Ninuccia e le scarpe degli Angeli(sesto cap.)

Da Gattolona1964

“Avrebbe bisogno di una ripulita accurata, di quelle che solo Rosina sa fare oppure di un miracolo, per meglio dire! Inoltre dovrebbe passare dal mio dentista e Fernando potrebbe fare un ottimo lavoro su quella foresta incolta di barba e capelli. Non dovrebbe però tagliare molto!” Disse tra sé e sé, scrutandolo in ogni angolazione della testa, “Di certo non gli occorre lo scalpo così come ho dovuto fare io”. Lui non si deve nascondere da nessuno e quest’aria un po’ selvaggia e rude gli appartiene: non gli va tolta. Sotto la barba e i capelli in disordine, secondo me si nasconde un viso che toglie il fiato, quei visi che mi facevano impazzire un tempo. Aristide potrebbe insegnargli le buone maniere, ed io mi lascerei sicuramente ricrescere i miei capelli, li ritingerei di biondo facendomi fare anche i colpi di luce,  proverei per lui ad essere ancora una donna, o forse quella ragazza che non sono mai stata.”Questi pensieri civettuoli, invadevano la già confusa testa di Ninuccia e per un attimo le avevano fatto dimenticare i motivi che la portavano a Castrolibero. Una vampata di calore, la imprigionò dentro ad un altro pensiero ancora più erotico, se ne vergognò immediatamente ricacciandolo indietro. Ma fu solo un attimo, ed il pensiero così come era arrivato, se ne era già volato via. Si era dimenticata ancora di prendere le compresse, ma non voleva sfidare il destino e ne inghiottì subito una, senza essere vista da lui.Le domande che le faceva erano troppe e troppo personali, per i gusti di Ninuccia. Mentre terminava la sua sigaretta gli disse”Ho molta fame, cerchiamo un bar e mettiamo sotto i denti qualcosa. Ma prima devo trovare l’altra scarpa, mi fa molto male il piede, mi sta venendo un’enorme vescica e sto zoppicando.” Lui le rispose che l’unico posto in una stazione a quell’ora di notte per trovare una scarpa, era il cassonetto della spazzatura, mica erano in aeroporto con il Dutyfree sempre aperto!“Eccone due là in fondo vicino al bar, vieni andiamo a cercare la tua nuova scarpa”.Non si era accorto che involontariamente le dava del “tu”. Gli riusciva spontaneo, anche se per lui chiuso e lunatico, era una cosa inusuale dare del tu ad una persona sconosciuta. Sì, perché per lui Dora era una perfetta sconosciuta, anche se era lì con lui di notte, a Napoli a cercare una scarpa in un bidone dell’immondizia. “Però ci mette lei le mani dentro, vero? Io ho una paura tremenda dei ratti e dei topi, piuttosto mi tengo il freddo al piede e la vescica che sta per spuntare.” “Sì, ce le metto io le mani, puoi scommettere che la troverò subito una scarpa adatta al tuo piede. Sono un esperto di cassonetti io: non l’avresti mai detto vero Dora?” In un battibaleno, si arrotolò le maniche della camicia attorno alle mani, per proteggerle in assenza di un paio di guanti consoni all’uso, ed infilò un braccio dentro al cassonetto. Lei lo guardava con aria divertita, mentre teneva d’occhio il grande orologio della stazione, tra poco sarebbe arrivato il treno per Paola. “Non si può sbrigare per favore, con quella benedetta scarpa?” disse Ninuccia pensando alle migliaia che aveva a casa “Tra dieci minuti arriva l’ Eurostar!”.“Ehi, sto facendo del mio meglio, qua dentro non ci sono solo scarpe” disse mentre estrasse uno zaino ricolmo di pannoloni usati per bambini, alla cui vista Ninuccia mugugnò. “Hai il piede gelato, Dora?” chiese Gaudenzio, “credo di aver trovato qualcosa che fa al caso tuo”. Estrasse finalmente tutte e due le braccia dal cassonetto e nelle mani aveva due paia di scarpe: un paio erano espadrillas grigie e l’altro, robuste ed imbottite scarpe da ginnastica, di colore rosso. “Non saranno alla moda, non sarà nemmeno il tuo numero perfetto, ma almeno ti ripari i piedi e considerando la temperatura che abbiamo, credo opterai per quelle da ginnastica.”Ninuccia che odiava il colore rosso perché le ricordava quel lago di sangue, disse a malincuore:“Potendo scegliere indosserò le espadrillas, anche se avrò un poco freddo ai piedi, mi sono più congeniali. Aggiungerò due paia di calzettoni di lana che ho in valigia, per compensare lo spessore mancante “A questa risposta Gaudenzio gliele porse. Non aveva compreso bene il perché di quella scelta azzardata.“Va beh, contenta tu di gelare, contenti tutti.” Mica doveva pagarle le scarpe da ginnastica, tutto sommato erano ancora in buon stato, essendo rigide non avrebbero fatto passare il freddo e la neve. L’uomo, che non riusciva a trovare un nesso logico nella scelta di Ninuccia, si rimise in silenzio ad osservarla mentre si infilava le due paia di calze e indossava le scarpette di tela, quasi come fossero un altro paio di calze. Un nuovo fischio avvisava che era in arrivo sul binario numero sessantotto, il treno per Paola, perciò si rimisero in fila per salire. Si era fatta l’una trenta del mattino. Salendo sul treno, cercarono i loro scompartimenti, augurandosi che fossero ben distanti l’uno dall’altra. Si salutarono così, con una poco convinta ma vigorosa stretta di mano. Gaudenzio non desiderava fare un altro pezzo di strada con Dora accanto, quella donna non gli piaceva, troppi misteri erano cuciti addosso alla sua persona, parecchie cose non gli tornavano. E quando a Gaudenzio non tornava qualcosa, lui taceva e ascoltava il rumore del silenzio, sperando di trarne le giuste e concrete risposte. Non aveva nemmeno compreso il motivo per cui Dora aveva lasciato un biglietto da cento euro nel cassonetto della spazzatura “Per pagare le scarpe che abbiamo rubato” si giustificò lei, mentre lui non capiva e diceva che se qualcuno le aveva abbandonate, voleva dire che non gli servivano più.“Così se altri poveretti dopo di noi ne hanno bisogno e non ne trovano, se le potranno comprare le scarpe invece di avere i piedi ghiacciati: non le pare?” Ninuccia continuava imperterrita a dare del lei a quell’uomo così mistico e strano, per nulla somigliante a un uomo del suo mondo. Niente lo accomunava a lei, a parte quello strano sfregolio involontario, che sentiva nelle parti intime ogni qualvolta lui le era troppo vicino. Non se lo spiegava, questo la mandava su di giri, cercava con la razionalità di scacciare via dal suo corpo quel leggero schiudersi delle piccole e grandi labbra, ma niente da fare! Loro non l’ascoltavano e nemmeno le obbedivano, come fosse in un Consiglio d’Amministrazione nel quale, immancabilmente qualcuno non era d’accordo con le decisioni da lei prese. Per tutta risposta esse si schiudevano ancora di più a loro piacimento, facendola innervosire parecchio. Non riusciva a tenere testa alla sua natura più intima e segreta, questo per lei era un dato di fatto che giocava in suo sfavore, non le avrebbe di certo giovato un amplesso con il primo finto tonto che aveva incontrato nel suo viaggio. Anzi! Era un grande eufemismo chiamarlo viaggio e basta, quella era la sua unica ragione di vita, altrimenti quella vita piena di ori e di orpelli inutili se la sarebbe tolta a Bologna, ma c’era Beniamino da trovare e tutte le spiegazioni del caso da fornirgli. I pruriti sessuali li doveva assolutamente mettere da parte, prese una compressa di Xanax per calmarsi un po’, stramaledicendo voglia di amare ancora, mai sopita. Ora non aveva più sonno ed estrasse dalla valigia un vecchio Rosario appartenuto a nonna Divina. Iniziò pian piano a snocciolarlo molto lentamente, quasi come cercasse la giusta medicina in quelle Preghiere, che la potesse magicamente guarire da tutti i suoi mali in un battibaleno, ben sapendo che non funzionava così. Recitava un’ Ave Maria dopo l’altra, in modo meccanico e poco convinta, mentre controllava di continuo l’orologio del corridoio.
Alle quattro del mattino, minuto più minuto meno, sarebbe arrivata a Paola, sempre che il treno facesse il suo dovere senza intoppi. Quel bellissimo Rosario antico di granate viola scuro, le faceva ricordare, quando nei giorni del Natale con Rosina andava per le stradine di Castrolibero a piedi nudi a chiedere l’elemosina, per comperare i dolcetti natalizi alla panetteria. Era perfettamente sveglia e aveva davanti a sé la scena: Ninni e Rosa vestite uguali con il grembiulino rosso ben stirato, i capelli raccolti in una grossa treccia legati con uno spago della fabbrica per cucire le tomaie. Rosa suonava l’armonica a bocca, mentre Ninni ballava con grazia e i passanti mentre applaudivano, allungavano loro parecchie monetine. Oramai ogni Natale si ripeteva questo rituale e loro riuscivano a mettere da parte qualche spicciolo sia per i dolcetti che tanto piacevano a Rosina, sia per la carta e le matite per Ninuccia. Questi ricordi la facevano sorridere e mentre stava per recitare l’ultima decina di Ave Maria, assorta nelle sue preghiere, sentì bussare lievemente al vetro della porta del suo scompartimento. Era talmente concentrata che non si accorse subito chi era, pensava fosse il controllore del turno di notte, che effettuava il solito giro per accertarsi che tutto andasse per il meglio. Prima di guardare il vetro, udì:”Posso entrare? Ti disturbo?”La voce conosciuta poche ore fa la fece girare di scatto e rispose” Sì, entra pure, stavo recitando il Rosario, non mi disturbi affatto.”Pronunciò queste parole come fosse la cosa più naturale del mondo, svelando un lato di sé intimo, semplice ed umile e finalmente riuscì a dargli del tu. Ninuccia era molto credente, anche se poco praticante. In diverse occasioni recitava il Rosario, sostenendo che se non ci fosse stato nei momenti più bui della sua esistenza, non sarebbe riuscita ad arrivare fino a qui.
La figura che stava entrando dovette abbassare la testa e chinarsi per entrare “Sarà alto almeno un metro e novantatré” pensò Ninuccia in quell’istante, squadrandolo da capo a piedi, come se lo vedesse per la prima volta. Con la sua notevole altezza, occupava tutto l’abitacolo del treno, era imponente e massiccio sotto a quell’andatura goffa e triste, che certamente mascherava un altro uomo, ben diverso dall’immagine che voleva dare al mondo. Ma perché voleva mimetizzarsi a quel modo? Perché celare dietro ad una maschera di nullità, la sua imponente figura maschile? Mentre lui si accarezzava la barba per l’ennesima volta, Ninuccia notò anche le mani che avevano dita lunghe e regolari, quasi da chirurgo, a parte le unghie che erano sporche.

(continua con la terza ed ultima parte del sesto capitolo)



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