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No music. No party.

Creato il 26 maggio 2011 da Frankezze

No music. No party.

Si narra che in tempi non troppo lontani la musica fosse diventata uno dei principali strumenti della politica, soprattutto durante le campagne elettorali.
In tanti hanno assistito a questa rivoluzione, anche se in pochi ne conservano memoria.
I candidati che facevano a gara per dimostrare il loro attaccamento alla musica.
Le lotte per accaparrarsi il gruppo figo.
Le spassionate dichiarazioni di amore ai cantanti più improbabili.
E ancora, i concerti organizzati, annullati e spostati.
Le turnazioni nelle principali piazze, con destra e sinistra a sfidarsi in una gara a chi riusciva a riempirle di più.
Una cosa dopo l’altra, si è arrivati ad un punto senza ritorno, dopo il quale niente è stato più come prima.
La musica era diventata il nuovo linguaggio.
L’unico strumento di espressione possibile.
E, senza che nessuno se ne accorgesse, è stato imposto lo statuto del concerto da stadio.
Uno statuto al cui interno era permesso quasi tutto.
Urla di incoraggiamento.
Fischi di assenso.
Applausi collettivi improvvisi.
Brani cantati a squarciagola.
Richieste immotivate di bis ad ogni angolo di strada.
Pericolosi accendini ondeggianti ad illuminare intimità altrui.
Cuoricini luminosi per i più tranquilli.
Pogo selvaggio per i ribelli.
Ancora oggi c’è chi pensa che dietro questa grande rivoluzione culturale ci sia lo zampino delle lobby di spartiti e applausometri.
Ma io no. Non ci credo.
Perché non mi sono mica scordato di Milano e di tutto quello che è successo.
C’erano i terroristi.
Gli zingari.
I drogati.
E c’erano i rosci.
I rosci chi?
Si, i rosci. Quelli più sfigati di tutti.
Quelli che per una vita hanno fatto finta di essere giovani e fighi, ma non ci sono mai riusciti.


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