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Noi cinquantenni da rottamare - lettera aperta ai lavoratori del tpl

Creato il 18 aprile 2012 da Ciro_pastore
NOI CINQUANTENNI DA ROTTAMARE - LETTERA APERTA AI LAVORATORI DEL TPLLETTERA APERTA AI LAVORATORI DEL TPLNOI CINQUANTENNI DA ROTTAMAREMolti, espulsi dal mondo del lavoro e lontani dalla pensione, saranno costretti nel limbo dei senza speranzaRenato Zero – Spalle al muro (vecchio) http://www.youtube.com/watch?v=hTgwGZG7OBADa ragazzino ero ingenuamente, e forse anche romanticamente, convinto che non avrei mai raggiunto la soglia del mezzo secolo. Ero sicuro, allora, che una vita, per meritare di essere vissuta pienamente, non potesse essere diluita in un arco temporale troppo esteso. Da ventenne mi sarei accontentato di vivere intensamente fino a quarant’anni. E invece, eccomi qui, a poche settimane dal fatidico evento, a meditare del destino mio e, soprattutto, di quello di un’intera generazione di miei coetanei, cresciuti nel mito del posto fisso.Oggi, noi milioni di cinquantenni italiani ci ritroviamo a dover fare i conti con una realtà che ci vede già vecchi dal punto di vista lavorativo, nonostante molti di noi siano intellettualmente vitali e fisicamente in forma. Le generazioni che ci hanno preceduto convivevano serenamente con il declino della maturità. Nessuno gli chiedeva, né tanto meno li obbligava, ad essere continuamente up to date, aggiornati tecnologica­mente, come oggi il mondo del lavoro ci impone.La stessa vita quotidiana personale ci richiede di essere sempre smart ed on line, fisicamente in forma, culturalmente aggiornati, perfino sessualmente potenti. È una corsa frenetica anon perdere il tram della modernità, a non restare appiedati, bollati come vecchi. Molti in questa in questa innaturale corsa, si sottopongono ad uno stress fisico e mentale insoste­nibile, e finiscono perrimetterci le penne. Sono in aumento esponenziale, infatti, le morti per infarto tra i cinquantenni. Da qualche tempo gli infarti, prima appannaggio esclusivo dei maschi, colpiscono anche le donne, sempre più costrette a tenere botta, per ribattere colpo su colpo alla aggressività delle loro concorrenti più giovani, sul lavoro e nella vita sentimentale.Nel mondo del lavoro, poi, la situazione diventa paradossale. Le aziende hanno tutto l’interesse a liberarsi degli ultracinquantenni. Ciò avviene non tanto per un loro presunto calo di produttività (tutto da provare), ma soprattutto perché i lavoratori maturi, dopo 20/30 anni di presenza in un’azienda, hanno raggiunto livelli retributivi di fascia alta. L’appiattimento delle mansioni e delle professionalità richieste fanno il resto. Capita, così, che alla scrivania di fianco un cinquantenne abbia spesso un giovane trentenne che svolge le sue stesse mansioni ma che, per le norme assurde che governano il “mercato del lavoro”, riceva una retribuzione sensibilmente più bassa. È questo, in fondo, il vero motivo della manovra padronale: allontanare lavoratori che a parità produttiva costano quasi il doppio.Questo fenomeno è in atto già da molti anni, soprattutto nel settore industriale. In questi anni di crisi economica, si sta estendendo pericolosamente ai servizi ed anche alla Pubblica Amministrazione. È stata così costruita artatamente una guerra fra generazioni, in cui i cinquantenni vengono stritolati da una parte dai pensionati (impegnati a tutelare i privilegi conquistati) e, dall’altra, dai trentenni che giustamente sgomitano per trovare spazio nella società.A rendere per i cinquantenni questa guerra senza scampo si è aggiunta la riforma delle pensioni che, allontanando a distanza siderale l’approdo pensionistico, sta creando le condizioni per creare una generazione di uomini e donne persi per la produzione, ma non abbastanza vecchi per poter accedere alla agognata pensione.E non parlo, ovviamente, del caso dei cosiddetti “esodati”, che pure meritano di trovare una soluzione alla propria kafkiana condizione. Mi riferisco ai milioni di italiani ed italiane che dovranno combattere per tenersi stretto il lavoro che hanno, perché l’alternativa per loro sarebbe soltanto il limbo di un’improbabile ricollocazione. Si rischia di creare, così, interi eserciti di uomini allo sbando senza un futuro credibile.Nel trasporto pubblico, particolarmente in Campania, la situazione è perfino più aggrovigliata. La crisi settoriale è complicata dall’evidente sproporzione fra il costo del lavoro medio riferito ai cinquantenni e quello generato dai loro giovani colleghi. Spesso, questi costano la metà di un collega maturo, a parità di mansioni.Finora, le aziende, costrette dalla crisi, hanno tentato di “liberarsi” della zavorra umana che le appesantisce con sistemi, tutto sommato, accettabili. D’altra parte, dalla crisi le aziende possono provare ad uscire solo riducendo drasticamente il costo del lavoro, anche nella prospettiva (non così lontana da venire) della privatizzazione. Per diventare appetibile agli occhi di qualunque impresa privata, il trasporto pubblico deve, non solo sottoporsi ad una cura dimagrante drastica, ma deve liberarsi della “ciccia” costosa, rappresentata appunto dai lavoratori cinquantenni. Gli accordi recentemente siglati da sindacati, aziende e Regione, sono indubbiamente orientati in questa direzione. La sequela di strumenti previsti (e già applicabili) non lascia presagire che un futuro nero, soprattutto per i lavoratori maturi, non addetti direttamente alla produzione del servizio (leggasi staff amministrativi e similari).Cosa possiamo, e dobbiamo, fare allora noi matusa? Poco forse, se non sperare che le dimensioni numeriche del fenomeno trovino qualche appoggio politico e/o sindacale, che ci consenta di sederci al tavolo delle trattative con pari dignità di altre categorie, per poter far valere le ragioni di chi, bene o male, ha collaborato a costruire queste aziende e che, forse, non merita di essere messo alla porta proprio quando là fuori c’è la bufera.Ciro Pastore

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