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Non direi sfigato, però...

Creato il 25 gennaio 2012 da Frufru @frufru_90
Oggi pomeriggio, stranamente, ero su Twitter, man mano che scorrevo i cinguettii degli altri mi rendevo conto che doveva essere successo qualcosa di strano che non era ancora arrivato alle mie orecchie, qualcosa che aveva per protagonista un certo Martone, con cui erano tutti arrabbiati. Martone, Martone...l'ho già sentito questo nome, mi dicevo! E infatti poi mi sono ricordata, è il prof in gamba di Giulia! Per sicurezza vado anche a controllare da lei e in effetti la mia memoria non mi ingannava!
Su Twitter in tutti i cinguettii si leggeva o #sfigato o #Martone oppure entrambi, a voler proprio strafare. 
Tutto perché Michel Martone, il giovane viceministro al lavoro, ha esternato un'infelice considerazione: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato
Terminologia a parte, il concetto non mi sembra così da condannare.
Certo non parlo di chi studia e lavora o di chi ha problemi in famiglia o di salute o di chi magari inizia più tardi, parlo di chi, finite le superiori, nel dubbio, va all'università senza un vero perché, perché ci vanno tutti, per passare il tempo senza fare niente, per cazzeggiare un po'. Tutto qui.
Quando ho letto la dichiarazione istintivamente ho pensato che Martone avesse ragione, ragione nel senso che ci sono chissà quanti "studenti", indegnamente chiamati studenti, che restano parcheggiati all'università così per passatempo. Per non fare altro. Perché tanto i genitori foraggiano anche gli insuccessi causati da zero impegno. Non li definirei "sfigati" però, solo furbi. Hanno trovato un bel modo per godersi la vita ancora un po', per restare spensierati per un'altra decina d'anni, se va bene. Conosco persone che si sono laureate a trent'anni e che non avevano fatto altro che "studiare" dai diciannove anni. 
La parola "sfigato" comunque non mi piace affatto, in nessun contesto. Aggiungo anche che forse, ma forse (non ne sono sicura), se fosse garantito un lavoro a chi ci mette impegno e si laurea entro i tempi giusti, di studenti così tanto fuori corso ce ne sarebbero meno. Non lo so. Il senso di quello che volevo dire è che nemmeno una laurea a 23 anni a pieni voti ti garantisce un lavoro che meriteresti. E questo non è per niente giusto. 
Più tardi poi il Martone sotto accusa ha spiegato meglio il concetto: "Non pensavo di suscitare tali reazioni ma, visto il dibattito, ci tengo a chiarire che, con la mia dichiarazione di oggi, non mi riferivo a tutti quei ragazzi che per necessità, per problemi di famiglia o di salute o perché devono lavorare per pagarsi gli studi, sono costretti a laurearsi fuori corso. Mi rivolgo piuttosto a tutti quegli studenti che, pur vivendo a casa con i genitori e non avendo avuto particolari problemi, si laureano “comodamente” dopo i 28 anni."Detta così, è tutta un'altra storia. Detta così, condivido, perché, non prendiamoci in giro, l'università è piena straripante di persone che stanno lì senza sapere il perché, per passare il tempo, perché all'università ci vanno tutti, perché tutti fanno il liceo, perché non stare seduti dietro una scrivania non sembra allettante.
Il problema dell'università, della scuola, del lavoro, è così grave che stare a discutere per ore di una riga decontestualizzata mi sembra quasi una perdita di tempo.
Io credo che dovremmo tutti quanti farci un bel bagno d'umiltà.
Ci sono talmente tante cose sbagliate. Nella nostra mentalità, in un sistema che per anni ha fatto passare il messaggio di liceali di serie A e tecnici di serie B, ma non è così! La mia prof di italiano non faceva che ammirarci dicendo che saremmo stati noi la classe dirigente del futuro. Morivo dalla voglia di sapere se si era mai fermata a guardarci davvero, a noi liceali. Una scuola di provincia straripante di gente senza la minima voglia di studiare nemmeno il minimo indispensabile. Gente che oggi alberga all'università, nelle facoltà più disparate. Gente che probabilmente non si laureerà prima dei 28 anni, ma non perché lavora e si fa un mazzo così, semplicemente perché non ha mai avuto voglia di fare niente.
Forse dovrei stare zitta, perché io all'università non ci sono andata. Io sono l'eccezione che conferma la regola, la stupida illogica dalle scelte incomprensibili, quella che ha fatto il liceo motivata, impegnandosi, diplomandosi col massimo, convinta di voler fare matematica per poi accorgersi, alla fine, che non sapeva perché avrebbe fatto matematica. Per quale sogno? Finire a lavorare in un laboratorio all'estero? Mai. Fare l'insegnante? Magari. Ma quando? Tempi assurdi.
Allora ho cambiato strada, totalmente. E ho scoperto, sto scoprendo pian piano, che non ci sono cose di serie A e cose di serie B, che quello che conta per me è vedere allo specchio una persona dignitosa e non mi importa se potevo fare l'università, se dovevo fare l'università. Le possibilità e i doveri mi stavano nascondendo i miei "vorrei". E pian piano li sto rispolverando, dopo un momento che è stato un bel po' difficile, lo ammetto. Un momento che non è ancora passato del tutto, perché la notte sono ancora lì a rimuginare su quello che ho fatto o non ho fatto, su quello che c'era e non c'è più, su quello che poteva esserci e non ci sarà.
Devo riorganizzare la mia vita, perché non sarà quella che avevo progettato fino a due anni fa. Adesso so che quando cambi direzione all'improvviso non è facile rimettere tutto a posto, un po' anche per mancanza di coraggio o per troppa pigrizia.
Non so perché sono finita qui da Martone, però queste confidenze mi piacciono, quindi, anche se non sono poi così inerenti al tema, le lascio qui, così mi ricorderò che devo rimboccarmi le maniche tutti i giorni, esattamente come tutti gli altri. Come quelli che stanno all'università per inseguire un sogno e faticano, sudandosi un futuro oggi incerto più che mai.
Per concludere, a prescindere da chi sia Martone, secondo me ha espresso una giusta considerazione, espressa malissimo nella forma, ma condivisibile nella sostanza.


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