Spesso, la storia ricorda i vincenti, quelli che “uno su mille ce la fa”. Le cronache sportive ci narrano le vite dei campioni, ricordano i loro allenamenti massacranti ma necessari per diventare i numeri uno, qualunque sia la disciplina. Io stessa vi ho raccontato della biografia di Andre Agassi, di quanto odio per il tennis sia necessario per fare un campione.
Dietro, sotto di loro ci sono i mille che non ce l’hanno fatta, quelli di cui i giornalisti sportivi hanno dimenticato il nome, quelli a cui nessuno dedicherà mai uno speciale su Sky Sports. Uno di loro è Samia Yusuf Omar.
Il mondo ha scoperto, e poi subito dimenticato, l’esistenza di Samia per via della pessima figura che fece alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Così pessima da risultare commovente. Una ragazzina scura e secca come uno stecco, in T-shirt e maglietta, con una ridicola fascia bianca sulla testa nera, che correva disperatamente i 200metri su una pista, senza riuscire neppure ad avvicinarsi alle stupende atlete olimpioniche, i corpi muscolosi e guizzanti fasciati in luccicanti tutine tecniche, l’espressione determinata. Arrivò così tardi, ma così tardi, da attirare l’attenzione dei commentatori. Si chiamava Samia, e veniva da Mogadiscio, in Somalia. Un paese in guerra.
Un paese dove un atleta, e un’atleta femmina per giunta, e povera, non si può allenare. Persino io mi alleno meglio di Samia, con le mie sneakers nuove e il mio completino dell’Asics, i miei pasti proteici e le mie compresse di magnesio. Ed è tutto dire, perchè io non sono un’atleta. Non corro per mangiare, corro per smaltire quello che ho mangiato. Ecco, “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella apre uno squarcio su un mondo che vediamo solo alla TV, che non vorremmo conoscere eppure dobbiamo conoscere, perché esiste. E’ un libro necessario, perché non è solo la storia di una ragazzina somala con il pallino della corsa.
Samia alla fine muore, vi tolgo la sorpresa tanto è cronaca. Dopo essersi allenata sotto le bombe di Mogadiscio, dopo aver rischiato le ire dei fondamentalisti che hanno spento ogni possibile attività nel suo Paese (“Tutto ciò che fino a quel momento era stato difficile da realizzare ma possibile, era diventato impossibile”), dopo il fugace sogno di gloria quando incredibilmente viene scelta per rappresentare la Somalia alle Olimpiadi. Dopo la decisione di partire per il Viaggio, quello che va dall’Etiopia al Sudan, dal Sahara alla Libia, fino all’Italia. Samia era uno dei migranti sui barconi, quelli che vediamo al tg, quando cambiamo canale perché le immagini non ci disturbino la cena.
“Il Viaggio è una cosa che noi tutti abbiamo in testa fin da quando siamo nati. Ognuno ha amici e parenti che l’hanno fatto, oppure che a loro volta conoscono qualcuno che l’ha fatto. E’ come una creatura mitologica che può portarti alla salvezza o alla morte con la stessa facilità. Nessuno sa quanto può durare. Se si è fortunati due mesi, se si è sfortunati anche un anno, o due”.
Giuseppe Catozzella
Non dirmi che hai paura
Feltrinelli, 15 €
La recensione di Roberto Saviano su Repubblica che mi ha spinta a comprare il libro.
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