Nietzsche e il suo difficile rapporto coi numeri e con la scienza
Sulla pagina di gruppo di Facebook è stato postato il seguente pensiero di Nietzsche che mi sono annotato:
La scoperta delle leggi dei numeri è stata fatta in base all’errore già in origine dominante che ci siano più cose uguali (ma in realtà non c’è niente di uguale), o che perlomeno ci siano cose (ma non ci sono “cose”). L’ammissione della molteplicità presuppone sempre già che ci sia qualcosa che si presenta come molteplice: ma proprio qui regna l’errore, già qui fingiamo esseri e unità che non esistono. Le nostre sensazioni di spazio e di tempo sono false. In tutte le determinazioni scientifiche noi calcoliamo sempre inevitabilmente con alcune grandezze false: ma, poiché queste grandezze sono per lo meno costanti, come ad esempio la nostra sensazione dello spazio e del tempo, i risultati della scienza acquistano lo stesso perfetto rigore e sicurezza nella loro reciproca connessione; su di essi si può continuare a costruire. Quando Kant dice che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla natura, ma le prescrive a questa”, ciò è pienamente vero riguardo al concetto di natura che noi siamo costretti a collegare con essa (natura = mondo come rappresentazione, cioè come errore), che è però il compendio di una moltitudine di errori dell’intelletto. Le leggi dei numeri sono totalmente inapplicabili a un mondo che non sia nostra rappresentazione: esse valgono solo nel mondo umano.
Di fronte all'affermazione di Nietzsche vien da chiedersi cosa c’entrano i numeri con le cose uguali? Non posso contare cose diverse? Se sommo tre conigli e tre talpe avrò non sei conigli o sei talpe ma sei mammiferi o sei animali, se sommo tre conigli con tre uccelli avrò non sei mammiferi ma sei animali. L’impressione è che la frase in realtà parli di cose e di apparenze di cose ma non di numeri perché che i numeri contano le mele anche se sono apparenze di mele. Si contano le cose, le apparenze di cose, gli accordi, le note, i pensieri, e fantasmi, ecc. Che i numeri valgano per il mondo umano non comporta alcuna limitazione o rilevanza, visto che il mondo umano è quello in cui noi abitiamo.
I numeri sono neutri rispetto alla filosofia non perché la filosofia non si debba interessare di loro (E’ anzi opportuno che lo faccia) ma nel senso che sui numeri sono ben vitali una vasta varietà di filosofie che si ispirano al realismo, al concettualismo, al formalismo, al costruzionismo.I numeri non concernono le cose o le apparenze come pare credere Nietzsche ma gli insiemi di cose. Quando Frege, col suo esempio dei quattro cavalli bianchi, mette in evidenza che dei quattro cavalli si può dire che sono quattro e che sono bianchi, mentre di un cavallo si può dire che è bianco ma non che è quattro, mentre del gruppo si può dire che è quattro ma non bianco, ci dice che “bianco” inerisce ai singoli cavalli e “quattro” al gruppo dei cavalli. Con l’esempio Frege sta parlando delle relazioni fra classi, sottoclassi ed elementi della classe e, parlando di queste relazioni, ci dice qualcosa sui numeri. Non capisco il discorso di Nietzsche che pur visse in un periodo di grandi e focosi dibattiti sulla natura dei numeri ma forse la frase estrapolata e postata era più utile a soddisfare il desiderio di chi l’ha postata in una cultura come la nostra in cui si nutrono ancora troppi rancori e pregiudizi contro una scienza che si vuole arida e meccanica ma che arida e meccanica non lo è mai stata.
La geometria e l’aritmetica nacquero probabilmente da problemi pratici, di conteggio, di contabilità, di misura di altezze, di angoli, di distanze.La loro verità nasce dalla prova e la prova è inizialmente pratica, tanto in aritmetica che in geometria: conteggi, merci, pesi, debiti, crediti, lunghezze, superfici. E’ probabile che embrioni d’aritmetica e di geometria nascessero convalidati dalla verifica empirica ma tutto cambiò con Pitagora e la sua scuola quando il numero assunse una funzione metafisica, scientifica e religiosa: non solo di essenza delle cose ma di principio generatore ed esplicatore della realtà, capace di svelare la struttura nascosta del mondo: se capisci le relazioni fra i numeri, capirai la relazione fra le cose del mondo.Il credo pitagorico sarà ripreso da Platone che dedicherà, con la sua scuola, massima cura allo studio della geometria e al mondo dei numeri, un mondo che costituirà, nel suo sistema filosofico, il livello immediatamente precedente al mondo delle idee. Senza la conoscenza delle figure, dei numeri e delle loro proprietà l’accesso alla vera conoscenza è impossibile e l’uomo rimane incatenato alla caverna, al mondo delle ombre, ai sensi, alle apparenze senza mai approdare a quel regno di perfezione, verità e bellezza che è il mondo delle idee. Le teorie dei pitagorici furono fondanti per la civiltà occidentale e se, per un verso, Omero ne fu un padre, un altro padre, non meno importante, fu Pitagora per il quale il sistema dei numeri assunse lo statuto di fondamento e di modello del mondo.
Per la cultura pitagorica il numero, misura di tutte le cose, serve per contarle, paragonarle, sommarle, misurarle. Coi numeri si misurano aree, lunghezze, volumi. Coi numeri si misurano quantità e valore delle merci, tempi, percorsi, debiti e crediti; coi numeri si progettano case e fortificazioni. Nulla pare sfuggire al loro potere conoscitivo. Pitagora e i suoi allievi furono probabilmente influenzati da questa grande potenza. Se uno stesso numero caratterizzava il numero delle cipolle in una cassa, la lunghezza di un cammino, i passi fra due case, la superficie di un campo, allora il numero, capace di rappresentare un’infinità di cose depurate di tutti quei predicati che li rendevano quelle specifiche cose, non poteva che essere l’anima delle cose. I numeri potevano, essere addizionati, moltiplicati, sottratti al mercato di Atene o a quello di una qualsiasi altra città, applicati alle stelle in cielo come ai campi di Sparta, scritti sulle tavolette di cera, ma anche nella mente di ognuno, quasi che quel campo, quella cassa del mercato, quel gruppo di stelle fossero spiritualmente presenti sul tavolo di casa e accompagnassero l’evolversi degli eventi dal loro nascere al loro morire come durature e stabili essenze generatrici. Il sistema dei numeri divenne così il sistema-modello del mondo. Ma il modello non tardò a ribellarsi.
La ribellione del numero
Il peggio – un peggio irrimediabile – arrivò quando i pitagorici si imbatterono in quella vera assurdità dimostrabile, secondo la quale non esisteva alcuna unità di misura comune fra il lato e la diagonale del quadrato. Che fare di questi nuovi mostri? La situazione era tragica e i pitagorici la sentirono come tale perché il modello cadeva.
Cadeva davvero? L’Aritmetica intesa come modello del mondo era solo un’immensa metafora? Se confondiamo la metafora con l’analogia, dall’analogia fra le onde del mare alle onde della sabbia siamo indotti a credere, che, così come in mare esistono le balene dell'acqua, nella sabbia debbano esistere le balene della sabbia. I pitagorici dovettero davvero chiedersi se, con gli incommensurabili, avessero trovato le balene della sabbia, se, illusi che il sistema dei numeri fosse un modello del mondo, toccassero con mano che il sistema non era un modello ma solo una metafora.
La disperazione dei pitagorici ci dice qualcosa d’importante. Ci dice che, dati i numeri naturali, è data tutta la scienza dei numeri con le sue ”verità” e le sue "eresie". Tante eresie. Gli incommensurabili furono solo i primi numeri “eretici” dopo ne vennero un’infinità che continua e prolifera sempre più: gli incommensurabili, i relativi, gli immaginari, i complessi, gli indivisibili di Cavalieri, gli infinitesimi loro stretti parenti, le geometrie non euclidee, l’infinito attuale di Cantor, la serie degli Aleph, gli infiniti mondi non standard in uno dei quali abitano bene e legittimamente i vecchi e screditati infinitesimi. Queste sono solo alcune delle tante eresie in cui si imbatterono i matematici. La matematica è una storia di successi e di anomalie eretiche. Nulla di più lontano da un mondo che ancor oggi si vuole vedere come arido, regolare, addirittura meccanico.Il problema è sempre stato, metaforicamente parlando, di individuare o inventare la “Casa dei numeri” intendendo con questo termine la struttura complessiva degli enti e dei ragionamenti ammissibili .Di fronte ai voli acrobatici di Cantor, il concettualista Kroneker esprime tutte le sue preoccupazioni, circa la necessità di “dominare” il mondo dei numeri:“ Senza le ipotesi qui discusse più da vicino cioè senza la possibilità di potere, fin da principio, sostituire sistemi di moduli con infiniti elementi con sistemi di moduli con un numero finito di elementi, il concetto di sistemi di moduli con infiniti elementi non è applicabile. Se tuttavia lo si vuole proprio ammettere come una costruzione concettuale puramente logica, ciò deve accadere solo con la riserva che nelle particolari applicazioni aritmetiche di questo concetto, non sufficientemente precisato aritmeticamente, si dia in ogni singolo caso la dimostrazione che quelle ipotesi sono soddisfatte.[1].”
Il che metaforicamente equivale a dire che, per dare ai numeri, possiamo elevare tutti i palazzi incantati che vogliamo ma senza nessuna garanzia che i numeri possano abitarvi e che quei numeri siano proprio i numeri che usiamo tutti i giorni per fare la spesa.
Il problema degli enti e dei ragionamenti ammissibili non trovò soluzione unica ma si frantumò in una pluralità di concezioni filosofiche che va ben oltre la divisione tradizionale fra realismo, concettualismo, nominalismo. Non solo molte posizioni filosofiche che circa una stessa complessiva teoria logico- matematica, ma una pluralità di logiche matematiche diverse nei teoremi e negli approdi.Siamo lontanissimi da una interpretazione del mondo dei numeri come scienza meccanica e tautologica. I matematici non sono meri applicatori di formule ma cultori di un mondo che esige grandi facoltà di fantasie e inventività.
Con questa conclusione affronto ora un altro Post comparso sul blog Filosofia, Nuovi sentieri e di lì diffuso su alcune community di Facebook. Il post presenta il testo Nietzsche profeta della scienza di Rosanna Oliveri. La presentazione è l’illuminante e ovvia conseguenza di una concezione che considero inadeguata:
Nietzsche filosofo della volontà e della creatività della vita, avversario di tutte quelle forme di razionalismo finalizzate a ingabbiare l’autonomia dell’uomo all’interno di automatismi quantificabili e prevedibili: non sono necessarie molte parole per rendere, con un’immagine stereotipata, l’idea di un filosofo che si è spesso meritato l’appellativo di “irrazionalista”. Appena si voglia però andare al di là, appunto, dello stereotipo, diventa necessario domandarsi: veramente Nietzsche ha filosofato contro la scienza? O la sua non è stata piuttosto la prevedibile (e sacrosanta) reazione di una speculazione innovativa nei confronti di un modello scientifico già all’epoca vetusto, ancorato al meccanicismo laplaciano, che di lì a poco sarebbe andato in frantumi sotto i colpi della relatività, della quantistica e della teoria del caos? (La sottolineatura è mia.)Rosanna Oliveri, nel suo “Nietzsche profeta della scienza” (ed. Il Prato), prende spunto da quell’immagine ingenua ma accreditata del Nietzsche avversario della razionalità e della scienza tout court, per decostruirla e mostrare al contrario il genuino interesse del filosofo tedesco nei confronti dell’avanguardia scientifica della sua epoca. Studio nel quale ritroviamo Nietzsche a confronto con Mach e Darwin, Galileo e Newton, Einstein e Prigogine; che ha saputo non solo interpretare ma finanche anticipare certe conclusioni che il mondo scientifico avrebbe tratto a posteriori con fatica. Con un’importante Prefazione di Sossio Giametta, nella collana “I cento talleri” diretta da Diego Fusaro.
La frase sottolineata è, a mio avviso, del tutto falsa. Il modelli e le procedure scientifiche si rinnovano costantemente e questa attività di rinnovamento di prospettive, linee direttrici, paradigmi, esprime la necessità di capacità intuitive e inventive da parte degli scienziati, ivi compresi i matematici. Non si deve mai dimenticare che lo scienziato elabora ipotesi e teorie. Le teorie non sono generalizzazioni di leggi empiriche ma sono tali e hanno quel nome perché utilizzano grandezze teoriche (elettroni, dei, inconscio, ecc.), che, non essendo accessibili ai sensi, devono essere inventate per far funzionare la teoria sia che le si consideri esistenti sia che le si consideri grandezze artificiali escogitate per consentire alla teoria di spiegare l’esistente, di essere capace di previsioni giuste e di saper suggerire nuove linee guida d’investigazione verso nuovi sviluppi. Ben si esprime Ramsey quando nel suo scritto sulle teorie, dopo aver elaborato la forma conosciuta come Formula di Ramsey suggerisce che essa vada letta, così come si leggevano le favole che iniziano con “C’era una volta…”.
Nietzsche non si confronta con Mach ed Einstein a meno di intendere il confronto come un soliloquio su cognizioni che non possedeva. Di questo passo si scende al livello di chi in un brano di un romanzo di Verne vede l’anticipazione della scoperta dell’energia nucleare. Prigogine sentì una certa analogia fra le sue teorie e la filosofia di Whitehead, ma Whitehead era pur sempre il coautore con Russell dei Principia Mathematica. Non penso di leggere il testo della Oliveri, non perché non sia incuriosito dalla sua fatica, ma, perché il tempo è quello che è, perchè le cose da leggere sono un’infinità e, perché, in definitiva, la mia attività è quella scrivere romanzi che nessuno legge. E questa è davvero un’attività faticosa.
[1]Kroneker 1886 p. 155