Finalmente dopo aver percorso qualche decina di metri, stremata ed assonnata trovò il suo scompartimento ed il suo seggiolino che l’attendeva: si trovava quasi nella coda del treno. Nello stesso scompartimento, vi era seduto solo un uomo sulla cinquantina, che con occhi abbassati fissava il linoleum del pavimento, lei gli chiese con fare stanco ma gentile”Non vorrei importunarla signore, ma devo sedermi al posto che mi hanno assegnato.” Lui scocciato per essere stato disturbato, rispose con un filo di cortesia, ma solo un filo “Se proprio deve si segga, ma se ne stia zitta e non mi arrechi disturbo in nessun modo.” Pensando che era sicuramente la giornata del maleducato, sfinita per tutti gli avvenimenti, non appena si sedette, mise la valigia nel bauletto porta oggetti, raggomitolò il loden e la sciarpa come un cuscino, appoggiandoli sotto alla testa e cercò subito il sonno. Fece appena in tempo a dare un’ occhiata a quell’uomo dall’aria distinta, ma vestito in modo trasandato, con la barba incolta, i capelli arruffati e sporchi, un profumo non proprio di pulito: sembrava una via di mezzo tra un poveraccio ed un nobile. Lei penso che questa contrapposizione era certamente inconsueta.
Prima di chiudere gli occhi, fece in tempo a pronunciare qualche parola, anche se con la mente iniziava già a sognare.
“Le chiedo se mi sveglia per favore, quando siamo a Napoli, cioè tra circa quattro ore, se il treno farà il suo dovere, non le chiederò null’altro.” “Se proprio devo, lo farò, visto che scendo anch’io” e riprese a fissare il linoleum con aria inebetita. Dora finalmente si addormentò. Ninuccia era morta per ora, Dora era viva, Beniamino pure e con questi pensieri iniziò a sognare. “Presto fai bollire tutte le pezze di cotone bianche che trovi Rosina, prendi gli stracci per pulire in terra e sul tavolo, sbrigati! Prepara la suglia, le corde e il filo dell’otto, fallo bollire prima mi raccomando, non vorrei che mi morisse di setticemia. Ninuccia urlava nel letto, urlava e sudava, sembrava stesse per morire, povera bambina! “Resisti Ninni, ci sono qua io con te non ti lascio! Vedrai supereremo anche questa follia, ti aiuto io, spero solo tu possa perdonarmi un giorno.”“Non lo uccidere, mamma, nessuno lo verrà mai a sapere, lo daremo in adozione, ma lascialo vivere.” Mentre le doglie erano sempre più forti e Angelica le allargava le gambe, toccandola e palpandola senza delicatezza e senza umanità né tanto meno competenze ginecologiche, controllava di quanto si era dilatata, come si fa con una scrofa che sta per partorire. Ella non aveva nessun rispetto e amore, per quella figlia così sfortunata. “Era molto meglio se ti facevo abortire, ora non avrei tutto questo fastidio e non dovrei tenere un omicidio sulla coscienza e nel mio cuore. Ma come al solito è tutta tua la colpa, sei tu che provochi sempre gli uomini. Con quei seni così prepotenti e quelle labbra da donnaccia!Che cosa credevi, che quel maiale di mastro Raffaele, rimanesse insensibile alla tua procacità? Te l’ho spiegato mille volte che gli uomini sono tutti dei porci, dovevi vestirti di più e coprirti anche il viso, quando andavi alla Fabbrica, dovevi mettere una delle mie velette nere da Messa!” Angelica compiva ogni gesto come fosse in trance, parlava da sola e si muoveva come un automa. Ninuccia, legata sul tavolo operatorio di cucina, si dimenava come un animale e voltava gli occhi verso Rosina, supplicandola di non permettere che sua madre le uccidesse il bambino. “Fa che non lo uccida, Rosina, aiutami, prendilo tu mentre l’ultima spinta fu così forte, che si vide la testina bionda sbucare e Angelica facendosi il segno della Croce, disse”Ecco il diavolo che esce” e girandolo su se stesso come si fa per dare un giro di vite, lo strappò per sempre dal grembo di Ninuccia, provocandole una lacerazione talmente profonda che un lago di sangue rosso vivo uscì dalla vagina di Ninuccia. La bambina urlava talmente forte, che i vicini, preoccupati da tali strazianti urla e gemiti, bussarono alla porta per chiedere che cosa stava succedendo. Angelica, legandola ancora più stretta e mettendole in bocca un tappo usato nelle damigiane dell’olio per impedirle di parlare, rispose loro con voce acida “Non è nulla! Stiamo cercando di estrarre due denti marci a Ninuccia, poverina! Le hanno provocato degli ascessi e se non interveniamo subito morirà di febbri alte. Non vi preoccupate e tornatevene a casa, qua non serve nulla oramai, abbiamo quasi finito. Anzi, se proprio volete rendervi utili, portatemi del ghiaccio e molto per favore, così lo metteremo sulle gengive. Ve ne ringrazio fin d’ora ed in cambio vi regalerò una gallina da brodo.” Poi prese il braccio il nipote e sparì nell’altra stanza, con il piccolino che sbraitava come un indemoniato emettendo vagiti non umani. Sicuramente quelli non erano i primi vagiti di un bambino, erano urla premonitrici di morte.Egli era sporco di sangue, di catarro e di ogni nutrimento che Ninuccia era riuscita a dargli, “E’ anche bene in carne”, pensò Angelica “Con quelle sue guanciotte tonde e rosee anche se non pulite, sembrava un Cherubino. “Sarebbero due buone braccia per la Fabbrica, questo essere peserà almeno quattro chili e mezzo!” Disse con rabbia cieca la donna, che in quel momento donna e madre più non era, ma un’ invasata che stava per compiere un omicidio sull’infante.
Il coltello luccicava sul letto, sembrava una spada ed era pronto per il delitto, la lama era bene appuntita, non ci sarebbe voluto molto, per una creatura così piccola, un colpo ben sferrato come Angelica faceva con i tacchini e via, niente più umiliazione e vergogne, niente più timore di avere una figlia rovinata per sempre. L’unica figlia, femmina peraltro, perciò fonte di disastri e guai per tutta la vita. La cassettina per le mele con il canovaccio a quadretti bianchi e rossi, era a lato del letto, pronta anch’essa e sarebbe stata la sua piccola bara. Dall’altra stanza le urla di Ninuccia e di Rosina oramai erano mescolate insieme, dato che Rosina le aveva tolto il tappo dalla bocca, almeno poteva sfogarsi ed il sangue oramai era ovunque: sui muri, sul tappeto, sulla porta, persino sul viso di Rosina. Ovunque vi erano le tracce del massacro. Ninuccia oramai, se qualcuno non fosse intervenuto ad aiutarla, rischiava di morire dissanguata, povera creatura di Dio! Ad un certo punto, si senti bussare alla porta: era Martino che portava la cesta del ghiaccio. Rosina la prese in un attimo chiudendosi velocemente la porta alle spalle, lo mise sulla natura sanguinante di Ninuccia, cercando di alleviarle il dolore e di rallentare un poco il flusso, che non accennava a diminuire la sua portata. Vedendo che il sangue invece di diminuire aumentava, decise di buttare nella sua vagina tutto in una volta, il ghiaccio della cesta. Piano piano, adagio adagio, il flusso del lago rosso, diminuiva d’intensità ed anche il dolore sembrava leggermente attenuato. Ninuccia, sfinita e madida di sudore dalla testa ai piedi, i lunghi capelli attaccati alla schiena ed al viso era trasfigurata, aveva perso in un attimo i suoi meravigliosi connotati e anche Rosina si spaventò nel vederla così. In quel momento non era più una bambina di quattordici anni, che avrebbe dovuto giocare, ma una donna adulta, privata in un attimo del suo amore più grande: il suo bambino.Chiese a Rosina un bicchiere d’acqua e la pregò di metterci dentro un cubetto di ghiaccio, semmai ne fosse rimasto un poco.
Mentre nonna Angelica continuava a soppesare il bambino, due occhi neri la fissavano seri dal finestrino della camera che per la concitazione e la fretta, aveva dimenticato aperto.(continua…)
Buona lettura a chi sta intraprendendo questo viaggio con i nsotri protagonisti.