Magazine Mondo LGBTQ

Non c'è storia per i gay

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

 

Non c'è storia per i gay

foto:flickr

 

Le cronache raccontano che i membri del Parlamento Europeo siano rimasti allibiti e increduli nell’ascoltare le argomentazioni con le quali i PDLeghisti seduti a Bruxelles riempivano i loro sermoni a giustificazione del fatto che il nostro paese, pecora nera del gruppo insieme a Grecia e Polonia, non si sia ancora degnato di affrontare e risolvere la questione dei diritti delle coppie omosessuali.
Lo sa bene chi è abituato a mettere il naso fuori dall’Italia e a non considerare Piazza San Pietro il centro del cosmo: espressioni quali “famiglia tradizionale” o “procreazione”, ai cittadini d’Europa suonano come un’aria da trovatore alla Guglielmo IX d'Aquitania, roba da medioevo, superata e rimasta ai margini dei libri di storia.
Insomma… per gli stranieri non abituati a valutare la realtà tramite il filtro Raiset, la posizione di chi fa ostinata resistenza all’entrata delle coppie gay nello stato di diritto sembra l’accanimento oscurantista di un australopiteco maschilista convinto che le donne non siano adatte al lavoro (ops… ripensandoci, in Italia si è appena sentito dire anche questo!).
La questione gay italiana, però, è culturale prima ancora che politica.
Nonostante anni di relazioni con i direttori editoriali delle majors del libro, continuo per esempio a restare allibito di fronte alla totale assenza di romanzi sull’argomento, storie alle quali dovrebbe andare il compito di raccontare l’evoluzione del concetto di persona omosessuale, svincolandola dai cliché vecchi di un secolo, magari aiutando a sognare e a prendere coscienza di sé gli adolescenti dai 12 ai 120 anni.
Se insomma Mondadori, la sinistrissima Feltrinelli, o uno a caso dei marchi RCS si decidessero a seguire il modello di omologhi stranieri, e a buttare sul mercato qualche best seller gay (visto che, si sa, il successo di libreria lo crea l’editore con il marketing, non certo il lettore con le sue presunte scelte), forse l’intero scenario sociale cambierebbe come naturale conseguenza di un’evoluzione dei modelli.
Detta in parole povere: non è possibile che, se all’estero le figure di gay “pop” sono quelle di Ricky Martin e Joe McElderry, qui da noi si debba continuare a vedere Cristiano Malgioglio o i Kymera che cantano “Frozen” con la vocina effeminata.
Le rivoluzioni culturali, e quindi quelle politiche, si fanno dal basso, parlando alla gente con un linguaggio semplice, easy listening, accessibile ai più. E, ahimè, per quanto possa suonare deprimente ammetterlo, io credo che, in questo paese, non ci sarà storia per i gay finché qualche magnate dell’editoria di mercato (libraria, musicale o televisiva poco cambia) non convincerà i suoi talenti da bancarella a tirar fuori, oltre all’x-factor, anche i coglioni.

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :