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Nochi no hi (後の日, The Days After)

Creato il 12 marzo 2012 da Makoto @makotoster
Nochi no hi (後の日, The Days After)Nochi no hi (後の日, The Days After). Regia,sceneggiatura e montaggio: Koreeda Hirokazu. Soggetto:dal romanzo di  Murō Saisei. Fotografia: Yamazaki Yutaka. Musica: Hatanaka Masato. Suono: ŌtakeShuji.  Interpreti:Kase Ryo (il padre), Nakamura Yuri (la madre), Shibuya Takeru (ilfiglio/fantasma).  Produzione: NHK Enterprises Inc., TV Man Union. Durata: 49’.Anno: 2010.
Un uomo è chino su di una tomba. Uscendo dal cimitero siaccorge di essere seguito da un bambino dell’apparente età di circa 7 anni, equando arriva a casa lo trova insieme alla moglie. La coppia ha perso ilproprio figlio e si dibatte nel dolore di tale perdita. Da quel giorno inizianouna serie di visite da parte del bambino misterioso, scandite nei giorni. Apoco a poco però l’inquietudine sale, il dubbio circa l’effettiva identità delbambino si fa strada in loro. Potrebbe essere la reincarnazione del figlio chehanno perso o anche un fantasma. Lo stesso bambino annuncia un giorno,sibillino: “voglio tornare indietro”. Se ne andrà infine, una sera, scomparendonella notte, lasciando dietro di sé alla coppia non solo dubbi, ma anche ilsenso del confronto pacifico con il dolore della perdita e, forse, lapossibilità di superamento della stessa.  Nochi no hi (後の日, The Days After)L’episodioNochi no hi è il contributo diKoreeda alla serie televisiva Ayashikibungō kaidan (Kaidan Horror Classics) prodotta da NHK nel2010. I quattro film che ne fanno parte – oltre a quello di Koreeda, Hazakura to mateki (The Leafy Cherry Treeand Magic Flute) di Tsukamoto Shin’ya, Hana(The Nose) di Lee Sang-il, Kataude(One Arm) di Ochiai Masayuki – sono adattamenti di racconti horrordi scrittori classici. Il film di Koreeda sembra concedere poco spazio alla tradizione delfantasma pieno di rabbia (onryō) chetorna a vendicarsi di torti subiti durante la vita terrena, archetipo delclassico cinema horror giapponese degli anni ‘60 e ‘70, così come alla sua“ripresa” in anni più recenti, come la celebre serie Ring, e, tantomeno, alle produzioni splatter e gore occidentali.Qui il mistero e l’orrorifico si tingono di pura poesia.  In Nochi no hi è la natura, viva e inquietacome in altri film di Koreeda, che introduce al tema: in una delle scene diapertura, mentre il padre esce dal cimitero, un vento improvviso si alza, inlontananza si sentono versi striduli di uccelli e colpi, da chissà dove. L’uomosi ferma, si volta, e la macchina da presa lo immortala come in una soggettivadall’alto. Subito dopo lo vediamo camminare in un bosco di alberi altissimi,smossi dal vento, mentre la figura sfocata di un bambino lo segue. Fino ad untunnel, nel quale l’uomo entra e diventa una sagoma nera disegnata in evidenzasul semicerchio di luce dell’uscita: proprio lì, nella luce, la figura delbambino si intravede, poi lentamente si dissolve, come un miraggio. Impossibilenon scorgervi un rimando a quel “raggio di illusione”, a quella luce potente eseduttiva che in Maboroshi no hikari attraeval’uomo suicidatosi – o forse no – sui binari del treno. Qui l’attrazione èincarnata dalla “presenza” stessa del bambino-spirito, che rappresenta in sé lamorte, il mondo ultraterreno. Un passo avanti, sembrerebbe, rispetto al filmcitato, che nessun indizio concedeva circa il significato del baglioremisterioso.Ilfilm si dipana sui temi classici di Koreeda, l’angoscia per la perdita dellepersone care, il ricordo; ed è ancora, come nei precedenti film, il mondodell’infanzia ad interessare il regista, che riprende il piccolo “fantasma” neimomenti in cui non appare altro che un bambino, che gioca con la madre conpalle di carta colorate o si intrattiene in cucina mentre lei prepara la cena. Adifferenza di altri film, il già citato Maboroshiper esempio, in Nochi no hi ilregista fa un gran uso di primi piani. In quel film la giovane vedova Yumikoveniva spesso abbandonata in desolati campi lunghi, fantasma di sofferenzainteriore. Qui che di fantasmi veramente si tratta, i volti dei due genitoririempiono l’inquadratura, esprimendo a tratti chiaramente, e senza che alcundubbio venga lasciato allo spettatore, tutta la loro perplessità. Allo stessotempo però vi è un ricorrere insistito a sguardi che sembrano cercare un“altrove” fuori dalla cornice dell’inquadratura. La coppia spesso si rivolgecon gli occhi al di là del quadro nel quale sono rinchiuse le figure, con unmovimento lento e all’unisono dei volti che non può che intendere la volontà disottolinearlo. Particolarmente evidente in una delle scene finali del film,quando il bambino se ne è ormai andato e loro due, seduti sul portico di casa,allungano le mani come ad accarezzare una forma invisibile, mentre i lorosguardi escono e vanno oltre ciò che può essere visto.Ilregista utilizza inoltre uno strumento quasi classico per rappresentare ilmondo dei vivi e quello dei morti a confronto: l’alternanza nitido/sfocato -luce/buio. Tutto il film, dall’inizio, è un continuo reiterare lo schema, siaall’interno della stessa inquadratura (in una delle primissime appunto l’uomocammina mentre il ragazzo lo segue, ma la sua figura, pur presente, risultasfocata), sia nell’alternanza delle stesse.Nochi no hi si iscrive nelle tematichehorror, non tanto per la presenza di un “mostro” che determina repulsione,quanto piuttosto per lo “scarto” continuo tra realtà e irrealtà che propone,oltre che per l’inquietudine che il regista sapientemente fa crescere nel corsodel film. Un sequenza in particolare è quella in cui la madre si trova da solain un angolo della casa, seduta di fianco ad uno specchio. Nel riquadro divetro si intravede dapprima il veloce passare di una figura e subito dopo lepiccole mani del bambino appaiono sul collo della donna, da dietro, a cingerla,prima di svelare la presenza di lui. L’inquietudine aumenta nel corso del film,se pur nel calore delle scene di famiglia: i due genitori, provati dalla mortedel figlio e ritrovatisi con una sorta di surrogato alla felicità familiare chehanno perso, vi si adagiano in un primo momento, in quanto la nuova situazionepuò se non altro lenire il loro dolore. E stabiliscono una specie di“complicità” con il piccolo fantasma, come quando si divertono a immaginarecosa può aver pensato il negoziante dal quale hanno comprato le caramelle,probabilmente che fossero per la bambina più piccola.Nelfinale Koreeda sembra voler aderire allo schema del cinema horror delle origininel quale vi era infine un ritorno all’ordine, dopo che il fantasma di turnoaveva compiuto la propria vendetta. Nell’alternanza del buio con la luce,l’ultima inquadratura è infatti per quest’ultima: l’uomo e la donna siritrovano sul portico di casa, ripresi di schiena, incorniciati dalla luceintensa del giorno. Dopo l’”apertura” e il confronto, il mondo dei morti tornaad essere quell’”altrove” presente, ma separato. [ClaudiaBertolè]

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