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Non c'è proprio niente da fare, la continua perdita di ascolti di quelli che fino a ieri erano i dominatori delle serate televisive dimostrano in modo inequivocabile due cose: la prima che il mondo è improvvisamente cambiato, a causa della crisi economica e politica, e che il vero protagonista del ventennio appena trascorso è stato soltanto uno, Silvio Berlusconi, e che tutti i presunti protagonisti della stagione degli indignati in servizio effettivo e permanente altro non avevano fatto che vivere della sua luce riflessa.
Nemmeno il tentativo di ritornare all'antico, dedicando tutta la puntata alla vicenda mafiosa che parte dalle stragi di cui rimasero vittime i giudici Falcone e Borsellino, fino alla recente sentenza della Cassazione che ha annullato la sentenza di condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ordinando la ripetizione del processo davanti ad altri giudici, ha risollevato gli ascolti di Servizio Pubblico di Michele Santoro, a dimostrare in modo perentorio quanto gli italiani siano stanchi di riascoltare vecchie storie che appaiono sempre più incomprensibili e ricostruite in modo non oggettivo, se non fazioso.
Solo il 6% di share per la puntata di Giovedì 15 Marzo per Santoro, nonostante il ritorno in video di Massimo Ciancimino e dei suoi "papelli" e il collegamento da New York del Pm Antonio Ingroia, gli sconfitti della settimana, che appaiono sempre meno eroi dell'antimafia e sempre più pasticcioni della giustizia.
Non è servito a nulla nemmeno l'opera di delegittimazione preventiva della sentenza del Pg Jacoviello, indicato nei giorni precedenti alla pubblicazione del suo atto come "amico del giudice Carnevale". Di fronte alle argomentazioni di Jacoviello, anche Travaglio e compagni, dopo un primo tentativo di resistenza, hanno dovuto abbassare la cresta, appigliandosi al fatto che il Pg non ha ordinato l'archiviazione degli atti ma il ripetersi del processo, facendo passare in secondo piano il vero significato della sentenza, che è rappresentato dalla demolizione che il giudice Jacoviello ha fatto del metodo investigativo usato dalla procura di Palermo nei decenni trascorsi, basato più sul seguire le intuizioni e le convinzioni personali dei vari pubblici ministeri che sulla ricerca di prove oggettive, forzando l'interpretazione delle norme penali per far rientrare i reati all'interno delle proprie ipotesi investigative, in special modo il discusso reato previsto dall'art 416 bis, quel concorso esterno in associazione mafiosa la cui natura è ancora dibattuta in dottrina.
La trasmissione in fondo non aveva altro scopo che riportare in auge e ridare un minimo di credibilità alle rivelazioni di Massimo Ciancimino, duramente screditate nel recente passato, su cui Ingroia aveva costruito molto del suo castello accusatorio, ma sono ormai solo i fedelissimi del Fatto Quotidiano a credere che Ciancimino figlio dica la verità, e i risultati si vedono sia in termini di ascolto della trasmissione di Santoro sia in quelli della vendita del giornale di Travaglio.
Ma a certificare il fallimento di un modo di rappresentare e amministrare la Giustizia sono i giudizi impietosi che uno degli stessi protagonisti della stagione giudiziaria appena trascorsa, quel questore Gioacchino Genchi, grande orecchio dei Pm delle Procure italiane, ha espresso sul Pm Ingroia e sul circuito mediatico giudiziario creatosi attorno a certe procure.
Affermazioni dure, quelle di Genchi, che fanno pensare che la scelta di certi argomenti abbia a che fare più col bisogno di rialzare l'ascolto delle trasmissioni e ravvivare le vendite di libri e giornali (è da un po' che la cooperativa Travaglio non manda in stampa un libro dedicato al cavalier Banana). Un tentativo però inutile, come i numeri fanno bene intendere.
Nemmeno è un caso che tra i talk show che invece riescono a tenere i propri ascolti medi ci sia il Porta a Porta di Bruno Vespa, poco esposto alla monocultura dell'antiberlusconismo.
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