Domani, a sentire i media, si prospetta una giornata nefasta per le principali piazze italiane. Il ‘popolo no-tav’ dovrebbe manifestare in varie località del paese. Si teme per l’ordine pubblico anche a Roma. Speriamo non vi siano violenze.
In merito al problema sollevato dalle comunità ‘no Tav‘, mi piacerebbe capire quanti di quelli che protestano lo fanno per esigenze reali (espropri, perdite economiche etc) e quanti per obiettivi politici. Negli anni il progetto è stato modificato, notevolmente ridotto in dimensioni ed esborso economico. Chi ha dei problemi reali dovrebbe essere ascoltato ed aiutato, chi lo fa solo per ‘impedire’ la realizzazione di un progetto dovrebbe invece essere lasciato perdere. Giusta o sbagliata che sia, una decisione è stata presa e dovrebbe essere rispettata. Altrimenti non siamo piu in uno stato democratico ma in una anarchia
Un brano dell’articolo di Annunziata per La Stampa. Invita a riflettere:
In Italia esponenti di un movimento che si richiama allo Stato di diritto, insultano poliziotti (quello del casco, di cui non abbiamo nome), magistrati (uno per tutti, Giancarlo Caselli) e attaccano i giornalisti (sappiamo della troupe del Corriere, e sappiamo anche di altre aggressioni che nell’ambiente dei media si evita di denunciare per non attizzare gli animi). Imbarbarimento, si dice. Ma quale? In questi gesti c’è un penoso déjà-vu, un nulla di nuovo, che risulta, alla fine, essere l’elemento più inquietante.
Per il «confronto» fra celerini e manifestanti abbiamo sufficiente memoria collettiva da (iper)citare (come ricorda Adriano Sofri su Repubblica) Pasolini. Ma anche sul resto, le linee di connessione con il passato sono, a dir poco, sorprendenti.
Basta riprendere in mano proprio il caso più discusso di queste settimane, quello del procuratore Caselli. Il magistrato che oggi è conosciuto soprattutto come il servitore dello Stato in prima linea a Palermo contro la mafia, negli Anni Settanta, in un’altra sua vita, era attaccato esattamente come oggi. Anche allora era un Servitore dello Stato, ma in quel caso in prima linea contro le Brigate Rosse.
Ugualmente sorprendenti le somiglianze fra quegli anni e il rapporto che i vari movimenti hanno stabilito con i giornalisti, definiti oggi come allora «spie», «porci», «servi del padrone», espulsi dalle assemblee, ed eventualmente finiti nel mirino. Qualcuno ricorderà quella sfida raccolta a muso duro da alcuni di questi reporter, come il non dimenticato Carlo Rivolta, che per primo scrisse senza remore, per l’ancora nuovissima la Repubblica, delle minacce dei bulli della Sapienza. E nessuno certo ha mai dimenticato quello che maturò poi in quel clima: Montanelli, Casalegno e Tobagi.
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