Signore e signori, è calato il sipario. L’epoca del Berlusconi politico si è chiusa ufficialmente. Nonostante il nostro ex-premier si sia affrettato a spiegare che si impegnerà ancora di più nella sua vita politica, è evidente infatti come una sua ricandidatura alle prossime elezioni sia altamente improbabile, se non pura fantasia. Non negando una certa soddisfazione dal punto di vista personale, ritengo tuttavia che al momento non ci sia proprio niente da festeggiare, e in questo caso mi sento di condividere pienamente il detto trapattoniano di “non dire gatto finchè non ce l’hai nel sacco”: in effetti, qui non si sa neppure se il gatto c’è effettivamente, e si teme che il sacco possa essere bucato.
L’unica cosa sicura è che Berlusconi se n’è andato, e non ci mancherà, ma le prospettive future sono tutt’altro che rosee. Non solo la situazione economica del nostro paese è tutt’ora sull’orlo di un baratro che potrebbe inghiottire i buoni propositi di chi sta cercando si salvare il paese (e mi sembra che a parte Napolitano e Monti ce ne siano pochi che lo vogliano veramente), ma anche e soprattutto perchè il prezzo da pagare per questo salvataggio in ogni caso necessario è così salato che nessuno ne ha veramente voluto parlare. Se si conoscono i provvedimenti che l’unione europea ci chiede come condizione per eventuali aiuti, si capisce perchè solo dei folli come Bossi e Di Pietro (che poi ha cambiato idea alla svelta, forse perchè gli hanno spiegato che si sarebbe andati al voto con l’attuale legge elettorale) potessero pensare alle elezioni anticipate.
Taglio delle pensioni ed innalzamento dell’età pensionabile, una probabile tassa patrimoniale, privatizzazione degli ultimi enti pubblici rimasti, licenziamenti facili, taglio degli stipendi e blocco dello scatto di anzianità per i dipendenti pubblici; questi sono solo i provvedimenti più urgenti da adottare, ai quali ne seguiranno altri più avanti. Non ci vuole un genio della politica per capire che un governo il quale dovesse adottare simili misure diventerebbe immediatamente impopolare, con il netto rischio di cadere a pochi mesi dall’elezione. Detto diversamente: se il PD non ha insisitito sulle elezioni anticipate, ma ha accettato di dare appoggio al governo tecnico, non è stato solo in nome del fantomatico buon cuore della dirigenza del partito, che avrebbe nobilmente sacrificato il vantaggio elettorale che i sondaggi gli assegnano pur di “salvare il paese”. Questa è una vulgata inaccettabile, una favola volta ad incensare gratuitamente quella che probabilmente è stata la peggiore opposizione della storia, la quale non è riuscita a far cadere Berlusconi nemmeno nel momento in cui era più debole: non ci fosse stato il crollo della borsa di giovedì scorso e l’ intervento d’emergenza del Capo dello Stato, saremmo ancora qui a chiederci se Berlusconi ha o meno i numeri per governare.
Le elezioni anticipate dunque sarebbero state un’opzione fallimentare sia dal punto di vista temporale, sia da quello politico: la possibilità di vedere una grande coalizione di centro-sinistra che vince le elezioni e poi cade dopo pochi mesi a causa dell’impopolarità delle misure che deve adottare è una prospettiva che significherebbe certamente il default del paese, che comunque non è ancora stato scongiurato.
Tuttavia, anche il governo tecnico è un’opzione che nasconde molte insidie: in primo luogo perchè l’appoggio che gli è stato dato dalle varie parti politiche è condizionato (contingenza che ha obbligato Monti ad accetare l’incarico “con riserva“), di volta in volta, dagli interessi dei vari partiti. Si va dal PDL, che sosterrà il governo “purchè non si faccia la patrimoniale”, atto che farebbe inorridire i loro sostenitori, ancora memori del berlusconiano “meno tasse per tutti”; al PD, che lo sosterrà “purchè si faccia la patrimoniale”, così non saranno costretti a farla loro quando andranno al governo dopo le prossime elezioni (purchè le vincano, mi sento di aggiungere).
Insomma, dietro la versione alla Walt Disney che vuole tutti i partiti seriamente impegnati a rinunciare al loro bene privato in nome del salvataggio del paese, rimane una realtà dei fatti drammatica in cui il povero Monti, che è un tecnico e non un politico, sta cercando di capire se avrà la possibilità di combinare qualcosa, in base a quello che i capi di partito gli stanno dicendo in queste ore: non è un compito facile. La mia personale opinione è che alla fine ce la farà, ma il prezzo da pagare ai partiti sarà alto: c’è in effetti un rischio concreto di avere a che fare con un governo “dimezzato“.
Ma la cosa più desolante, è che in questo panorama nessuno abbia osato. Tutti, anche l’opposizione, hanno dato per scontato che le misure consigliate dall’unione europea vadano applicate così come sono, senza alcuna possibilità di modifica da parte nostra. Un’opposizione propositiva, che avesse saputo proporre invece che festeggiare la dipartita di Berlusconi, perlatro prendendosene scandalosamente il merito, avrebbe potuto significare una vera svolta politica nella vita del paese, ma ciò non è avvenuto. Non una voce che abbia detto: “Servono centinaia di miliardi di Euro? Bene, li troveremo, ma in un modo diverso da quello che ci chiede la UE. Tagliamo le folli spese militari, combattiamo l’evasione fiscale con mezzi efficaci, costruiamo case popolari ed infrastrutture necessarie per creare nuovi posti di lavoro, tagliamo le spese della politica e del palazzo, sequestriamo beni alla mafia e riutilizziamoli per progetti sociali o, nel peggiore dei casi, vendiamoli per fare cassa. Poi, se sarà necessario, alzeremo le tasse ai più ricchi e chiederemo sacrifici ai cittadini, ma in un’ottica di rivoluzione del sistema economico contemporaneo, in nome di una maggiore qualità dei servizi e ridistribuzione della riccchezza“. Un discorso del genere significherebbe un vero cambiamento rispetto al regno di Berlusconi, una svolta epocale nel modo di pensare non solo l’economia e la politica ma il modo stesso in cui il capitalismo funziona: ma anche questo augurio, allo stato attuale, è poco più che una favola.