Cubo di Rubik. I social media e il no profit.
Questo mese di volontariato mi ha portato a contatto con il mondo del no profit. Avevo degli obiettivi da raggiungere con budget a zero euro (incluso il mio costo di lavoratrice); ho utilizzato i social media per avvicinarmi quanto più possibile al risultato voluto. Il tempo a disposizione è stato limitato (10 giorni). I miei strumenti mobili (assente la postazione fissa) non sono andati molto oltre il mio notebook, la connessione wifi dell'associazione, la mia casalinga per il telelavoro e il mio wifi portatile durante le giornate. Se si volesse parlare di "metodologia applicata al social network", vi potrei dire che ho tentato di creare viralità grazie alle classiche tecniche gratuite ampiamente dibattute nei testi Hoepli. Non ho realizzato campagne pubblicitarie via banner oppure chiavi di ricerca per assenza di fondi. Da questa breve panoramica, vi propongo i risultati e le riflessioni a cui sono giunta.Sostenere la raccolta fondi attraverso l'ampliamento del bacino di utenti, la condivisione, la partecipazione. Questo era l'obiettivo. Non potendo contare sulla frequenza dello spot nelle televisioni e radio, non avendo alcuno spot promozionale nella Metropolitana, non potendo contare su una quantità significativa di cartelloni pubblicitari attraverso i quali tappezzare tutta la capitale e, infine, non potendo affidarmi neanche sul classico volantinaggio, non potendo contare su gadget o altri stratagemmi che avrebbero comunque implicato un costo, mi è parso subito evidente che i social media erano l'unica speranza per raggiungere qualche obiettivo. La mia associazione ha subìto l'80% dei tagli al finanziamento. Non abbiamo ancora idea del quando (e se?) saranno disponibili le retribuzioni per il servizio civile. Ciò significa che c'è bisogno di entrate e non vi è spazio per lo spreco. Allo stesso tempo: life goes on.
COMUNICAZIONE - Armata solo di entusiasmo, travestita quasi da Don Chisciotte, con il mio pc Ronzinante, mi sono attivata su Facebook e Twitter. Durante questo periodo di volontariato social, mi sono posta molte domande: quale poteva essere la chiave comunicativa idonea a un contesto social in ambito oncologico? Ero abituata all'editoria, al lessico dei blog, all'imprinting aziendale. I temi che avrei trattato sono delicati: il cancro, l'accesso alle cure, i costi sociali, le differenze regionali nell'accesso ai farmaci, le disparità di trattamento medico nelle strutture italiane, i problemi contrattuali, i diritti dei lavoratori, il lutto da affrontare, la necessità di dire:"Ho bisogno d'aiuto". Il target era - presumibilmente - colpito - direttamente o indirettamente - da questa malattia, il cancro, percepita ancora come "condanna a morte"; l'ambito in cui mi muovevo era sanitario, quindi con vocaboli e contesti inequivocabili. L'energia tipica di alcune fasi di marketing online poteva risultare, a tratti, fuori luogo, soprattutto se si considerava il tipo di utente-ascoltatore-lettore. Come uscire dal gorgo?
DEONTOLOGIA - La mia risposta personale è stata questa: il rispetto. I messaggi di stato che ho scritto su Facebook possono essere criticati sotto l'aspetto della lunghezza, ma la mia "prolissità" era consapevole e cercata. Ho voluto prendere lo spazio necessario per esprimermi con chiarezza; volevo trasmettere emozioni, pur rimanendo in un contesto di professionalità, indossando i panni della "portavoce ufficiale" social della federazione. Inoltre, è stato evidente che la "mano" era diversa da quella precedente. Ho scelto di differenziarmi, pur contravvenendo alle classiche regole del caso, perché volevo creare un effetto e suscitare una risposta: volevo attirare l'attenzione e volevo mettere dei "punti di domanda" in chi leggeva il profilo. What's new?
Ho voluto evitare a tutti i costi l'abitudine di pubblicare solo link, senza riflessioni, commenti o suggerimenti. Dopo attenta riflessione, ho evitato anche di collegare i profili FB e Twitter perché volevo - e potevo - personalizzare ogni atto comunicativo, superando la ridondanza, lasciandomi un margine di "comodità" solo in Facebook (alcuni messaggi di stato della pagina li ho condivisi anche nel profilo, e viceversa). Tutto questo mi è stato necessario, obbligatorio direi, per creare un clima di "feeling" con i lettori. Senza questa "fiducia" non avrei potuto realizzare alcuna viralità.
Come posso coinvolgere qualcuno, se rimango distante? Non posso. Allo stesso tempo: come posso coinvolgere qualcuno, se ho paura? L'argomento tumore mi fa paura, così come l'entrare in contatto diretto con le persone mi mette a disagio; provo moltissimo timore nel parlare. Non voglio ferire per incuria, insensibilità o ignoranza. Pur tuttavia, anche in questo caso mi sono affidata - o, almeno, ho cercato di farlo - al rispetto.
STRUMENTI E DISPONIBILITA' - Penso - forse a ragione - che questa mia volontà di trasparenza e vicinanza abbia influito positivamente nei risultati statistici di interesse e viralità. Il mio istinto mi dice che le persone hanno "sentito". Non sempre è stato possibile un "contatto", ma quando ciò è avvenuto, i risultati si sono visti. Ho messo a disposizione tutti i miei canali social e la visibilità di questo blog come sostegno "iniziale" all'idea che andavo realizzando. Siete stati voi, infatti, a far partire il meccanismo che poi ha portato beneficio all'associazione e ai malati. L'aver accolto l'idea e il dono di Fabio e Gianluca (il fumetto) mi ha aiutato nel realizzare un concetto empirico che avevo in mente: parlare di tumore, di bisogni psicologici, chiedendo soldi, avvicinando le persone piuttosto che allontanarle a causa del tema e dell'ennesima questua alla popolazione. Mi si è confermata la sensazione negativa riguardo lo strumento dell'e-mail marketing.
RISULTATI - In dieci giorni, quindi, senza una postazione fissa, lavorando gratuitamente full time anche nei week end, ho potuto ottenere questi risultati. Ogni profilo ha avuto un aumento di follower di un buon 15%. La pagina Facebook, che partiva da 187 persone raggiunte, ha visto il suo picco massimo attestarsi intorno alle 7200, riducendosi poi a 4000 circa nei giorni post presentazione in Senato. Il fumetto è stato condiviso, ad occhio e croce, più di mille volte (media ipotetica in base alle condivisioni sui siti principali). L'affluenza alla serata dedicata al cinema (per la quale avevo creato un evento FB) è stata superiore alle aspettative e posso ragionevolmente credere che dal web sia giunto un notevole contributo concreto in sms inviati (nell'ordine delle migliaia di euro raccolte), grazie al tam tam fra i profili. Posso ragionevolmente credere che anche le visite alle pagine del sito principale siano aumentate. Il live twitting è stato seguito da molte persone anche su Facebook e gli storify creati in seguito per raccontare i temi e sostenere la raccolta fondi hanno contribuito a generare viralità. Dal niente, sono riuscita a creare una piccola micro rete di blogger che hanno accettato di promuovere le iniziative nei loro blog. Fra di loro anche persone totalmente estranee alla malattia diretta. Da non dimenticare il tema: il cancro.
CONTINUITA' TEMPORALE - Mi pare evidente che questi risultati potrebbero essere più rilevanti se fossero intesi come il primo step per un lavoro annuale, in costante aggiornamento. Il no profit con carenze di fondi può ragionevolmente fare affidamento sui social network per raggiungere obiettivi di importanza cruciale anche a zero euro. Certo. Qualcuno di voi potrà obiettare che questo zero euro nasce da azioni di volontariato. Qualcun altro potrà voler sostituire la parola "volontariato" con "sfruttamento delle risorse umane". E' evidente, però, che delle azioni mirate e continue sui social possono incentivare la diffusione del brand, sostenere le cause, raccogliere consensi, promuovere atti di generosità diffusa. L'importante è capire due cose:
1. Che i risultati che si possono ottenere in maniera gratuita sono comunque limitati a questo stato; 2. Che nulla viene se non si accetta l'idea di dedicare uno spazio preciso e univoco a questo impegno giornaliero.
Lavorare sui social significare lavorare il sabato e la domenica, anche a orari poco piacevoli. Significa gestire l'immagine dell'azienda, i contatti. Significa entrare di diritto nelle dinamiche che possono contribuire all'incremento o alla decrescita di capitali, risorse, persone e attività. Per questo motivo, la fase volontaristica deve essere necessariamente limitata nel tempo.