Anna Lombroso per il Simplicissimus
Peccato, davvero peccato che la dinastia Riva non possa esibire una delfina pronta a ricoprire un ruolo strategico nell’industria pubblica. Peccato che Lapo sia un po’ troppo esuberante. Peccato che il chairman della Thyssen Krupp sia anzianotto, ma comunque al suo posto è stata scelta una fervente ammiratrice delle strategie aziendali del gruppo, quella che ha guidato gli applausi dopo i noti incidenti. Ma peccato soprattutto che Marina sia così impegnata con le aziende di un babbo affaccendato nelle note vicende giudiziari e ancora dedito alla salvezza del paese tramite vocazione politica.
Così si è dovuto ripiegare su altri padroncini, sulle cui qualità manageriali il presidente del Consiglio è pronto a mettere l’abituale faccia, non sappiamo quale delle due, con la proverbiale noncuranza per quelle trascurabili questioni di conflitto di interesse che si addicono solo ai professoroni, che appassionano solo i parrucconi, che, insomma, stimolano solo i moralisti, molesti avversari di modernità e imprenditorialità. E infatti la forosetta candidata alla presidenza delle Poste, l’ex imprenditrice delle costruzioni, Luisa Todini che è anche consigliere di amministrazione della tv di Stato ha già sottolineate che non esiste incompatibilità tra gli incarichi, che dipenderà da lei la decisione di scegliere, non certo per ragioni di opportunità, ma perché, dice, è abituata a far bene una cosa per volta, smentendo quel simultaneismo che connota i “futuristi” del cerchio dinamico di Renzi.
E d’altra parte l’Europa ce lo chiede: è opportuno accelerare sulle privatizzazioni e cosa c’è di meglio che affidare le aziende pubbliche a rappresentanti esemplari del padronato, tutti con un dovizioso dossier di fallimenti, con un ricco curriculum di insuccessi, con preziose referenze in materia di irregolarità, con una dimostrata indole a intrecciare alleanza opache e stringere amicizie discutibili, in modo che nel segno della continuità ne facciano polpette magari per ricomprarsele a prezzo di liquidazione o meglio ancora per offrirle a sceicchi, amici di famiglia, compagni di merenda e furbetti del quartierino.
Quello nostrano è un padronato che non ammette dubbi sulla sua inadeguatezza, sulla sua insofferenze di obblighi e regole, sulla inefficienza e sul disinteresse per innovazione e competitività. Che non deve dimostrare nulla sul grado di slealtà nei confronti del suo Paese, dello Stato e dei cittadini dai quali ha ramazzato aiuti a pioggia, dando in cambio delocalizzazioni, evasione fiscale, crimini contro la sicurezza dei lavoratori e reati contro l’ambiente. Che ha ostentato disprezzo per l’interesse generale, e interesse privato invece e spasmodico per il gioco d’azzardo della finanza e per la moltiplicazione dei profitti azionari, così come al dispregio per il nostro territorio si accompagnava l’ammirazione per altre mete turistiche, veri e propri paradisi si, ma fiscali.
Ma queste sono considerazioni maliziose, a riscattare le innominabili nomine c’è quella sfumatura di rosa che recherà con sé maggiore sensibilità per i diritti dei lavoratori, dei cittadini e del Paese, mica tutte sono la Lagarde o la Fornero, quell’indole tutta femminile a una maggiore trasparenza e onestà, mica tutte sono Madame Poggiolini, quello spirito di sacrificio e quell’abnegazione particolarmente esaltate nelle donne, mica tutte sono la Gelmini.
È sulla competenza che restano forti dubbi.
Che la Marcegaglia sia stata una delle più funeste presidenti di Confindustria per quanto riguarda le relazioni industriali, che la sua azienda sia invischiata in inquietanti guai giudiziari dai fondi neri allo smaltimento illecito dei rifiuti, fino a un non sorprendente incidente mortale sul lavoro, per il ceto al governo deve aver rappresentato un valore aggiunto inimitabile, una prova certa di appartenenza e di riconoscimento dei principi che ne muovono il pensiero e l’azione.
Che la Todini, dopo una non brillantissima performance parlamentare in Forza Italia e una carriera di imprenditrice ancor meno smagliante, si sia dedicata all’inoffensivo Comitato Leonardo dopo essere stata gentilmente messa alla porta dall’amico Pietro Salini, che aveva salvato l’azienda della famiglia Todini nel 2009 inglobandola nel suo gruppo (oggi Salini-Impregilo) grazie al “grande supporto del sistema bancario, con particolare riferimento ai gruppi Intesa Sanpaolo e Bnl-Bnp Paribas, insieme a Unicredit e Mps”, importa poco, che tanto le piazzano di fianco uno staff di tutor di provata spregiudicatezza.
E altrettanto vale per la Marcegaglia che sarà “teleguidata” dal fedelissimo della Leopolda, l’economista Luigi Zingales, dall’ex presidente del Banco di Sicilia e vicepresidente di Alitalia in quanto patron del fondo Equinox, Salvatore Mancuso e da quel Claudio De Scalzi, già capo del settore esplorazione del Cane a sei zampe, come supervisore tecnico. Anche per le altre ladies, Catia Bastioli per la presidenza del gestore della rete elettrica Terna che è di competenza della Cassa Depositi e Prestiti e Maria Patrizia Grieco indicata dal governo per l’Enel, un km di incarichi nei più vari consigli di amministrazione sono previsti opportuni cani da guardia. Che non venga loro in mente – si sa le donne sono capricciose – di disubbidire a qualche ordine. Che non venga loro in mente – si sa le donne sono vanitose – di voler fare bella figura, quando invece sono là solo per fare le “figurine”.