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Non basta volerlo

Da Marcofre

Nessuno mai è diventato scrittore soltanto perché lo voleva.

Il buon Francis Scott Fitzgerald è sempre un’utile fonte di riflessione, anche in un mese come agosto. O forse proprio perché siamo ad agosto.
Soprattutto sul Web, in questi ultimi anni è andata per la maggiore l’idea che la volontà, il desiderare con forza una cosa, la rende reale. La realizza. Quindi è sufficiente porsi una domanda:

Vuoi diventare ____________? (aggiungere quello che si desidera)

e rispondere a gran voce con un:

Sì!

Ed è fatta.

Queste sono semplificazioni, e come tali inutili e pericolose.

La volontà serve a riempire le nostre lacune. Che sono enormi. Anche se abbiamo una laurea, in fondo abbiamo solo una laurea; ci aiuta a usare espressioni meno banali del solito (forse), ma basta. Dopo che si decide di intraprendere il mestiere della scrittura, si entra in un territorio nuovo. Lì la volontà sarà utile perché sarà lei a darci un aiuto per capire quello che funziona, e cosa invece deve essere dismesso. Come ogni attività, non si tratta affatto di volere, e basta, ma di imparare, incassare un bel numero di no, porsi domande, riflettere, compiere delle scelte.

Qualcuno potrebbe concludere, a questo punto, che in realtà la volontà serve eccome, perché svolge un bel numero di attività. Certo; ma spesso viene utilizzata a sproposito, come se fosse la soluzione a ogni problema o ostacolo. A mio parere, c’è un tipo di narrativa che non deve avere paura di parlare di arte. E credo che se non si parla appunto di arte, se non si lavora con quell’obiettivo, allora si tratta di merce, e diventa ridicolo manifestare contro banche e cose del genere. E arte per me, significa produrre qualcosa efficace e di valore. Per valore, intendo quello che resta dopo che ce ne saremo andati. Zola se ne è andato, ma le sue opere no.

Infine, ci sarebbe da ricordare che occorre il talento, e questo è uno di quegli argomenti che non si dovrebbero mai evocare (secondo alcuni), perché se la volontà è tutto, del talento possiamo fare a meno, vero? Passa in secondo piano perché “Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli“.

Temo di no.

Ciascuno è libero di comportarsi secondo i propri obiettivi, e sogni. Ci sono sufficienti mezzi (gratuiti) per scrivere quello che si desidera, e vederlo pubblicato a zero euro.
Lo riscrivo: zero euro.

La volontà è un aiuto perché ci spinge a leggere i classici, a rileggerli; perché ci chiude nel silenzio per capire come quella scena è stata costruita da Zola o Simenon.

Però.

Quando apro le pagine di un Tolstoj o di un Scott Fitzgerald, li scorgo mentre scrivono alla scrivania, come faccio io mentre digito queste righe. Il russo, a mano, l’americano battendo i testi della macchina per scrivere. Poi leggo quello che hanno scritto: l’incipit di “Anna Karenina” o de “Il grande Gatsby”. E mi chiedo: è tutta volontà?
La risposta è no.

La volontà aiuta a stare (un po’) lontano dalla bottiglia, per esempio; ci separa dalle distrazioni, dalle lusinghe. Ci sono i conti da pagare, le bollette della luce, l’assicurazione dell’auto: e lo scrittore se ne sta lì a scegliere quale verbo inserire nel dialogo. La volontà ci rende insensibili, quasi di sasso. Ma non è il sasso che scrive, compone le frasi, scrive racconti o romanzi. Ci vuole dell’altro.
Il talento, suppongo.


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