Le mise la lingua calda all’interno all’orecchio, lei si ammorbidì e si abbandonò al suo corpo, che era già abbondantemente pronto per entrare dentro di lei. Ninuccia si sentiva al sicuro tra le sue braccia, si sciolse e divenne più morbida. La rabbia di prima aveva lasciato il posto ad un calore che le saliva dalle gambe e le arrivava sino alle tempie pulsanti, il suo cuore batteva all’impazzata e nella sua intimità si sentiva bagnata e pronta per fare l’amore.Iniziò a ricambiare i suoi baci ardenti e appassionati, dopotutto aveva solo trentuno anni, era di una bellezza prorompente e per lui, devastante. Vincenzo le era sempre piaciuto per la sua mascolinità, era l’uomo che avrebbe voluto sposare. Inoltre erano diversi mesi, che non faceva più l’amore con un uomo vero. Il Colonnello aveva chiuso la porta del suo ufficio a chiave, Ninuccia si abbandonò completamente a lui, gli sbottonò la camicia e lo accarezzò ovunque. Ogni volta che le le sue mani lo sfioravano, lui emetteva dei sospiri e gemiti fortissimi, diverse volte le disse”Ti amo da impazzire Ninuccia, ti ho sempre amata, sei la donna della mia vita, amami ancora come sai fare tu, regalami i tuoi orgasmi e mi farai l’uomo più felice della terra”. Ninuccia obbedì, ed iniziarono ad arrivare i suoi orgasmi: il primo fu maestoso, terrificante e l’urlo che uscì dalla gola di Ninuccia, fu talmente forte da far spaventare un subalterno del Colonnello, che era sempre di guardia davanti all’ufficio. Egli bussò forte, chiedendo al Colonnello, se fosse capitata una cosa grave o se si fosse sentito male. Vincenzo Cordua, rispose che era la radio che trasmetteva un film di guerra e gli disse di non disturbarlo più fino a che era in ufficio per nessun motivo al mondo. Il subalterno ubbidì, anche se la versione del film alla radio non era molto credibile, dal momento che nel corridoio d’aspetto, era appoggiato sulla sedia lo scialle nero di Ninuccia fatto al tombolo.Era stato ricamato con fili d’argento intrecciati, il risultato lo rendeva diverso da tutti gli altri scialli delle donne del Paese, perciò ben riconoscibile. Il carabiniere scelto Colonna Esmeraldo lo aveva riconosciuto e comprese subito chi urlava nell’ufficio, fece finta di nulla e si accese una sigaretta. Dopo tutto non erano affari suoi, tutti in Paese sapevano che per Ninuccia, il Colonnello avrebbe fatto qualsiasi cosa, qualsiasi cosa lei gli avesse domandato. Ripresero a fare l’amore selvaggiamente e arrivarono altri orgasmi senza farsi pregare: finalmente aveva aperto la gabbia permettendo a loro di uscire dopo secoli di forzata prigionia. Arrivavano in fila uno dopo l’altro, come un fiume in piena che non conosce ostacoli: per ogni orgasmo lei chiudeva gli occhi e Vincenzo lo sentiva dalle contrazioni della vagina di lei, che gli avvolgevano il pene come in una morsa serrata. Ninuccia era in estasi, un leggero rigolo di saliva le stava uscendo dalla bocca. Gli occhi facevano cadere lacrime calde di piacere facendola abbandonare sempre più al corpo di Vincenzo, che oramai era al limite della sopportazione e temeva di avere subito un orgasmo. “Ninuccia ti supplico, lasciami uscire da te, mi fai morire e non vorrei avere l’orgasmo proprio ora, non prima di averti resa completamente felice e soddisfatta, ti supplico non mi toccare per qualche minuto o esploderò!” Glielo chiese dolcemente, come se pregasse in Chiesa ed Continuò però a procurarle altri tipi di orgasmo, a baciarla con la lingua ovunque, la fece mettere carponi per terra e le leccò anche il suo buchino rosa, alternava la lingua alle dita che inseriva facilmente avendole unto il suo punto più delicato. Lei godeva come mai aveva goduto in vita sua. Vincenzo sapeva che Ninuccia amava ricevere anche delle piccole patacche sulle natiche, mentre lui aveva le dita dentro il suo splendido ano. Le procurò altri orgasmi, tutti intensi e diversi tra loro. Una specie di liquido seminale usciva dalla sua vagina e lui leccò anche quello, perché si dichiarava completamente uscito di senno per questa tanta auspicata situazione. Amava tutto di lei e tutto quello che lei produceva Cordua lo considerava sua proprietà privata. Ninuccia era così stordita che non capiva più quale parte delle sue intimità stava godendo, non distingueva se erano i capezzoli, se era il clitoride, se godeva nell’ano o se era la vagina che emetteva quel liquido strano. Per lei questa era una rivincita sulla vita, ed una dimostrazione a lui, che il tempo e le sevizie subite, non l’avevano cambiata né incattivita. Era ancora quella ragazza nata per amare e per farsi amare dal proprio uomo, senza limiti o confini, purché tutti e due lo volessero. Il Colonnello lo sapeva da sempre con certezza, lo avvertiva in ogni movenza o gemito di lei, per questo era tranquillo che lei non si stava approfittando di lui, usando il proprio magnifico corpo. Si prese il tempo di calmarsi e di far scendere anche se di poco la propria maestosa erezione, ma fu questione di pochissimi minuti e rientrò prepotentemente dentro di lei. Andarono avanti così per un tempo non quantificabile: quando il Colonnello capiva che era vicino ad eiaculare, usciva da lei e si concentrava per comandare la situazione. Si amarono come ragazzini, quando lui stremato e sudato fradicio, esplose con la furia di un vulcano in eruzione, la bagnò ovunque con il suo sperma abbondante e denso. Anche i capelli che erano madidi di sudore ed in disordine, ora erano anche intrisi del seme forte e potente di Vincenzo Cordua. Ninuccia sapeva come amare, amava l’amore ed il sesso che ne derivava. Era spontanea, sincera, per niente costruita, i suoni primordiali, le urla, le lacrime, i gemiti e le sensazioni che sapeva donare all’altro, non erano nozioni imparate sui libri di scuola. Invece ad amare non si impara come scriveva lei, si nasce con l’amore dentro, ce l’hai nelle vene ed è mescolato al tuo sangue, devi esserne intriso e straripante d’amore se vuoi donarlo all’altro. “Non si va a scuola di sesso, a meno che tu non sia una puttana e lo faccia secondo un codice ben preciso di comportamento. Se ami veramente e trovi il canale giusto, che ti fa avviare i motori sei tu l’amore vero ed il centro della vita del tuo uomo”. Questi erano i suoi pensieri, queste erano le sensazioni che sperimentava sulla sua pelle e per niente al mondo li avrebbe cambiati. “Null’altro conta” diceva, “Ma non devi fingere mai, saresti una misera donnina!” Una di quelle che Ninuccia odiava, quelle pagate per fingere l’orgasmo, addestrate per miagolare come gatte in calore. Ninuccia aveva dentro di sé questo dono della natura. Era ella stessa un dono della vita, era nata per amare e per rendere felice il proprio compagno nonostante le violenze fisiche e psicologiche che aveva dovuto subire da bambina, era rimasta un’anima pura. Vincenzo questo lo aveva capito fin da ragazzino quando verso sera, correvano entrambi per arrivare nel bosco dei ciliegi di Don Gaudenzio. Vincenzo e Ninuccia, trascorrevano sotto al grande ciliegio le ore libere dalla Fabbrica delle Scarpe, si strappavano i vestiti di dosso ed in un battibaleno, erano nudi e baciati dal sole di Castrolibero. Giovani e felici erano avvinghiati come due edere, imparando insieme, giorno dopo giorno, tramonto dopo tramonto i primi giochi sessuali. Per ogni gioco nuovo che sperimentavano, lei urlava come una selvaggia, usando un istinto primordiale che a volte faceva paura anche a lei. Quel ragazzo tanto ardito quanto attratto e stregato da Ninuccia, era come lei del resto ai primi tentativi di sesso. Inesperto com’era, non riusciva quasi mai a portare a termine un amplesso: il suo orgasmo esplodeva intenso dopo pochi minuti di petting, ma era contento e soddisfatto ugualmente. Era Ninuccia che lo faceva venire e lui faceva venire lei, in che modo e dopo quanto tempo ad entrambi non importava: erano grati alla vita e al destino che li aveva fatti incontrare. Ora in quell’ufficio lei doveva liberarsi, di tutto quel piacere represso che aveva nel corpo e nell’anima, non ne poteva più di aspettare alla finestra, sola e piangente sino a notte fonda uno sciagurato come suo marito, che non appena metteva piede in casa la picchiava. Questo pensiero reale, la induceva a non avere remore o sensi di colpa per tradire quello che era diventato suo marito per volere di sua madre.
Ora stava facendo l’amore con il Colonnello Cordua Vincenzo: sulla scrivania del suo ufficio, in terra come una gatta randagia, in piedi attaccata all’armadio dei documenti, sul lavandino del bagno adiacente l’ufficio, davanti allo specchio, mentre guardava il pene di lui entrare ed uscire ritmicamente nella sua vagina, con il clitoride che le si era gonfiato a dismisura. Era attonita per le dimensioni del pene di Vincenzo, adorava quelle parti intime di lui, così imponenti ed altere. Non si ricordava più nulla, di come era fatto sotto a quella divisa da ufficiale, così come non ricordava l’angioma beige che aveva nella parte bassa della schiena. Era una macchia grande come una ciliegia, che disegnava una specie di nuvola ed ogni volta che la guardava, la paragonava ad un altro angioma, che ben ricordava. Vincenzo le piaceva molto fisicamente, forse non ne era innamorata nel senso più classico e tenero della parola, forse era passione sfrenata e ardita, della quale in questo momento lei aveva un dannato bisogno. Il resto non le importava e l’amore dei sedici anni, quello puro e angelico, non sarebbe mai più tornato per lei; dopo quello che aveva dovuto subire aveva deciso che non si sarebbe mai innamorata di un uomo, ora si stava semplicemente prendendo ciò che le occorreva per tirare avanti. Lo volle sentire dentro di sé anche mentre era attaccata all’appendiabiti, pretese da Vincenzo di essere amata in tutte le posizioni e in tutti gli angoli di quella stanza di venticinque metri quadrati. Si donava a lui senza false riserve, senza pudori o inutili vergogne, ricevendo da lui, ancora più di quanto lei gli stava regalando. Tutto in quei muri scrostati, una volta che lei fosse uscita, doveva avere il suo sapore ed il suo odore, tutto doveva parlare di lei, in modo che Vincenzo non la dimenticasse mai. Ma su questo poteva stare certa, Vincenzo non l’avrebbe mai e poi mai dimenticata. La mattinata trascorsa ad amarsi appassionatamente, avrebbe lasciato un segno indelebile in tutti e due, forse era stato il lasciapassare per liberarsi in modo definitivo di Achille Fornasetti e.. chissà! Forse sarebbe riuscita ancora ad amare Vincenzo, magari si sarebbero sposati, anche se il viaggio in programma l’avrebbe portata molto molto, lontana da lui. Trascorsero parecchi giorni da quella mattina di fuoco, Fornasetti fu arrestato e passò in carcere quasi dodici mesi, con parecchi capi d’imputazione. Primo tra tutti quello di furto e tentata vendita d’opera d’arte, poi accusa di loschi traffici con delinquenti. Cordua molto felice di poterlo fare, lo accusò anche di ubriachezza molesta con percosse ai danni della moglie, furto di denaro alla Parrocchia, tradimento e altre piccole cosette che Vincenzo aveva voluto aggiungere al curriculum del Furbo. Con evidente soddisfazione e una punta d’orgoglio, lo mise in gattabuia personalmente dandogli anche un paio di sonori ceffoni senza essere visto dalle guardie. Dopo aver chiuso la cella con i dovuti catenacci, si fumò in tutta pace un sigaro, con occhi sornioni e un grande sorriso sulle labbra, per essersi tolto dai piedi un ostacolo alla passione tra lui e la donna che aveva sempre amato. Ninuccia, Rosina, Greta e Celeste finalmente poterono andarsene al Nord, con la maledizione di Angelica che per la rabbia ebbe un altro gravissimo ictus, ancora più paralizzante del precedente. Ma nemmeno questa volta chiuse gli occhi per sempre e non volò in cielo, in compagnia del povero Biagio Ercolani, manipolato da lei come un burattino con i fili rotti. Questo ulteriore incidente di percorso, come lo chiamava Ninuccia, non le impedì di andarsene in Emilia Romagna, più precisamente a Bologna dove aveva la Casa Editrice principale, il Commendatore Sangalli Pietro. Il cervello di Ninuccia era una calcolatrice perfetta con le pile nuove: d’ora in poi bando ai sentimentalismi e stop alle lacrime, ma obiettivi chiari e precisi da raggiungere. In questo Ninuccia non era seconda a nessuno. Con la determinazione e la tenacia che aveva, sarebbe arrivata in cima alla vetta più ambita.La squadra femminile di Castrolibero formata da Ercolani Ninuccia, Giudici Rosina, Fornasetti Greta e Celeste, partì per Bologna accompagnata dal fedele e devoto Tirotta Mafaldo.
(fine nono capitolo)