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A casa mia se parla umbro e lussemburghese

Da Peolaborghese @mesosbrodleto
C'è anche la banca popolare dell'Emilia Romagna

C’è anche la banca popolare dell’Emilia Romagna

Tutti conosciamo il Lussemburgo solo perché ai tempi delle scuole medie era una capitale in meno da imparare a memoria. Poi, oltre a Charlie Gaul e i fratelli Schleck, ricordiamo il Lussemburgo solo perché è un paradiso fiscale.  Un paese di cui conosciamo così poco è un paese remoto. Eppure può non essere sempre così.

A cena in un albergo della periferia di Lussemburgo, intesa come capitale, sono da solo. Come gli uomini con cui i Pooh hanno vinto un festival: in giro per lavoro, col dopobarba che sa di pioggia e la ventiquattro ore. Mi siedo ad un tavolino minuscolo, ordino e da bravo ragazzo di campagna mi ingozzo di pane mentre aspetto. Tutto ad un tratto, di fianco a me, sento una voce familiare.
“Lia nun vole gnente!”

Due coppie di anziani a cena, non parlano francese come uno si aspetta. Parlano come il mi nonno. Dal remoto paradiso fiscale in cui sono finito, mi pare di essere alla trattoria de Batella, posto che ogni mascianese conosce. Mi sarò sbagliato, penso. C’è un po’ di confusione, sono stanco, avrò capito male. D’altronde il perugino e il francese hanno molto in comune: ad esempio, la parola “tenete” si pronuncia allo stesso modo. “Tenez”, a Parigi, “Tené” a Balanzano.

Il mio piatto non arriva, continuo a buttare l’orecchio sull’altro tavolo.

“Quann’è passato il terremoto?”
“Eh, allora tu qui c’erano i franchi! E da noi le lire”
“Sì sì, m’evon chiamato: m’on ditto che m’arfacevano la casa cusì com’era!”

Il mio piatto è arrivato, ma non posso mangiarlo mentre soffoco troppe risate. Sembra di stare a casa della mi zia, terremotata pure lei. Questi due omini e due donnine sono umbri. Solo che hanno più di settanta anni, che diavolo stanno facendo quassù? Guardo tra gli altri tavoli, forse fanno parte di una gita di quelle dove vendono le pentole; Padre Pio, però, non risulta intestatario di santuari in Lussemburgo.

Mentre mangio, non posso che ascoltare le loro conversazioni. Parlano di cimiteri, di case e di figli, di tutto quello di cui parla ogni nonno del mondo. E per mondo, intendo l’Umbria. Quando si alzano per andare via, devo chiedergli qualcosa.

“Di dove siete?”
“Come coccco?”
“Sapete, io sono umbro”
“Ahh! Noi stavamo a Gualdo Tadino! Ora viviamo qui da 52 anni.”
“Come? E ancora parlate umbro così?”
“E certo! Anche le mi figlie! A casa mia se parla umbro e lussemburghese. Stemo tanto bene quassù!”

Cinquantadue anni. Io sono stato quattro mesi in Estonia e a momenti ci lascio le penne, la signora Scassellati di Gualdo Tadino vive in un paese sperduto del nord Europa dal 1963.  E non solo ci sta bene, ma rincara la dose.

“la mi famiglia c’ha una cappella al cimitero de Gualdo, ma io non ce torno manco da morta in Italia!”

Gualdo Tadino è un posto immerso nel verde, come scritto su qualsiasi volantino turistico di qualsiasi cittadina di provincia italiana. Non c’è molto, per carità. In un’ora di macchina però si è in montagna, altrettanto tempo dista il mare, tanto per fare un esempio. Con due ore di treno si arriva a Roma. In Lussemburgo non c’è niente, a parte le banche. La domenica non si può andare a sciare, al massimo si va a fare qualche bonifico. Il fatto che una signora di quelle che si incontrano al mercato del lunedì preferisca il Lussemburgo a Gualdo Tadino, mi lascia senza parole. Saluto la signora – “tanti auguri cocco!” – e provo a cercare una spiegazione. L’attualità mi viene in aiuto.

Oggi i maggiori quotidiani italiani hanno diffuso una notizia ai limiti del clamoroso: “l’80% dei candidati per un lavoro ad Expo ha rifiutato 1300 euro al mese per 6 mesi”. E giù editoriali sui bamboccioni, Aldo Grasso che parla di giovani non abituati a lavorare, riflessioni sulla pigrizia degli italiani. La fantomatica ‘rete’ non è da meno: a lavorare, vergognatevi, gli zingari, è colpa degli zingari. Qualche ora di tempo e si scopre l’arcano: i 1300 euro intanto sono lordi, netti diventano 700. Le ore di lavoro sono chissà quante e più di 40 settimanali. Ad alcuni sono stati chiesti soldi per la formazione. E’ bastato chiedere ad un po’ di candidati, per sapere come sono andate le cose. I grandi giornal – il Corriere, l’Huffington,etc. – non lo hanno fatto. Non è solo l’economia italiana a prendere per il culo i giovani, ormai lo fanno anche i giornali. A viso aperto.

Nel 1963 in Italia non c’era ancora lo statuto dei lavoratori, il padrone ti licenziava come e quando voleva. Lo stato uccideva diecimila persone con una grande opera scellerata, il Vajont. La signora Scassellati di Gualdo Tadino si sentiva presa per il culo dala sua nazione, e se n’è andata in Lussemburgo. E non ce torna manco da morta.



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