Ninuccia e le scarpe degli Angeli (VI Cap:Un lungo viaggio)

Da Gattolona1964

proseguo nel pubblicare il mio amatissimo Romanzo, dal titolo NINUCCIA E LE SCARPE DEGLI ANGELI. Ancora non trapela nulla di come evolverà la storia, ci vuole molta molta pazienza. nel frattempo sono graditi e preziosi i suggerimenti e le idee che vorrete esprimere a questo sito: http://www.con-fine.com/home/la-storia-di-ninuccia/

Ed ora via al sesto capitolo dal titolo: Un lungo viaggio. Buona e serena lettura a tutti i miei amici/e!

Stiamo per arrivare a Napoli, si svegli signora!” Una voce maschile con tono molto basso le parlava, scuotendola per svegliarla. Nonostante l’uomo le tirasse un braccio Ninuccia non voleva saperne di svegliarsi, ma lui tirava forte e lei a fatica aprì gli occhi e disse: ”Dove si trova Beniamino?”. “Signora la prego si deve svegliare, tra pochi minuti dobbiamo scendere. Siamo quasi arrivati a Napoli, mi ha chiesto di chiamarla e io l’ho fatto.” D’improvviso Ninuccia ritornò presente a se stessa e dandosi un grosso schiaffo sul viso, si svegliò del tutto.“La ringrazio signore, spero di non averle arrecato disturbo signor..? Signor?” Cercando di conoscere il suo nome. “Mi chiamo Gaudenzio, se le interessa, ma non credo. Si è agitata parecchio nel sonno e lei come si chiama?” “Dora” rispose sistemandosi il cappotto e preparandosi per uscire dallo scompartimento del treno. Dopo pochi minuti Dora e Gaudenzio, udirono il fischio del Capotreno che annunciava la fermata di Napoli,si misero in fila con gli altri, scendendo rapidamente gli scalini. Si salutarono con una vigorosa stretta di mano che a Dora provocò un brivido di piacere strano e sconosciuto. Le venne spontaneo chiedergli dove era diretto, non riuscendo a nascondere per quell’uomo una sorta di curiosità morbosa. Anche se la sua razionalità ed intelligenza le impedivano di provare anche solo a sperare che lui fosse Beniamino.“Prenderò tra un’ora un altro Eurostar per Paola, ma non credo che le interessi più di tanto. Ci impiegherò circa due ore e mezzo, se non ci sono intoppi e se “il treno farà il suo dovere”, come lei ha detto qualche ora fa. E’ contenta di saperlo?” Alle parole dell’uomo Ninuccia sobbalzò e per tutta risposta gli chiese” Se non sono troppo indiscreta dopo, dove è diretto? Non dico che stiamo per diventare amici, ma compagni di treno sì! Anch’io prendo per Paola e le dico anche che poi, proseguirò per Cosenza. E da lì, non so come ma devo arrivare a Castrolibero: lo conosce quel paesino?”Parlò in tutta fretta, senza dare il tempo all’altro di replicare, come volesse fare una sorta di confessione spontanea facendo sapere a lui per primo, che stava tornando a casa. Gaudenzio si accese una sigaretta mentre si toccava i capelli e la barba, segnale di profondo disagio e di imbarazzo. Dopo qualche minuto, le disse”Tra tutti i miliardi di persone e di destinazioni che ci sono nel mondo, purtroppo anch’io faccio lo stesso tragitto: devo andare a Castrolibero, accidenti! dove peraltro abito. Ora è contenta di saperlo?” L’uomo che amava fissare il pavimento, glielo comunicò con la consueta voce stanca e molto bassa. “Una signora come lei, che cavolo ci va a fare in un Paese come quello? Laggiù non c’è nemmeno un night o una balera, ma solo puzza e rottami lasciati per ogni vicolo o stradina. Perché è di una balera vero, che lei abbisogna per campare? Una come lei dovrebbe ritornare a Bologna subito e rientrare nel luogo da dove è scappata. E poi scusi alla sua rispettabile età, che lavoro pretende di fare laggiù? Ma quanti anni ha? Forse nella trattoria di Martino, avranno bisogno di una lavapiatti..”D’improvviso sembrava che a Gaudenzio fosse arrivata un’insolita e convulsa voglia di chiacchierare, che non gli era familiare per niente. Un timido sorriso si affacciava sulla sua bocca, carnosa e ben disegnata anche se con labbra molto screpolate e denti non immacolati, per le troppe sigarette fumate. “Avrebbe bisogno di una ripulita accurata, di quelle che solo Rosina sa fare oppure di un miracolo, per meglio dire! Inoltre dovrebbe passare dal mio dentista e Fernando potrebbe fare un ottimo lavoro su quella foresta incolta di barba e capelli. Non dovrebbe però tagliare molto!” Disse tra sé e sé, scrutandolo in ogni angolazione della testa, “Di certo non gli occorre lo scalpo così come ho dovuto fare io”. Lui non si deve nascondere da nessuno e quest’aria un po’ selvaggia e rude gli appartiene: non gli va tolta. Sotto la barba e i capelli in disordine, secondo me si nasconde un viso che toglie il fiato, quei visi che mi facevano impazzire un tempo. Aristide potrebbe insegnargli le buone maniere, ed io mi lascerei sicuramente ricrescere i miei capelli, li ritingerei di biondo, facendo i colpi di sole e proverei per lui ad essere ancora una donna, o forse quella ragazza che non sono mai stata.” Questi pensieri civettuoli, invadevano la già confusa testa di Ninuccia e per un attimo le avevano fatto dimenticare i motivi che la portavano a Castrolibero. Una vampata di calore, la imprigionò dentro ad un altro pensiero ancora più erotico, se ne vergognò immediatamente, ricacciandolo indietro. Ma fu solo un attimo, ed il pensiero così come era arrivato, se ne era già volato via. Stranamente si era dimenticata ancora di prendere le compresse, ma non voleva sfidare il destino e ne inghiottì subito una, senza essere vista da lui. Le domande che le faceva erano troppe e troppo personali, per i gusti di Ninuccia. Mentre terminava la sua sigaretta gli disse”Ho molta fame, cerchiamo un bar e mettiamo sotto i denti qualcosa. Ma prima devo trovare l’altra scarpa, mi fa molto male il piede, mi sta venendo un’enorme vescica e sto zoppicando.” Lui le rispose che l’unico posto in una stazione a quell’ora di notte per trovare una scarpa, era il cassonetto della spazzatura, mica erano in aeroporto con il Dutyfree sempre aperto!“Eccone due, là in fondo vicino al bar, vieni andiamo a cercare la tua nuova scarpa”.Non si era accorto che involontariamente le dava del “tu”. Gli riusciva spontaneo, anche se per lui chiuso e lunatico, era una cosa inusuale dare del tu ad una persona sconosciuta. Sì, perché per lui Dora era una perfetta sconosciuta, anche se era lì con lui di notte, a Napoli a cercare una scarpa in un bidone dell’immondizia. “Però ci mette lei le mani dentro, vero? Io ho una paura tremenda dei ratti e dei topi, piuttosto mi tengo il freddo al piede e la vescica che sta per spuntare.” “Sì, ce le metto io le mani, puoi scommettere che la troverò subito una scarpa adatta al tuo piede. Sono un esperto di cassonetti io: non l’avresti mai detto vero Dora?” In un battibaleno, si arrotolò le maniche della camicia attorno alle mani, per proteggerle in assenza di un paio di guanti consoni all’uso, ed infilò un braccio dentro al cassonetto. Lei lo guardava con aria divertita, mentre teneva d’occhio il grande orologio della stazione, tra poco sarebbe arrivato il treno per Paola. “Non si può sbrigare per favore, con quella benedetta scarpa?” disse Ninuccia pensando alle migliaia che aveva a casa “Tra dieci minuti arriva l’ Eurostar!”.“Ehi, sto facendo del mio meglio, qua dentro non ci sono solo scarpe” disse mentre estrasse uno zaino ricolmo di pannoloni usati per bambini, alla cui vista Ninuccia mugugnò. “Hai il piede gelato Dora?” chiese Gaudenzio, “Credo di aver trovato qualcosa che fa al caso tuo”. Estrasse finalmente tutte e due le braccia dal cassonetto e nelle mani, aveva due paia di scarpe: un paio erano espadrillas grigie e l’altro, robuste ed imbottite scarpe da ginnastica, di colore rosso. “Non saranno di marca, non sarà nemmeno il tuo numero perfetto, ma almeno ti ripari i piedi e considerando la temperatura che abbiamo, credo opterai per quelle da ginnastica.”Ninuccia che odiava il colore rosso perché le ricordava quel lago di sangue, disse a malincuore:“Potendo scegliere indosserò le espadrillas, anche se avrò un poco freddo ai piedi, mi sono più congeniali. Aggiungerò un altro paio o due di calzettoni di lana che ho in valigia, per compensare lo spessore mancante “A questa risposta Gaudenzio gliele porse. Non aveva compreso bene il perché di quella scelta azzardata.“Va beh, contenta tu di gelare, contenti tutti.” Mica doveva pagarle le scarpe da ginnastica, tutto sommato erano ancora in buon stato, essendo rigide non avrebbero fatto passare il freddo e la neve. L’uomo, che non riusciva a trovare un nesso logico nella scelta di Ninuccia, si rimise in silenzio ad osservarla mentre si infilava le due paia di calze e indossava le scarpette di tela, quasi come fossero un altro paio di calze. Un nuovo fischio avvisava che era in arrivo sul binario numero sessantotto, il treno per Paola, perciò si rimisero in fila per salire. Si era fatta l’una trenta del mattino.Salendo sul treno, cercarono i loro rispettivi scompartimenti, augurandosi che fossero ben distanti l’uno dall’altra. Si salutarono così, con una poco convinta ma vigorosa stretta di mano. Gaudenzio non desiderava fare un altro pezzo di strada con Dora accanto, quella donna non gli piaceva, troppi misteri erano cuciti addosso alla sua persona, parecchie cose non gli tornavano. E quando a Gaudenzio non tornava qualcosa lui taceva e ascoltava il rumore del silenzio, sperando di trarne le giuste e concrete risposte. Non aveva nemmeno compreso il motivo per cui Dora aveva lasciato un biglietto da cento euro nel cassonetto della spazzatura “Per pagare le scarpe che abbiamo rubato” si giustificò lei, mentre lui non capiva e diceva che se qualcuno le aveva abbandonate voleva dire che non gli servivano più.“Così se altri poveretti dopo di noi ne hanno bisogno e non ne trovano, se le potranno comperare le scarpe invece di avere i piedi ghiacciati: non le pare?” Ninuccia continuava imperterrita a dare del lei a quell’uomo così mistico e strano, per nulla somigliante a un uomo del suo mondo. Niente lo accomunava a lei, a parte quello strano sfregolio involontario, che sentiva nelle parti intime ogni qualvolta lui le era troppo vicino. Non se lo spiegava, questo la mandava su di giri, cercava con la razionalità di scacciare via dal suo corpo quel leggero schiudersi delle piccole e grandi labbra, ma niente da fare! Loro non l’ascoltavano e nemmeno le obbedivano, come fosse in un Consiglio d’Amministrazione nel quale, immancabilmente qualcuno non era d’accordo con le decisioni da lei prese. Per tutta risposta esse si schiudevano ancora di più a loro piacimento, facendola innervosire parecchio. Non riusciva a tenere testa alla sua natura più intima e segreta, questo per lei era un dato di fatto che giocava in suo sfavore, non le avrebbe di certo giovato un amplesso con il primo finto tonto che aveva incontrato nel suo viaggio. Anzi! Era un grande eufemismo chiamarlo viaggio e basta, quella era la sua unica ragione di vita, ora, altrimenti quella vita piena di ori e di orpelli inutili se la sarebbe tolta a Bologna, ma c’era Beniamino da trovare e tutte le spiegazioni del caso da fornirgli.I pruriti sessuali li doveva assolutamente mettere da parte, prese una compressa per calmarsi un po’, stramaledicendo voglia di amare ancora, mai sopita. Ora non aveva più sonno ed estrasse dalla valigia un vecchio Rosario appartenuto a nonna Divina. Iniziò pian piano a snocciolarlo molto lentamente, quasi come cercasse la giusta medicina in quelle Preghiere, che la potesse magicamente guarire da tutti i suoi mali in un battibaleno, ben sapendo che non funzionava così. Recitava un’ Ave Maria dopo l’altra, in modo meccanico e poco convinta, mentre controllava di continuo l’orologio del corridoio. Alle quattro del mattino, minuto più minuto meno, sarebbe arrivata a Paola, sempre che il treno facesse il suo dovere senza intoppi. Quel bellissimo Rosario antico di granate viola scuro, le faceva ricordare, quando nei giorni del Natale con Rosina andava per le stradine di Castrolibero a piedi nudi a chiedere l’elemosina, per comperare i dolcetti natalizi alla panetteria. Era perfettamente sveglia e aveva davanti a sé la scena: Ninni e Rosa vestite uguali con il grembiulino rosso ben stirato, i capelli raccolti in una grossa treccia legati con uno spago della fabbrica per cucire le tomaie. Rosa suonava l’armonica a bocca, mentre Ninni ballava con grazia e i passanti mentre applaudivano, allungavano loro parecchie monetine. Oramai ogni Natale si ripeteva questo rituale e loro riuscivano a mettere da parte qualche spicciolo sia per i dolcetti che tanto piacevano a Rosina, sia per la carta e le matite per Ninuccia. Questi ricordi la facevano sorridere e mentre stava per recitare l’ultima decina di Ave Maria, assorta nelle sue preghiere, sentì bussare lievemente al vetro della porta del suo scompartimento. Era talmente concentrata che non si accorse subito chi era, pensava fosse il controllore del turno di notte, che effettuava il solito giro per accertarsi che tutto andasse per il meglio. Prima di guardare il vetro, udì:”Posso entrare? Ti disturbo?”La voce conosciuta poche ore fa la fece girare di scatto e rispose” Sì, entra pure, stavo recitando il Rosario, non mi disturbi affatto.”Pronunciò queste parole come fosse la cosa più naturale del mondo, svelando un lato di sé intimo, semplice ed umile e finalmente riuscì a dargli del tu. Ninuccia era molto credente, anche se poco praticante. In diverse occasioni recitava il Rosario, sostenendo che se non ci fosse stato nei momenti più bui della sua esistenza, non sarebbe riuscita ad arrivare fino a qui. La figura che stava entrando dovette abbassare la testa e chinarsi per entrare “Sarà alto almeno un metro e novantatré” pensò Ninuccia in quell’istante, squadrandolo da capo a piedi, come se lo vedesse per la prima volta. Con la sua notevole altezza, occupava tutto l’abitacolo del treno, era imponente e massiccio sotto a quell’andatura goffa e triste, che certamente mascherava un altro uomo, ben diverso dall’immagine che voleva dare al mondo. Ma perché voleva mimetizzarsi a quel modo? Perché celare dietro ad una maschera di nullità, la sua imponente figura maschile? Mentre lui si accarezzava la barba per l’ennesima volta, Ninuccia notò anche le mani che avevano dita lunghe e regolari, quasi da chirurgo, a parte le unghie che erano sporche. Erano mani meravigliose, senza alcun segno di vecchiaia sui dorsi, senza nodi, senza macchie marroni dovute all’età. Mani salde e forti che avrebbero saputo come prenderla e come farla urlare di piacere. Dovette deglutire forte e bere un sorso d’acqua, per ricacciare indietro questi pensieri che prepotentemente le affollavano la mente, ogni qualvolta che Gaudenzio era vicino a lei. Ma non poteva permetterselo, ora non era il tempo per provare nulla: nessun sentimento, nessuna forza andava sprecata, nessun orgasmo avrebbe mai più provato. Solo amore e affetto per suo figlio e per le sue gemelle. Ora era arrivato finalmente il tempo per fare la mamma.
La donna, la femmina che sapeva regalare orgasmi, a volte senza essere ricambiata, era andata via e non sarebbe ritornata mai più. L’uomo con barba folta e denti sporchi, che ora aveva anche un nome e sicuramente possedeva anche un cognome, la guardava fisso, cercando di spogliarla con la sola forza dei suoi magnetici occhi. cercando di carpirne anche i più reconditi segreti. Bella pretesa per uno sconosciuto! Quando nemmeno il professor Ugoletti, dopo anni di sedute e colloqui era riuscito a capire la metà di ciò che la mente di Ninuccia Ercolani conteneva. Ma Gaudenzio aveva il potere di farla sentire nuda come un verme, anche se l’uomo si presentava goffo e stralunato, era in grado di farla sentire a disagio.
“Come faccio per mascherare tutti questi segreti? Sono troppi e troppo pesanti da portare, solo Rosina e Dio lo sanno! Gaudenzio non capirebbe mai il perché di tutte queste bugie, perciò mi devo rassegnare e metterci una pietra sopra. Una volta arrivati a Castrolibero spero di non incontrarlo mai più.”Il nome di questo uomo, i modi di fare e l’imponente figura, per un attimo le sembrarono familiari ed ebbe un flash davanti agli occhi. Era come se rivedesse Don Gaudenzio Alessi, quando lei abitava ancora al Paese: aveva persino il tic nervoso di toccarsi la barba in continuazione, da sinistra a destra e non viceversa. “Che stranezza” pensava “Si grattano la barba nello stesso identico modo, mah, sarà un caso.”Poi invece pensò che la stanchezza le stava giocando dei brutti scherzi. Mentre lui non accennava a smettere di guardarla con introspezione, di botto lei gli chiese “Ma ce l’hai un cognome? O sei Gaudenzio e basta?”.“E tu ce l’hai un cognome? O sei Dora e basta?”rispose prontamente lui. Stabilirono di comune accordo, che per ora erano semplicemente Gaudenzio e Dora, un uomo e una donna, Dora e Gaudenzio, una donna ed un uomo. “Sono venuto a chiederti se hai freddo ai piedi e se vuoi un altro paio di calze di lana mie, ne ho di pesantissime nel mio sacco. Inoltre volevo accertarmi se stai bene e se hai fame, volevo inoltre ricordarti che tra un po’ dobbiamo scendere. Pensavo ti fossi addormentata di nuovo e pensavo che devi scendere come me a Paola. O hai cambiato idea?”
Ninuccia era sorpresa per tutte quelle attenzioni, che quest’uomo così cupo e originale le riservava, perciò rispose con tutta tranquillità:” Sto bene e non ho freddo per il momento, sono solo stanca, non mi sono addormentata e sono molto felice che tu sia venuto a vedere come sto. Quanti anni hai Gaudenzio?”Chiese Ninuccia in un sussurro. “Ne ho cinquantacinque, perché fa differenza che io ne abbia settanta, o venti, o cinquantacinque?” “No, non ne fa” rispose Ninuccia e non Dora”Io ne ho quasi sessanta, così siamo pari e non me lo devi chiedere tra cinque minuti”. Tu mi dici qualcosa di te e io ti dico qualcosa di me? Sei d’accordo?” Ma Gaudenzio scosse la testa e rispose “Questo è un gioco che non mi piace, io ti dico quello che mi pare e anche tu dovrai fare lo stesso, mica siamo in debito l’uno nei confronti dell’altra! Io ti ho solo aiutata a salire su quel dannato Eurostar, ti ho allungato le gambe sul seggiolino per farti riposare meglio e ti procurato la scarpa che hai perso, tutto qua: non mi devi nulla.” “Perché dannato Eurostar? Non sei contento di ritornare a casa tua? Sono io che ti sto procurando ansia e rabbia, per chiamare dannato un mezzo che in fin dei conti ti sta conducendo al tuo nido?”
“Purtroppo, la parola casa se casa si può chiamare per me significa famiglia, perciò il treno è dannato”. E così dicendo si alzò dallo scompartimento e se ne andò via. Ninuccia, ancora una volta rimase estremamente sbalordita ed incredula davanti all’atteggiamento di quest’uomo che sembrava così lontano dal suo mondo, ma che inspiegabilmente sentiva vicino come non le accadeva da tanto tempo. Questo era per lei inconcepibile, dato che non solo era più giovine di lei, anche se di poco, ma non era certamente alla sua altezza di oggi. Non era del rango della Dottoressa Ercolani Ninuccia, non apparteneva al suo mondo uno che era esperto di cassonetti dell’immondizia. A Dora e basta poteva anche andare bene, a Ninuccia Ercolani, no, anche se avesse perso la testa!  I suoi piedi per le ore passate seduta, erano diventati ghiacciati, nonostante le paia di calze sovrapposte, quattro per la precisione. La valigia di cartone nella mano scarlatta per il gran freddo,le pesava come un macigno in quella stazione di Paola, sola e spaurita alle quattro e quindici minuti del mattino. Sebbene fosse assonnata e molto molto stanca, lesse il tabellone: il primo regionale per Cosenza ci sarebbe stato solo alle sei e trenta, quindi mancavano ancora due ore e quindici minuti di freddo e di solitudine. Di Gaudenzio nessuna traccia, di Ninuccia nemmeno l’ombra, mentre Dora batteva i piedi per il freddo.



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