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Nibali e il teorema Italia-Germania

Da Peolaborghese @mesosbrodleto

Nibali dantesque

La prima maglia gialla non si scorda mai, per carità. Nibali ha 30 anni, nel 1998 era anche lui davanti alla televisione quando sulle Alpi c’era il diluvio universale e le immagini arrivavano a sbalzi. Con l’ansia a mille ad ogni nuovo aggiornamento del cronometro, Ullrich non recuperava, ecco le telecamere fisse all’arrivo, spunta Pantani dalle nubi:  tappa e maglia gialla. La prima della nostra generazione, dopo trent’anni finalmente i francesi si incazzavano di nuovo e noi avevamo l’età giusta per esaltarci come le nostre amiche facevano per i backstreet boys. Io andai pure in pellegrinaggio a Cesenatico, paese natale del Pirata.

La seconda maglia gialla di Nibali è la sua. Cresciuto sotto il segno del Pirata, con il rimpianto di non aver più visto nessuno come quel pelato di un metro e mezzo che sfidava i giganti di qualsiasi razza, dal texas alla germania est, Nibali ha vinto il Tour de France.  Lo davano tutti terzo, alla prima settimana di corsa aveva già schiantato gli avversari più forti. Gli esperti non hanno considerato il teorema Italia-Germania: nello sport ci sono delle storie che finiscono sempre allo stesso modo, quale che sia l’inizio. Quando al Tour infuria la bufera, al traguardo arriva sempre un italiano a far incazzare i francesi. Il Tour di Nibali sta tutto nel capolavoro della tappa sul pavè, tributo alla Parigi-Roubaix, l’Inferno del Nord. Di solito la prima settimana del Tour de France è piatta, dedicata alle volate di gruppo e senza pericoli per chi corre per la maglia gialla. Quest’anno era diverso e Nibali lo sapeva. In cuor nostro lo sapevamo anche noi, anche se era più speranza che consapevolezza. Siamo pur sempre italiani.

Pioveva che il dio italiano del ciclismo la mandava, a 80 km dall’arrivo il primo gigante si arrende: Froome cade la seconda volta, ancora prima di arrivare al pavè. Per pedalare all’inferno non basta essere allenati, né è sufficiente correre con la squadra più ricca del mondo. Per pedalare all’inferno ci vuole talento e modestamente l’inferno lo abbiamo inventato noi italiani. L’altro gigante, Contador, sembrava in difficoltà. Nibali è già in maglia gialla, conquistata due giorni prima tra lo stupore generale, con uno scatto in pianura a 2 km dall’arrivo. Rapido calcolo: c’è la bufera, c’è un gigante da battere, sono italiano. Nibali attacca. Io davanti alla tv come nel 1998 ho finto di non crederci. In fondo lo sapevo, me la ricordavo la faccia senza espressione di Ullrich e il Pirata con la mantellina anti pioggia svolazzante giù per la discesa del Galibier. All’arrivo Nibali ha oltre due minuti di vantaggio su Contador, mancano ancora due settimane alla fine del Tour ma il vincitore c’è già.

I francesi all’inizio lo esaltano, Nibalì: loro amano quello che vince nonostante il pronostico avverso. Poi quando capiscono che il pronostico è cambiato, cominciano un po’ a odiarlo. Un italiano sta per arrivare in trionfo sui Champs Elisées, un francese non ci arriva più da chissà quanto. Poveri galletti, ancora non hanno capito il teorema Italia-Germania: se non vogliono far vincere un italiano, devono eliminare le tappe da impresa epica. Perché se disgraziatamente c’è da soffrire, noi, sofferenti per antonomasia, stracciamo chiunque.

Come ogni estate il Tour è finito, andate in pace. Quest’anno andate anche in Francia e non dimenticatevi di indossare una maglia gialla.



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