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Nicola Vacca: Un pamphlet necessario

Da Narcyso

vacca 34556555Nicola Vacca vuole dire, parlare del mondo e lo fa di slancio, con perentorietà e passione.
Così questi testi assomigliano a un pamphlet, si caricano di denuncia sociale e umana e rischiano. É un tema, questo del saper rischiare, urgentissimo, e non ha niente a che fare con le invenzioni metasemantiche delle avanguardie, con le loro decapitazioni e gli squarci testuali in nome di un ribaltamento epocale che la parola, se decapitata del suo senso, non è in grado di garantire.
Anche laddove Nicola Vacca potrebbe “ammorbidire, affinare”, non lo fa. La sua è un’urgenza, un grido lanciato in faccia a chi ascolta, con parole scoperte, che denunciano l’intenzione di “smascherarsi”, di rimanere senza vestiti: “Questo è il momento di schierarsi. Lo stato d’allerta del pensiero impone a chi scrive e pensa di scendere in campo. (…) Anche se sono solo, voglio capire il carico di questo vuoto”. “Oggi quasi nessuno riesce a fare a meno della propria maschera. Si ha talmente paura di farsi vedere a cuore a nudo dall’altro, mostrarsi nella propria schiettezza, aprirsi con fiducia, farsi capire per quello che realmente si sente e si prova. Tutto nasce da questo complesso di timori. Siamo soltanto maschere che non hanno il coraggio di essere”.
Parlare del suo testo, quindi, vuol dire porsi delle domande, e magari inventarsi delle risposte prima di scrivere. E quanto il fatto riguardi la letteratura e non solo un “ben essere”, basta pensare a Rimbaud e a Pirandello, che qui, indirettamente vengono chiamati in causa.
Allora, questo è un testo che si potrebbe leggere come premessa, prima di imbrattare fogli, di mettersi il vestito buono del vate, quello sdrucito del finto contestatore, la coroncina della sibilla, a seconda delle categorie di appartenenza. Prima bisognerebbe dirsi: “Le cose non stanno più al posto giusto/la lingua muore/per le parole che non ci diciamo”.
Oppure: “Le parole vere sono la differenza che costruisce/ nel tempo del nichilismo e dei suoi adulatori”.
Alla parola, Nicola Vacca chiede profondità e semplicità, di sapersi accostare alle ragioni della vita, denunciando l’apocalisse che incombe; perchè “non ci sono gli strumenti umani/per affrontare l’emergenza”.
Sebastiano Aglieco

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Nicola Vacca e io siamo uomini del ’900 perché le tensioni ideali che ancora ci vivono, grande il desiderio di lotta (seppure la non più giovane età), troppa la consapevolezza di non avere mai abbassato la guardia, quindi le armi; come prima il libero pensiero, come seconda la scrittura, come terza la passione. Ben sappiamo che l’artista e l’intellettuale devono sapersi impegnare nei conflitti della società in cui vivono (il famoso: engagement) e fare scelte, qualunque esse siano, ma pur farle, quando scegliere diviene azione e fine.
(Gian Ruggero Manzoni nella presentazione)

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Il tempo che fa male al cuore

Gli scrittori liberi sono invisibili. Gli inattuali sono scomodi. In ogni epoca il conformismo abitua le masse al deserto di ogni pensiero. In quest’ultima, i livelli della stupidità hanno superato la decenza. Fa male al cuore vedere gli irregolari aggirarsi come anime morte nella bruttezza del presente.

p. 16

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L’inverno da raccontare

In questi tempi sinistri l’inverno dello spirito è l’unica stagione che ha qualcosa da dire.
Non si pubblicano più i libri che fanno fumore. Per fortuna ancora se ne scrivono.
Di questi tempi è troppo intenso l’odore del cloroformio. Non cercate l’intuizione. Ad essere incendiari si corre il rischio di rimanere vittime del rogo.
Di questi tempi amate la crudeltà delle parole nude. È l’unico modo per raccontare il terrore del futuro che vive in mezzo a noi.

p. 18

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L’inverno dentro

Non si respira un’aria buona
troppe paure dicono
che spaventa anche la libertà di tacere.
Le parole non hanno un senso
ma c’è anche un senso senza parole.
Dentro questo inverno
c’è un ghiaccio universale.
Questo è il dramma
perché una volta il freddo
lo sentivi nelle ossa
e avevi una stagione da raccontare.

p. 23

***

Essere soli

Da molto tempo fanno male
le parole che si masticano.
Essere soli nell’asfissia del pensiero
è la pena che si sconta
per la caduta dei sogni.
I morti sono i vivi che non sanno ascoltare.

p. 40

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Voglio
(poesia in terra)

Voglio disperdere versi
come il vento che spira
e lascia dietro di sé
una traccia da seguire.

Voglio raccontare con le parole
quello che dentro inquieta.
Perchè la poesia in terra
è questo nostro vivere
che accade ogni giorno.

p. 52

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La preghiera dell’ora e dell’adesso
È l’urgenza a cui tende
lo sguardo che fugge le ombre.
Forse non sarà mai in ritardo la parola
che abita nel giusto
il suo ossimoro.

p. 67

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Volontà di impotenza

Le parole non sanno più
il modo di dire le cose.
L’oscurità cancella l’energia.
È difficile maneggiare un futuro migliore.
Tagli laceranti hanno compromesso
gli organi vitali dell’anima.
Non ci sono gli strumenti umani
per affrontare l’emergenza.

p. 71


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