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No alle mafie nell’Expò. Infatti chiude la Dia di Malpensa

Creato il 10 maggio 2013 da Albertocapece

EVIDENZA-Mafia-a-MilanoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Sono passati 4 giorni. “Fondamentale è l’attenzione massima che ci metteremo sia per quel che riguarda il tema del controllo perché nessuno attorno possa pensare di fare il furbo, di infilarsi e di usare questa grande occasione per attività illecite e illegali. L’impegno è totale e sarà un impegno molto attento”, garantiva Enrico Letta, in visita pastorale all’Expo di Milano. La lotta alle infiltrazioni criminali in Expo “sarà una delle nostre ossessioni – aggiunge il presidente del Consiglio -. Ovviamente lo faremo applicando le leggi, ma anche mettendoci qualcosa di più in termini di attenzione e impegno”. Così “la criminalità, la mafia non pensino che questa sia un’occasione in cui possano avere mano libera. Ci sarà vigilanza doppia, tripla, quadrupla perché quanto sarebbe negativo il ritorno per il Paese e quanto positivo dall’essere duri e inflessibili su questo tema”, rispetto “all’immagine dell’Italia che troppo spesso è associata alle devianze”.

Chissà cosa intende Letta per “devianze”. Pare, almeno a guardare il suo partito di riferimento ufficiale, prima della riunificazione con l’altro suo partito ufficiale, che non sia considerata tale la frode fiscale, che non   suscita scandalo in un organismo percorso da una febbre maligna, senza linea né identità e che ha perso qualsiasi riferimento morale, qualsiasi coerenza, qualsiasi dignità  e non compromette un patto scellerato fondato sul ricatto per la sopravvivenza.

Erano considerate devianze, non molto tempo orsono, i vizi privati e le sconsiderate esuberanze  di un premier erotomane, ma oculato nel caricare le voci più pesanti dei suoi costosi passatempi sui bilanci delle amministrazioni regionali o statali, sotto forma di remunerazioni e “costi della politica”. Ma il costume e il giudizio morale deve aver seguito una evoluzione acrobatica, perché improvvisamente anche quei comportamenti sono stati assimilati a innocenti evasioni, alla genuinità  di un tycoon vitalistico ed effervescente legittimato a distrarsi un po’ dai troppi impegni di lavoro e  governo.

Certe forme di corruzione, di traffico di influenza poi non sono certo trasgressive. Per via che lo fanno tutti, perbacco, ma anche perché a volte si configurano come inusuali manifestazioni di spirito caritatevole , come accadeva per la famiglia Tarantino. E meno che mai se si parla di familismo o clientelismo, macché, sono le fogge moderne della selezione del ceto dirigente,  l’estendersi ad altri settori della società della fidelizzazione, dell’appartenenza alla cultura aziendalista.

In fondo viviamo in un’epoca dinamica, dove devono potersi esprimere e dipanare i valori della spigliata concorrenza, della sbrigliata competitività libera da ostacoli moralistici e vincoli conformisti e arcaici. Quello che conta è guardare alle divinità del mercato e del profitto, cui sono dovuti sacrifici, i nostri, rinunce, le nostre, che se sono le loro sono quelle della trasparenza, della coerenza, dell’onestà – in fondo quella è un optional -  del buonsenso, della lealtà.

Ma si mica possiamo permetterci di andare troppo per il sottile. Quando si è in crisi qualche devianza è concessa, è successo anche tra le due guerre, no? ai tempi di Al Capone. Quando l’economia ufficiale si ferma subentra l’ “altra” economia, quella parallela del mercato nero, dell’illegalità, della criminalità. Che non è fatta solo dei banchieri fraudolenti, dei trader “creativi”, dei boss riconoscibili. Il moltiplicatore della ricchezza criminale è alla base della piramide sociale, è la popolazione che ha bisogno di ossigeno, di contante, quello del compro- oro, dell’usura. Sono i piccoli imprenditori incravattati dalle cambiale che sono costretti a cedere le loro aziende indebitate. È la gente che si assoggetta all’omertà, alla tolleranza dell’illegalità, al sopruso, alla criminalizzazione dell’economia legittima.

E su questa impalcatura di licenze, trasgressioni, elusioni, evasioni, devianze – come le chiama il premier – prosperano i cartelli malavitosi, si consolida il patto tra corrotti e concussi, tra imprenditori e amministratori, tra economia legale e economia criminale, in un tessuto sempre più permeabile, nella mancanza di controlli efficaci e nell’inosservanza di leggi.

E non so perché non mi stupisce che sdopo le ferme e roboanti parole di Letta, tra qualche giorno chiuda d’ufficio il Nucleo Informativo di Malpensa, nel  2000 per raccogliere elementi utili all’attività di prevenzione ed analisi dei fenomeni criminali correlati alla malavita organizzata, “garantendo nel contempo una funzione di appoggio ed assistenza con particolare riguardo alle iniziative di maggior complessità e/o indagini di Polizia Giudiziaria”.  Malpensa (a pensar male si fa bene)   è un ganglio vitale in una zona fortissima penetrazione mafiosa, come hanno dimostrato le ultime indagini della Procura di Milano. E l’organismo della Dia, in previsione dell’Expò, avrebbe dovuto essere invece rafforzato,  come presidio fondamentale di contrasto. Ma forse hanno ragione i leghisti, forse la mafia in Padania non esiste. O forse non devìa abbastanza.


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