Le lucciole, sapete... splendono per trovare il compagno della loro vita.
虹色ほたる~永遠の夏休み~ Rainbow fireflies
Kōnosuke Uda
Giappone, 2011
Durante un’escursione nei pressi di una diga Yuta è sorpreso da un temporale e scivola battendo la testa. È salvato da uno strano vecchietto a cui poco prima aveva offerto una bibita, ma si rende presto conto di essere stato portato indietro di trent’anni, quando la diga ancora non era stata costruita e al posto del lago c’era un villaggio. Lì conosce Saeko e Kenjo, gli amici con cui trascorrerà le sue vacanze nell’epoca Shōwa.
Niji-iro hotaru: Eien no natsuyasumi (lett: Lucciole color arcobaleno: Le vacanze estive eterne) è un film che, come molti altri, mette in scena i giorni (non proprio) spensierati dell’infanzia, nei quali troppo spesso irrompe il dramma, e ci mescola un briciolo di sovrannaturale che non guasta, senza per questo rendere la storia meno realistica nella resa dei sentimenti. Personaggi dal character design a tratti stilizzato ma molto espressivo e piacevole si muovono in paesaggi curati e realistici, con il verde della natura che avvolge tutto nel rigoglio della stagione calda. Con delicatezza e tatto racconta una vicenda di perdite e ritrovamenti, ma soprattutto di crescita attraverso la vita, che è sofferenza e gioia insieme, e non potrebbe essere altrimenti. Un film che per tematiche non si discosta da tante altre opere e non mira certo a stupire lo spettatore, ma riesce tutto sommato a restare per tutto il tempo una visione gradevole.
Uno degli aspetti più interessanti del lungometraggio di Kōnosuke Uda è la maniera in cui racconta l’estate dei tra ragazzini, accompagnata dal suono dei fuurin e dal canto delle cicale, tra festival estivi e fuochi artificiali, deliziose granite, bambine che indossano yukata, e gite notturne alla ricerca delle lucciole che illuminano gli specchi d’acqua. Verrebbe da pensare che queste cose ormai si trovino solo negli anime, e invece tutt’oggi sono ancora parte della vita dei giapponesi. Certo, in maniera minore, e probabilmente se lo chiedete a un salaryman qualunque non vi saprà dire quando è stata l’ultima volta che ha visto le lucciole – che pure sono ancora presenti, basta uscire di poco dalle città per trovarle. Anche gli indaffarati lavoratori però, ci scommetterei, durante le vacanze dell’obon partecipano a qualche matsuri o vanno a vedere i fuochi d’artificio.
Un certo romanticismo permea ancora l’idea dell’estate in un Paese ostinatamente legato alle sue tradizioni, che si rispecchiano poi in un medium diffusissimo come gli anime. Credo che proprio la cultura pop di cui questi sono espressione abbia cristallizzato nell’immaginario collettivo gli elementi tipici di ogni stagione, facendo in modo che anche nella vita moderna, i cui ritmi si discostano notevolmente da quelli del secondo dopoguerra, alcune abitudini siano rimaste per quanto possibile inalterate e vive.
Da noi, privi di un tale catalizzatore del sentire comune, è più difficile individuare qualcosa di analogo. Abbiamo le gite al mare, le grigliate e i fuochi di Ferragosto, certo, ma nessuno ce li mostra continuamente in opere di fiction più o meno nostalgiche, che ne rinnovino l’atmosfera ogni anno. Per me l’estate sono i concerti all’aperto, la caipiroska e le serate all’Hana-Bi di Marina di Ravenna, ma si tratta di una visione molto soggettiva. L’unica idea “tradizionale” di agosto che riesca a immaginare sono le infinite file in autostrada e le spiagge imballate di corpi abbrustoliti – amarcord a palate, insomma. Non siamo cambiati di più o più in fretta dei giapponesi, soltanto abbiamo abbandonato senza titubare granché le abitudini dei nonni.
Per voi che cos’è che vi fa immediatamente pensare all’estate? Trovate che ci siano ancora consuetudini che accomunano l’intero Paese, o che siano andate perse nel tempo?