Domanda: se uno scrittore non capisce nulla, che scrittore è? La risposta suggerita dal buonsenso è: un incapace! Perché chi scrive deve per forza capire e quindi illuminarci. Per questo scrive, altrimenti non sa fare il suo mestiere.
La realtà non è affatto così, e per fortuna anche il buon Čechov la pensava alla stessa maniera.
Da un pezzo tutto quello che si trova su una pagina deve avere uno scopo preciso, e un giro in libreria aiuta sempre a capire. La punta dell’iceberg è rappresentata da quella valanga di libri che recitano più o meno:
Come essere felici.
Come diventare ricchi senza fatica.
Come farla impazzire a letto.
Come diventare guru.
Come farlo impazzire a letto.
Come diventare cuochi provetti in due ore.
Eccetera eccetera.
Di solito si guarda con sufficienza a queste pubblicazioni, ma se si continuano a stampare una ragione ci sarà. Ma soprattutto, quel modo di pensare che pretende a gran voce la soluzione, è un po’ ovunque.
Quindi leggere quello che Čechov scriveva, fa esclamare un: “Perbacco! Che sciocchezze dice questo… questo russo”.
Sono persuaso che buona parte della letteratura risponda all’invito di Čechov a evitare di essere psicologi. Certo, molti alzano già la mano e dicono: “Dostoevskij! Dostoevskij!”. Bene. Però non ho mai scovato niente di definitivo nei suoi romanzi. Al contrario, lui non faceva altro che andare all’essenziale.
Mentre tutti si accalcavano attorno ai problemi e alle loro (possibili) soluzioni, il buon Fedor badava a cercare quello che contava. E si “limitava” a indicarlo. Non che questo significhi chissà cosa, per esempio aver trovato la soluzione a tutti i problemi, o alla maggior parte di essi.
No.
Ma che forse, rimettere al centro della discussione certi concetti aiuta. La ricerca non si ferma; infatti Dostoevskij continuò a scrivere perché non aveva scovato alcuna soluzione.