100 $ al mese o meno. E’ come se una fetta della domanda USA scomparisse improvvisamente dal mercato (“[for] people aged 55 to 64 in the bottom income quintile –those making less than $ 38,000- [due ] to retire at 65 and live to 80, the retirement pot would amount to $ 100 a month” ref: “US pensions cannot wait for superfix”, Financial Times FTfm, December 2 2013). Si sostiene però che c’è pur sempre il mercato asiatico: forse. Siamo infatti passati da tassi di sviluppo annuo vicini al 10 % ad una previsione 2014 del 7,5 %. Vale inoltre la pena al riguardo della Cina riferire quanto scrive Edward Chancellor in un articolo dal titolo “Too little Adam Smith for China, too late” FTfm November 25 2013 in cui si delineano i rischi in questo particolare momento che scaturirebbero, se attuata, da una affrettata liberalizzazione del sistema del credito in Cina i quali potrebbero portare ad una grave crisi e ad uno sviluppo della domanda interna cinese che non è quello atteso da molti esportatori americani ed europei a causa di alcune fragilità insite nella struttura creditizia cinese (“Liberalising intertest rates would rise the cost of borrowing. The cost of servicing debt at national level is dangerously high . Furthermore, many of China’s state owned entreprises are in financial distressed conditions….The Bank for International settlements has warned that China banking system has large and rapidly growing, net foreign liabilities…It would be very risky to embark on aggressive liberalization in the midst of one of the biggest credit booms in modern history”).

Politica energetica. Una buona notizia proviene invece dal settore degli idrocarburi i cui prezzi dovrebbero scendere o quantomeno non aumentare nel corso del 2014 a seguito delle tecniche di produzione in USA di quote addizionali di gas naturale, sostitutive in parte del petrolio, ottenute mediante fratturazione delle rocce nei giacimenti; ciò ha comportato una discesa dei consumi di petrolio negli USA portandoli nel 2013 ad un livello del 10% più basso del picco raggiunto nel 2005 e ad un calmiere dei prezzi interni dell’energia. Se nel breve periodo questo fattore si risolverà a vantaggio anche dei consumatori in tutto il mondo, produrrà tuttavia nel medio/lungo periodo uno svantaggio competitivo consistente per l’industria europea e asiatica, costrette ad approvvigionarsi a prezzi dell’energia tre o quattro volte superiori a quelli dell’industria Nord Americana. Per questa ragione una politica industriale che tenga conto anche in Italia di queste novità sembra più che semplicemente necessaria: è urgente.

Fattori strategici. Vanno citati in associazione ai fattori economici perché li condizionano fortemente pur se apparentemente non immediatamente e non direttamente. La prima novità è il ritorno della flotta russa in modo permanente e non occasionale nel Mediterraneo. Recentemente sembra addirittura che accordi segreti siano stati raggiunti, oltre che con la Siria, anche con l’Egitto per il possibile utilizzo di una base navale russa da insediare ad Alessandria (“Moscow has agreed to equip Egypt with a sophisticated combined double-layered system which covers both its defensive and offensive requirements. The first layer will provide a shield against attack by stealth aircraft, drones and cruise missiles for all of Egypt’s airspace, including the Suez Canal, the Red Sea and its coastal waters, up to the central Mediterranean… part of the system will be positioned in eastern Egypt for the protection of key Saudi cities as well. The second layer will be built around sophisticated surface missiles with ranges that cover all points in the Middle East including Iran. Moscow and Cairo are keeping the types of missiles secret. Saudi Arabia is putting up the estimated $4 billion to pay for the transaction…. Egyptian officials continued to deny reports that a Russian naval base would be established in an Egyptian port as “illogical,” saying it would “undermine the country’s independence and sovereignty.” However, according to some sources, planning is already underway for the deployment of some 1,500 Russian military personnel in Egypt to have the new missiles up and running and local personnel trained in their use by mid-2014. A similar number of Russian naval and marine servicemen have been assigned to setting up the naval base, most probably in Alexandria.”Debkafile November 12 2013). La seconda novità sempre nel Mediterraneo è la crescente presenza di capitali di paesi asiatici quali Cina, Giappone e Corea del Sud, paesi che stanno investendo in particolare in Israele e in Turchia (“As evidence of US disengagement from the Levant grows – the area encompassing Cyprus, Lebanon, Syria, the Palestinian territories, Jordan and Israel –the prospects are growing that the political vacuum will be filled by East Asian powers – particularly a China in search of energy self-sufficiency. Growing capital flows to the Middle East, notably to mature market economies like Israel and Turkey, bear the signature of East Asia’s economic giants. Key sectors such as infrastructure, energy and defence form the bulk of Chinese, Japanese and South Korean investments in these two nations” Emanuele Scimia “Asia Sentinel Consulting” November 28 2013). Eutimio Tiliacos


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