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Non ci sono solo le pianure

Da Marcofre

Quando si scopre che lo scopo di un certo tipo di narrativa non è quello che ci si attende (intrattenere per esempio), sono guai. Non ricordo esattamente cosa pensassi prima di prendere in mano “Delitto e Castigo” tanti anni fa; però ricordo abbastanza bene quello che accadde dopo.

A quel romanzo arrivai se non mi sbaglio dopo la lettura di un opuscolo come “L’obbedienza non è più una virtù” di don Lorenzo Milani; una figura che poi avrei esplorato in lungo e largo, ma questa è un’altra storia.

Di per sé, quell’opera di Dostoevskij poteva essere solo un passatempo (era estate quando lo lessi), e spesso anche le letture impegnative quello sono: un mezzo per ammazzare il tempo. Certo, anche un classico come il buon Fjodor può essere un passatempo, e basta.

Ma perché su alcuni agisca in un modo, e su altri in maniera del tutto opposta, è un mistero, e forse è meglio che resti tale.

Svelare è lo scopo di qualunque forma d’arte, secondo me. Per questa ragione si tende a definire “arte” qualunque cosa. In questo modo se ne svilisce il valore, se ne offusca il fine, si crea una sorta di inflazione proprio per svalutare la moneta: l’arte appunto.

Infatti ammettere l’esistenza di qualcosa di superiore rappresenta una minaccia al buonsenso. Al mercato soprattutto, che non desidera avere tra i piedi gente che è alla ricerca di “prodotti” che non può fornire. Al mercato si può chiedere petrolio, divertimento, guerra, e un mucchio di altre cose che si possono toccare, consumare, bruciare. Ma nient’altro. Se si alza la posta in gioco il mercato non sa che cosa rispondere. L’arte è un territorio che lavora contro il mercato perché svela una dimensione dove dettano legge le cose intangibili. E il mercato se ne sente minacciato.

Forse non dovrebbe: come insegna infatti il buon Dostoevskij, le persone non cercano davvero la libertà. La temono. Quindi sono predisposte al mercato, lo creano, lo onorano come meglio possono. Tuttavia, la semplice esistenza di una eventualità, di una variabile ingovernabile come l’arte è sempre una minaccia. Come se fosse una pietruzza che si infila nel meccanismo e lo inceppa. Una sola pietruzza può inchiodare tutto. Non ce ne sarà mai più di una, o al massimo una manciata. Ma sarà sempre un rischio, perché qualcuno potrebbe sganciarsi dal mercato, e dimostrare che si può vivere secondo altri valori.

Allora, se non si può distruggere, si cerca di svuotare di senso quello che custodiamo nei musei. O nelle biblioteche.

L’essenziale è dimostrare che ci sono solo pianure, le montagne non esistono. E comunque non vale la pena scalarle, anche se qualcuno magari ne ammette l’esistenza. Richiedono impegno fatica e alla fine che cosa si ottiene? Si arriva solo in cima.

Però chi ci prova, dopo, non sarà più come prima. Avrà scoperto che ci sono appunto le vette, e che la bella vita che conduceva era solo un banale passare da un pascolo, all’altro.

 


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