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No - I giorni dell'arcobaleno

Creato il 21 maggio 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

No - I giorni dell'arcobaleno
No - I giorni dell'arcobaleno non è un giallo politico, no. Faremmo un enorme torto a Pablo Larraìn se così lo definissimo. Con questo terzo e ultimo capitolo dedicato al Cile nell'era Pinochet, il regista conclude una sorta di osservatorio storico e filmico iniziato nel 2008 con Tony Manero e proseguito poi nel 2010 con Post Mortem. Si potrebbe dire che lo spirito di questo trittico documentaristico segue in maniera regolare l'ordine dei fatti accaduti in Cile, per cui nel primo film si parla dell'inizio della dittatura, nel secondo del momento più atroce e difficile per l'intero paese e in questo No, della fine del regime Pinochet.
Mi piace parlare di No - I giorni dell'arcobaleno come di un coinvolgente racconto per immagini di quella che fu l'impresa di un giovane pubblicitario. René Saavedra/Gael Garcia Bernal è il meno avvezzo alle dinamiche politiche, e si capisce che il regista voglia sottolineare questo aspetto. Sarà che è stato il primo messaggio ad essermi arrivato, forse anche perché rappresenta la parte più simile a me. In fin dei conti ci troviamo di fronte a uno di quei film che richiamano l'attenzione sia di chi ama il genere o anche solo per quanti amavano e amano tuttora i libri di storia. Io rientro nella seconda categoria, e ci tengo a sottoscrivere quanto sia lontana da fede o ideali politici eppure, mentre guardavo il film, quanto avrei voluto partecipare a  quella campagna elettorale...
No - I giorni dell'arcobaleno
Siamo nel 1988 e il Cile sta decidendo in maniera democratica le proprie sorti. Un Si o un No, che avrebbe dato a Pinochet un'ulteriore conferma, oppure la fine definitiva della sua dittatura. I leader dell'opposizione convincono questo giovane pubblicitario a darsi da fare nella campagna, per abbattere Pinochet e vincere il Referendum con un NO. René non è il tipico leader, anzi. Non è convinto soprattutto all'inizio e non sa quanto saggia possa essere l'idea di affrontare una campagna così ostica e, ad un primo sguardo, già persa in partenza. Ma Saavedra aveva quel poco che bastava a persuadere l'intero Paese: l'entusiasmo e il senso dell'umorismo. Mentre agli occhi dei membri più "seriosi" le idee di Saavedra apparivano come pagliacciate inaccettabili, la gente cominciava a porsi delle nuove domande. In quei quindici minuti di "spot" che ogni giorno la tv mandava in onda, la gente cominciava a scorgere nuove possibilità, non più le bombe e i cadaveri a terra. Un po' tutti i cittadini erano stanchi di vedere il male, di esprimere i propri voti all'insegna della tristezza e dell'angoscia causata dal terrore. Ecco perché quella campagna impossibile risultò strategicamente vincente, perché aveva dato al popolo alternative e poco importava se queste, apparissero grottesche e poco credibili. Perché i cileni non sono alti un metro e ottanta e nemmeno sono biondi col sorriso smagliante, no. Questo chi guardava lo sapeva bene, ma non gli importava più. Dietro tutto l'entusiasmo contagioso del film, girato con macchine analogiche in formato 4:3, si nasconde però un sottile velo di inquietudine, di amarezza dal sapore di una vittoria "psicologicamente mutilata". Poiché il Cile vincendo questa battaglia ha gettato alle spalle la consapevolezza di una storia scritta sotto "dittatura", ma ha ceduto il posto, senza rendersene (consapevolmente) conto, alla dittatura dei media. Coronando in definitiva il trono della regina manipolatrice per eccellenza. Quella che, per intenderci, ti fa tornare a casa canticchiando "Ciiile l'alegria ya viene", sorridendo senza capirne, in fondo, nemmeno il senso.
Consigliato? Assolutamente SI!!! 

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